Analisi e interpretazione

260 Canto XXX Analisi e interpretazione Per approfondire Inventare una lingua La costruzione del canto La gamma dei registri stilistici L ultimo canto dedicato a Malebolge si apre con una lunga similitudine, in cui i furori più insani e sanguinari di celebri personaggi del mito vengono richiamati per descrivere la ferocia ancora maggiore di due dannati afflitti da idrofobia e che si avventano come porci infernali sugli altri, addentandoli. Con un alternanza che ricorre in tutto il canto, figure tragiche come quella di Mirra sono accostate a volgari truffatori come Gianni Schicchi, oppure dalla solennità del registro si passa al comico-grottesco come per maestro Adamo che prende a parlare con toni alti e nostalgici per finire nella più cruda volgarità in rissa con Sinone. L elemento distintivo del canto è dunque la forte mescolanza di personaggi e di stili. La follia raccontata nel mito, per quanto raffiguri un tratto animalesco nei dispietati artigli di Atamante e nel latrare come cane di Ecuba, potrebbe sembrare inconfrontabile con gli spiriti rabbiosi di Gianni Schicchi e di Mirra, che mordono i compagni di pena. Allo stesso modo appare dissonante al lettore l accostamento tra figure lontane secoli: Mirra, la tragica eroina antica colpevole d incesto, con il burlone duecentesco Gianni Schicchi, la cui colpa è la beffa; così come accade per il coniatore di falsi fiorini maestro Adamo, personaggio che domina la seconda parte del canto, e il bugiardo Sinone, colpevole di aver persuaso Priamo a fare entrare nella città di Troia il cavallo di legno escogitato da Ulisse. La stridente differenza tra i personaggi, il contrasto fra tragedia e farsa, fra umano e disumano nelle vicende del canto e, anche, nella stessa persona, si riflette nel pluristilismo del canto. I contrasti tematici A questo proposito il critico Gianfranco Contini ha rilevato come nei versi danteschi siano «frammiste, e proiettate su identica scala, storia e cronaca, mitologia sacra e profana, entità documentarie e immaginarie: fuori del tempo per noi storico, e sul piano d un univoca verità . Il mito, insomma, che trasforma Atamante in una belva sanguinaria ed Ecuba in una cagna latrante, rientra nella logica del giudizio infernale che lo riduce al comune denominatore della violenza bestiale. La sorte di quei personaggi può essere evocata prima di descrivere, in una commistione di mito, storia e cronaca, quella mostruosa specie dei falsificatori di se stessi, come Gianni Schicchi e Mirra: il peccato che accomuna i due idrofobi consiste nell aver assunto con fraudolenza fattezze non proprie, di Buoso, nel caso di Gianni Schicchi, e della madre nel caso di Mirra. Allo stesso modo maestro Adamo e Sinone sono il simbolo del degradarsi dell intelligenza usata a fin di male. In definitiva questi contrasti rappresentano due aspetti dell umanità che, messi sullo stesso piano nella degradazione di Malebolge, partecipano di una stessa avvilente miseria, quando l anima perde con il peccato la sua vicinanza a Dio. Dalla solennità del mito al comico-grottesco. All attac- co mitologico e al tono solenne dell incipit corrispondono scelte lessicali latineggianti e strutture formali elaborate. Le ampie similitudini, tratte dalle Metamorfosi di Ovidio, narrano episodi tragici dei miti tebani e troiani (la follia di Atamante e il dolore disperato di Ecuba), ma anche preparano, filtrano culturalmente e placano «nel lungo dire, l avvento di quell alienazione bestiale che regna nella realtà infernale (G. Contini). Al lessico e alla struttura latineggianti della follia di Atamante (gridò «Tendiam le reti, sì ch io pigli / la leonessa e leoncini al varco , vv. 7-8; e poi distese i dispietati artigli / prendendo l un ch avea nome Learco / e rotollo e percosselo ad un sasso, vv. 9-11) o all espediente formale degli enjambement che dilatano la forza del verso e anche lo spazio della tensione dolorosa di Ecuba (e del suo Polidoro in su la riva / del mar si fu la dolorosa accorta, forsennata latrò sì come un cane; / tanto il dolor le fé la mente torta, vv. 18-21), fa da contrappunto la realtà dei due dannati con cui sono paragonati: il registro comico sottolinea, infatti, il gesto di Gianni Scricchi che azzanna il malcapitato Capocchio alla nuca, facendogli grattare il ventre sul terreno (grattar li fece il ventre al fondo sodo, v. 30). Giovanni Stradano, Illustrazione per il canto XXX, 1587.

La Divina Commedia
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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato