La Divina Commedia

Dal tono tragico-lirico al registro basso. Lo stile tragi- co apre più avanti il monologo di maestro Adamo (O voi che sanz alcuna pena siete, / e non so io perché, nel mondo gramo guardate e attendete / a la miseria del maestro Adamo, vv. 58-61), il quale, mostruosamente deturpato dalla punizione divina della malattia (il corpo è a forma di liuto), si ritiene vittima di un ingiustizia (La rigida giustizia che mi fruga / tragge cagion del loco ov io peccai / a metter più li miei sospiri in fuga, vv. 70-72). E animato dal desiderio bruciante di bere tenta quasi di sottrarsi all atmosfera infernale, ripensando ai freschi ruscelli del Casentino. L immagine elegiaca dei ruscelletti d i verdi colli e dei canali freddi e molli (aggettivi di derivazione virgiliana, Bucoliche X, 42) e l effetto onomatopeico di scorrevolezza, dovuto alla frequenza delle consonanti liquide e delle -i, costruiscono un ossimoro con l arsura del dannato, il quale si asseta al ricordo ancor più che per la malattia (m asciuga, v. 68; mi discarno, v. 69). Dal lirismo dei ricordi si passa al rancore e al desiderio di vendetta nei confronti dei conti Guidi, fomentatori del peccato, sottolineati dalle rime aspre e difficili come oncia (v. 83), sconcia (v. 85), non ci ha (v. 87). Più precisamente non ci ha (modellato sul francese il y a, «non c è ) è una rima composta, poco udibile quando si legge: dopo la pronuncia faticosa delle due precedenti (oncia, sconcia), la voce quasi si indebolisce (nòncia) e il significante comunica il significato di un progetto irrealizzabile del dannato di percorrere undici miglia (più di sedici chilometri), impedito com è nei movimenti e deformato dalla malattia. Il convergere di cultura alta e comica si conferma nelle ultime parole di maestro Adamo: la zuffa a suon di pugni e insulti con il vicino Sinone, le offese vicendevoli per le colpe commesse e per la diversa punizione che li tortura, lo rigettano nel fondo dell abiezione e ribadiscono la sua umanità incapace di redenzione. L urto stridente tra il colto parlatore che utilizza reminiscenze della classicità (la ricercata perifrasi mitologica che designa l acqua come «specchio di Narciso ) e il verbo basso «leccare , che definisce un gesto bestiale e degradato nel miraggio di un goccio d acqua, sottolinea quel cozzo di registri stilistici antitetici, esemplare degli ultimi canti dell Inferno. La condanna della tenzone Il modello stilistico del «rinfaccio tra maestro Adamo e Sinone è quello della tenzone, poesia comica praticata da Dante nella produzione giovanile, per esempio con Forese Donati. E negli ultimi versi del canto, il rimprovero di Virgilio al cedimento di Dante affascinato dal diverbio, che fa leva sulle basse voglie di chi l esercita e di chi vi assiste compiaciuto, lascia trasparire la condanna del genere letterario della tenzone e della poesia comica in generale. Dante-personaggio, trascinato nel girone della volgarità, raggiunge un altra tappa del suo personale percorso di purificazione, allontanando da sé l esperienza della tenzone tanto sul piano letterario quanto su quello morale ( Dante maestro di retorica, p. 118). «Dante ha un istante di cedimento, si annulla, diventa puro spettatore, scrive lo studioso di Dante Enrico Fen- zi, «e certo, nell Inferno, ciò non gli è consentito. Di più, questo suo cedimento tocca il suo culmine proprio durante l alterco dei due, quasi egli ne fosse stato in qualche modo affascinato: e proprio l abile e persino divertita tessitura delle battute quasi una prova di mestiere e di padronanza delle regole del genere può indurci a pensare che Dante intenda significare che egli sta allontanando da sé l esperienza della tenzone tanto sul piano letterario quanto su quello morale, e qui sia insomma un altra tappa del suo personale percorso di purificazione. Detto questo, io sottolinerei un aspetto specifico della questione, e cioè che [...] Dante approfitta, diremmo, dei falsari veri per condannare quello sterile e pericoloso esercizio di falsificazione verbale ch è la tenzone, che può avere qualche parziale scusante ma comporta, di fatto, che il male sia ridotto a un pretesto retorico che fa leva sulle basse voglie di chi l esercita e se ne compiace. Come osserva Contini, l intervento di Virgilio a distogliere il discepolo dall assistere a un così plebeo spettacolo sembra anticipare proprio quella scena del Purgatorio: quando Dante si lamenterà con Forese Donati delle loro comuni esperienze giovanili (vedi Purgatorio canto XXIII). William Blake, Illustrazioni per la Commedia, canto XXX (Mirra e Gianni Schicchi) Inferno Maestro Adamo 261

La Divina Commedia
La Divina Commedia
Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato