6 La crisi esistenziale

6. La crisi esistenziale

L’età adulta è fortemente desiderata dai bambini e dagli adolescenti: in questo periodo della vita non si dipende più dagli altri, si diviene padroni delle proprie scelte, perché affrontate in autonomia. Questa padronanza si risolve anche in un potere decisionale, poiché sono gli adulti a essere legittimati a operare delle scelte che riguardano coloro che si trovano in altre fasi della vita: i bambini, i giovani e spesso anche gli anziani. Inoltre, è a partire dalla capacità lavorativa degli adulti che il contesto sociale trae le risorse per mantenere, curare e rendere funzionale l’intero sistema sociale.

Tutto ciò comporta grosse responsabilità per gli adulti, il cui peso può essere talvolta motivo di crisi.

6.1 LA FUGA DALLE RESPONSABILITÀ

Nel saggio Teoria della psico­analisi, pubblicato nel 1913, lo psicoanalista Carl Gustav Jung (1875-1961) sostiene che, nella vita dell’individuo, il periodo che va dai quaranta ai sessantacinque anni rappresenta una svolta decisiva: si passa infatti dalla parte espansiva dell’esistenza, che raggiunge il suo compimento nella fase precedente (dai venticinque ai quarant’anni), a una fase dominata dall’introversione e dalla riflessione sulle parti più intime del proprio sé. Questa esperienza, che obbliga a fare i conti con se stessi e con le realizzazioni concrete della propria vita, non è sempre facile perché comporta l’adozione di un atteggiamento diverso e il confronto con alcuni aspetti del Sé che prima erano lasciati in ombra: ci si avvicina all’idea che il proprio cammino abbia superato la metà del percorso e che il proprio futuro sia più breve del passato.

Se l’accoglimento di questa nuova dimensione non si realizza in modo adeguato può avvenire che si manifestino comportamenti di rifiuto e una sensazione di disadattamento.

Gli adulti disadattati tendono a comportarsi come bambini o come eterni adolescenti, rifiutano le responsabilità, vengono meno ai loro impegni e spesso utilizzano strategie di fuga. In particolare, ritengono che le vicende della loro vita non siano state tali da soddisfare le loro aspettative: il lavoro è noioso e mal retribuito, la vita di coppia deludente, il rapporto con i figli ridotto a pochi momenti significativi.

Il contesto sociale della società odierna, caratterizzato da una forte diffusione di immagini che descrivono stili di vita molto elevati e gratificanti, non fa che aumentare il senso di disadattamento e di conseguente disimpegno. Le amare riflessioni che ne conseguono portano a progettare nuove esistenze in paesi lontani, a riscoprire modalità relazionali tipiche dell’adolescenza, a respingere tutte le iniziative volte a rendere stabile la propria situazione. L’antropologo David Le Breton, in un saggio che si intitola Fuggire da sé. Una tentazione contemporanea (2016), spiega come le richieste di successo e di continua reinvenzione poste dalla società contemporanea facciano sì che qualcuno decida di estraniarsi e di rinunciare al suo ruolo e ai suoi compiti abbandonandosi all’alcol, alla droga, al gioco o tentando veramente la fuga verso terre lontane per sottrarsi ai legami sociali. In altre circostanze questo malessere si trasforma in un disturbo che può assumere la forma della depressione.

In realtà, essere adulti significa saper accettare i propri limiti e cogliere il valore della propria esistenza all’interno di un quadro di riferimento realistico, libero dalle illusioni adolescenziali o infantili e poco condizionato dalle suggestioni immaginarie che la nostra società ci propone ogni giorno.

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per immagini

La chiusura in se stessi

Il celebre pittore Vincent van Gogh (1853-1890) ha dipinto questo ritratto nel 1890, pochi mesi prima della sua morte, mentre si trovava nell’ospedale di Saint-Rémy de Provence per curarsi in seguito a una crisi personale. Il soggetto dipinto non è il pittore, ma un veterano di guerra, e il quadro trasmette immediatamente una sensazione di disagio interiore. Il soggetto è ripiegato su se stesso, come se cercasse nella propria mente e interiorità risposte a domande insondabili. L’immersione nei propri pensieri e la sensazione di impotenza di fronte alla vita sono atteggiamenti tipici di un disturbo depressivo.

6.2 LA DEPRESSIONE

La depressione non dipende solo da fattori psicosociali quali separazioni coniugali, fallimenti, licenziamenti, traumi, lutti o altre vicende sgradevoli. Essa infatti può derivare da fattori genetici o biologici che possono predisporre al suo manifestarsi. In ogni caso, la percentuale di persone che soffrono di depressione è in costante aumento e, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel giro di pochi anni sarà la seconda causa di invalidità dopo le malattie cardiovascolari.

Oggi soffrono di depressione nel mondo più di 350 milioni di persone, distribuite prevalentemente in Asia, in Europa e negli Stati Uniti. La depressione può colpire chiunque in qualsiasi periodo della vita, ma i dati mostrano che a soffrirne sono soprattutto gli adulti, con una prevalenza della popolazione femminile; in Italia le persone depresse sono circa tre milioni: due milioni di donne e uno di uomini.

I sintomi più comuni della depressione sono perdita di energia, forte sensazione di affaticamento, insoddisfazione per ciò che si fa, mancanza di speranza, sensazione di fallimento incombente, una forte componente di autocritica e di autosvalutazione e un pensiero pessimista.

Il depresso è continuamente immerso nei propri pensieri come in una costante “ruminazione” da cui non riesce a distogliersi o a liberarsi: da ciò deriva un comportamento caratterizzato da frequenti lamentele, rinunce, rifiuto della terapia e, assai spesso, pensieri o tentativi di suicidio. In conseguenza di ciò i soggetti che soffrono di depressione tendono a isolarsi, perdono la capacità lavorativa, rifiutano le relazioni con il partner e aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.

La depressione può essere trattata sia a livello farmacologico sia attraverso la psicoterapia: poiché non sempre uno solo di questi trattamenti è efficace, solitamente un trattamento adeguato prevede entrambe le soluzioni.

Nel corso del tempo sono state formulate numerose teorie che hanno cercato di offrire delle spiegazioni sulle dinamiche di questo disturbo. In ambito psicoanalitico, Sigmund Freud descrive la dinamica della depressione come un attacco che il soggetto rivolge a se stesso in seguito alla delusione prodotta dalla perdita di un oggetto d’amore. In ambito comportamentista, Martin Seligman (n. 1942) sottolinea maggiormente la sensazione di impotenza quando si è in una situazione in cui nulla può esser fatto per migliorare lo stato delle cose. In ambito cognitivista, infine, secondo Aaron Beck (n. 1921) uno dei fattori fondamentali da individuare nella depressione risiede nel fatto che il soggetto adotta schemi disfunzionali, cioè sviluppa credenze su di sé caratterizzate da senso di perdita, disperazione e autocritica, come per esempio la sensazione di non essere all’altezza o di essere inadeguato.

per lo studio

1. Qual è la risposta più frequente in seguito a una sensazione di disadattamento?

2. Descrivi i principali sintomi della depressione.


  Per discutere INSIEME 

Nel cinema contemporaneo compaiono spesso storie di adulti disimpegnati che si misurano con i loro fallimenti esistenziali. Fatevi suggerire un film dall’insegnante e guardatelo in classe ecercando di individuare le caratteristiche comuni di coloro che fuggono dalle proprie responsabilità. Poi confrontatevi fra compagni.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane