La Divina Commedia

770 Canto XXXIII 97-105 Così la mia mente, interamente assorta, guardava fissa, immobile e sollecita, e sempre si accendeva (del desiderio) di guardare. Dinanzi alla luce divina si diventa tali che guardare un altro oggetto, distogliendosi da lei, è impossibile che ci sia mai consentito, perché il bene, che è l oggetto cui tende la volontà, si raccoglie tutto in lei (la luce divina) e, eccetto quella, nessun altro bene è senza difetto. (vv. 106-145) La visione della Trinità e del mistero dell Incarnazione 106-114 D ora in avanti la mia parola sarà insufficiente, non solo per quel che vidi, ma anche perché poco mi è rimasto nella memoria, come quella di un bambino che ancora prende il latte. Non perché nella luce splendente che io guardavo ci fosse una varietà di aspetti, essa è sempre com era prima, immutabile, ma perché, contemplando Lui, acquistava forza in me la potenza della vista: modificandomi io, si modificava una identica parvenza nella mia visione. 115-126 Nella profonda e luminosa essenza della luce sublime mi apparvero tre cerchi di tre colori e d una stessa dimensione, e l uno pareva riflesso dall altro, come un arcobaleno da un altro arcobaleno, e il terzo appariva come un fuoco che da una parte e dall altra spirava in egual misura (dagli altri due). Oh, quanto è inadeguata la parola e com è oscura rispetto al mio pensiero! e questo concetto, a sua volta, paragonato alla visione stessa, a quello che io vidi, è così poca cosa che non basta a indicarlo la parola «poco . O luce eterna, che in te sola ti posi, che sola ti intendi e nell essere compresa e nel comprenderti ti ami e gioisci! 100-105. A quella ... perfetto: la terzina esprime concetti tipici della cultura medievale: chi contempla la luce divina, diventa tale che è impossibile volgersi a un altro oggetto (Tommaso d Aquino, Summa theologi , «Compendio di teologia ). Poi viene spiegata la precedente affermazione: la volontà umana tende inevitabilmente al bene; Dio è il bene assoluto e non possiamo non volgerci a Lui, perché tutte le cose oggetto del nostro desiderio sono copie imperfette di Dio, il quale è perfezione assoluta (Severino Boezio, De consolatione philosophiae, «La consolazione della filosofia ). 106-108. Omai ... mammella: Dante prepara il lettore alla visione divina, dichiarando come le facoltà umane siano inadeguate a descrivere l essenza paradisiaca: la sua parola insufficiente (corta) rispetto a quel che vide, ma anche rispetto a quello che la memoria ricorda, sarà simile al balbettio inarticolato di un lattante (fante, dal latino infans = che non parla; la sillaba iniziale è caduta per aferesi). Così la mente mia, tutta sospesa mirava fissa, immobile e attenta, 99 e sempre di mirar faceasi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto 102 è impossibil che mai si consenta; però che l ben, ch è del volere obietto, tutto s accoglie in lei, e fuor di quella 105 è defettivo ciò ch è lì perfetto. Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch io ricordo, che d un fante 108 che bagni ancor la lingua a la mammella. Non perché più ch un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch io mirava, 111 che tal è sempre qual s era davante; ma per la vista che s avvalorava in me guardando, una sola parvenza, 114 mutandom io, a me si travagliava. Ne la profonda e chiara sussistenza de l alto lume parvermi tre giri 117 di tre colori e d una contenenza; e l un da l altro come iri da iri parea reflesso, e l terzo parea foco 120 che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch i vidi, 123 è tanto, che non basta a dicer poco . O luce etterna che sola in te sidi, sola t intendi, e da te intelletta 126 e intendente te ami e arridi! La similitudine vuole sottolineare l abissale distanza dell umano dal divino con un immagine semplice, in apparente contrasto con l elevatezza dell argomento. 109-114. Non perché ... si travagliava: Dante vuole prevenire una obiezione. Dio, che prima gli era apparso come un punto splendente, un unità, ora si trasforma (si travagliava) in trino: ma Dio non è uno e immutabile nella sua essenza e perfezione? Le facoltà visive di Dante si sono acuite (s avvalorava), fortificate dalla luce divina, ma comunque la vista umana non può cogliere tutto nel suo insieme, coglie solo gli aspetti singoli e quindi sembra che il soggetto muti dinanzi agli occhi. 115-120. Ne la profonda ... si spiri: il poeta tenta di descrivere la Trinità, sotto forma di tre cerchi (figura geometrica perfetta per eccellenza) di tre colori diversi e di un unica dimensione (contenenza), di cui uno (il Figlio) è idea della mente del Padre, infatti sembra riflesso nell altro (il Padre), come un arcobaleno (iri = iride) è riflesso da un altro arcobaleno; il terzo cerchio (lo Spirito Santo) sembra un fuoco (l amore di Dio) che derivi egualmente da entrambi (quinci e quindi). Nella dottrina cristiana al Padre si attribuisce la potenza, al Figlio la sapienza o parola (Verbo), allo Spirito Santo l amore. 121. corto ... fioco: ritorna ancora una volta il concetto espresso nei vv. 106-108: la parola di Dante, e quindi la rappresentazione artistica, è insufficiente (corta, cfr. v. 106) e debole (fioco Inferno I, 64) rispetto alla grandiosa visione, anzi, è quasi nulla (poco). 124-126. O luce ... arridi!: si noti la tensione intellettuale di Dante che invoca e loda la Trinità, in cui il Padre intende ed è inteso (intelletta) dal Figlio, e nell atto di intendersi si ama (Spirito Santo); sidi è un latinismo (da sidere, aver sede, stare); arridi significa «sorridi : il sorriso contraddistingue le anime del Paradiso è manifestazione di letizia e di di amore e, nel contempo, esprime il rapporto tra Dio e l universo.

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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato