T1 - Umberto Galimberti, La vecchiaia come fase di ascolto

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1 Umberto Galimberti

La vecchiaia come fase dell’ascolto

Nel brano che segue Umberto Galimberti esprime il proprio punto di vista sull’età della vecchiaia e sottolinea la necessità da parte del mondo della psicologia di occuparsi maggiormente dello studio e approfondimento di questa fascia d’età.

[Secondo] Jung, […] la vecchiaia è un orizzonte positivo dove si compie quel “processo di individuazione” che consente a ciascuno di noi di diventare ciò che “in fondo” siamo, mentre per Freud questa possibilità è preclusa perché, in base alla sua interpretazione della vita, la vecchiaia segna il puro e semplice ritorno all’inorganico. In una lettera a Thomas Mann del 1935, pochi anni prima di morire, Freud scrive:

accetti da me un affettuoso saluto per il suo sessantesimo compleanno! Potrei anche augurarle una vita molto lunga e felice, come si è soliti fare in simili occasioni. Ma me ne astengo. La mia personalissima esperienza mi fa pensare che sia bene che un destino compassionevole ponga un giusto limite alla durata della nostra vita! […]

Dunque ci sono diversi modi di invecchiare. Freud e Jung ne sono esempi, ma almeno chi ha contatto con le persone anziane non le privi delle possibilità ancora contenute nel loro corpo già in decadenza, del loro ambiente abituale, dei loro affetti non ancora stereotipati prima del tempo. Ma per questo occorre prestare più attenzione alla vecchiaia, perché se è vero che conosciamo tutti i riti di passaggio che caratterizzano l’adolescenza che dall’infanzia porta alla giovinezza, è altrettanto vero che non prestiamo alcuna attenzione a quei riti che dovrebbero accompagnare il passaggio dall’età adulta alla vecchiaia, quando comincia l’autunno della vita.

A caratterizzare quest’età non è la tristezza, ma una noia sottile perché, per quante novità succedano, scopri che ognuna di esse altro non è che una nuova formulazione di qualcosa di già visto. E questa noia disaffeziona dal tempo a venire e ti rende più familiare e quasi amica la fine.

Hai imparato che la saggezza, che di solito si attribuisce a chi ha una certa età, altro non è che la somma delle esperienze che hai fatto e che non puoi trasmettere, perché l’esperienza degli altri non serve a nessuno, tanto meno ai giovani che devono fare la propria. A questa età allora capisci che chi ti sta intorno non è lì per chiederti consigli o insegnamenti, ma ascolto. Un ascolto curioso e attento, soprattutto verso quel mondo tumultuoso e spesso incomprensibile che sprigiona la giovinezza.

Dal mondo esterno ti ritiri in quello interiore. Meno vacanze, meno viaggi, meno spettacoli del mondo, che ti offre sempre meno novità, perché sta diventando in ogni dove sempre più uniforme. E allora prendi a percorrere tutti i sentieri mai frequentati della tua anima, e scopri che il mondo altro non è mai stato che la tua visione, la tua interpretazione del mondo. In fondo dal tuo Io non sei mai uscito. E la vecchiaia è un’ottima occasione per uscire da sé e, attraverso l’ascolto, scoprire i mondi degli altri di cui mai ti eri davvero incuriosito.

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1. Quale sentimento, secondo Galimberti, caratterizza la vecchiaia?

2. Quale occasione offre la vecchiaia secondo l’autore?

 >> pagina 498 

|⇒ T2 Secondo Giacobbi

Essere anziani oggi

In questo brano l’autore riflette sulle conseguenze dell’allungamento della vita nella concezione della vecchiaia da parte della società.

L’inaudito protrarsi della morte e, di conseguenza, di una vecchiaia sempre più debilitata e bisognosa di assistenza costante, ha profondamente modificato lo statuto sociale e antropologico del vecchio. Spossessati, per lo più, della propria capacità di autosufficienza, spesso mentalmente degradati, molti vecchi, vecchi sempre più numerosi, si ritrovano spogliati della dignità e del rispetto sociale che un tempo era loro conferito. L’attenzione che la società post-moderna riserva loro e reclama per loro è infatti un’attenzione meramente accudente, iperprotettiva, infantilizzante. Niente a che vedere con il rispetto, persino un po’ intimorito, di un tempo, quando il vecchio era visto come uomo saggio ed esperto di vita, e grazie a questa sua “competenza” esistenziale vedeva compensato l’impoverimento di status connesso con il venir meno della capacità lavorativa. Oggi, invece, l’uomo vecchio non viene più vissuto e rappresentato come incarnazione, per dirla in termini junghiani, dell’archetipo del Senex, saggio e autorevole. Lo impedisce, certo, l’adolescenzialità ed il giovanilismo pervasivi e tirannici della società del narcisismo, che impone bellezza e giovinezza perenni; ma lo impedisce altresì la ben diversa condizione esistenziale dei vecchi di oggi, irreparabilmente decaduti nella loro protratta longevità e sempre più spesso degradati da forme varie e sempre più diffuse di demenzialità (la gerontologia rileva ad esempio una crescita esponenziale dell’Alzheimer). […]

Quanto al prelievo di risorse a favore dell’accudimento delle longevità invalidate e a discapito di altre fasce d’età ugualmente bisognose di sostegno, ricordo una scioccante dichiarazione del ministro Usa della sanità: «Noi spendiamo 14 dollari dei fondi per l’assistenza sociale a favore di ogni anziano e solo 1 dollaro per ogni bambino». Assistiamo così ad una singolare inversione dei criteri morali che hanno sinora diretto e governato le scelte dell’etica e della politica di fronte alla vita e alla morte: è come se un nuovo codice prescrivesse, per fare un esempio credo appropriato e rivelatore seppur paradossale, che, in caso di naufragio, anziché prima le donne e i bambini, si facessero scendere nelle scialuppe i vecchi, e a partire dai più longevi! […]

Sembra quindi confermato […] un aumento progressivo del periodo, ormai pluriennale, di sopravvivenza in età molto avanzata e in condizioni di degrado e perdita dell’autonomia. È possibile quindi, e non fantascientifico, immaginare che nei prossimi decenni tenderà a strutturarsi un nuovo ciclo di vita, in cui gli ultimi anni, che arriveranno sempre più comunemente oltre il secolo di vita, vedranno il soggetto umano, tranne rare eccezioni, allettato, privo di autonomia, mentalmente decaduto, necessitante di un accudimento totale.

La fetalizzazione degli individui conoscerebbe così una sua piena realizzazione anche concreta: dalla iniziale condizione fetale dei nascituri e del neonato alla condizione rifetalizzata di vegliardi destinati alla morte, in cui però il processo di morte potrà essere procrastinato anche per lunghi anni.

Profondi cambiamenti strutturali e culturali hanno dunque investito, in questi ultimi decenni, la famiglia italiana, che ormai non è più solo una famiglia “nucleare”, ma una famiglia per lo più con un solo figlio, una famiglia dunque piccola o meglio “stretta”, come preferiscono dire i sociologi; al tempo spesso, però, la famiglia italiana è “lunga”, cioè si caratterizza per il permanere in essa di legami molto forti con le famiglie di provenienza dei due coniugi, in particolare con i loro genitori. […] Ma tutto ciò altera profondamente i rapporti dei familiari con i propri anziani, e incrina la stessa relazione affettiva con essi, oltre a suscitare e alimentare dinamiche conflittuali all’interno del gruppo famiglia. Così lo stesso rapporto dei figli con il vecchio genitore si caratterizza per l’acutizzarsi e, talora, l’esasperarsi di quegli aspetti di profonda ambivalenza che da sempre accompagnano tutte le relazioni affettive più significative e impegnative. È questo un aspetto difficile da cogliere, da esplicitare e da segnalare, perché imbarazzante e abitualmente giudicato da molti […]. Oggi la vecchiaia protratta degli stessi genitori è vissuta, dobbiamo pur rilevarlo e segnalarlo, piaccia o non piaccia, come gravosa e dispendiosa, tale da imporre costi e sacrifici un tempo ignoti.

Rispondi

1. Quale previsione paradossale fa l’autore sulla società futura?

2. Che cosa intende Giacobbi con il termine “fetalizzazione”?

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane