Ma chi è davvero Beatrice: una pura allegoria della fede, della sapienza divina e della grazia? Una figura costruita solo attraverso riferimenti evangelici, una creatura salvifica scesa nel Limbo per salvare Dante? Una beata prima in terra e poi in cielo, capace di avviare nell’amante un processo di nobilitazione morale e di elevazione spirituale? O una donna in carne e ossa, viva nella sua storicità e nella sua individualità, presenza reale e sconvolgente nella biografia del poeta?
Tra le moltissime interpretazioni del personaggio di Beatrice ne abbiamo scelte due, significative anche perché antitetiche. Quella dello studioso tedesco Erich Auerbach (1892-1957) sottolinea che è inutile ragionare sulla concretezza dell’esperienza amorosa di Dante: ciò che conta è l’immagine di Beatrice come mito di perfezione, destinato a essere “figura” della rivelazione che la grazia divina manda a Dante per guidarlo alla visione di Dio. L’altra interpretazione è dello scrittore e saggista argentino Jorge Luis Borges (1899-1986), secondo il quale è la sofferenza per un amore non ricambiato a spingere Dante a scrivere la Commedia e a invidiare il destino dei due amanti Francesca e Paolo, condannati sì all’Inferno, ma uniti per sempre. A suo giudizio, ogni chiave allegorica o figurale è inadeguata a cogliere il significato che l’incontro con Beatrice ha determinato nella vita del poeta.