4 Diventare padre: educare alla vita

4. Diventare padre: educare alla vita

4.1 Una funzione di matrice culturale

Da un punto di vista evolutivo e naturalistico, alla funzione materna, la cui esistenza è stata da sempre giustificata alla luce della finalità di sopravvivenza della specie, si è affiancata, in un secondo momento, la funzione paterna. Tale fenomeno sarebbe riconducibile al progressivo abbandono degli obiettivi di competizione e dominazione fra maschi della specie e alla contestuale formazione dei primi nuclei familiari. La genitorialità maschile, dunque, a differenza del passaggio da donna a madre, è stata frutto più di una spinta culturale che di un istinto innato; d’altronde, la natura ha costruito la cura della prole intorno alla figura materna, mentre sul maschio ricade il ruolo di fecondare la femmina. Il cambio di prospettiva, o quantomeno l’ambivalenza genitore-padre, sono rinvenibili anche nella stessa parola “padre”, la cui radice dal sanscrito pa- (connessa anche a “pane”) indica “nutrizione”, implicando, quindi, un accudimento continuativo tipico della madre.

Al riguardo, lo psicoanalista Luigi Zoja parla di «invenzione del padre», da genitore biologico a figura dedita alla cura e alla protezione dei figli; nel suo libro Il gesto di Ettore (2000), la paternità è associata all’adozione perché, come quest’ultima, richiede intenzione e consapevolezza. In tal senso, si fa riferimento al diritto romano, secondo cui occorreva che il padre innalzasse il figlio al cielo per formalizzarne la “adozione”. Connesso a tutto ciò è il «paradosso del padre»: secondo Zoja, l’uomo si trova di fronte alla gestione complessa di due richieste contrapposte: la conferma della figura forte e virile nella società (maschio pre-paterno, la parte animale) e la rinuncia a essa nell’ambiente familiare per prendersi cura della prole (maschile paterno). Nel favorire questo passaggio, risultano determinanti anche il sostegno e il ruolo della donna e dei figli stessi.

Nel panorama delle specie di mammiferi, solo una minima percentuale prevede un ruolo del maschio di accudimento o, comunque, di nutrimento della prole. Pertanto, si può sostenere che si tratti di un sostanziale tratto distintivo della nostra specie, a cui sono riconducibili vantaggi adattivi, sia in generale (riduzione del tasso di mortalità neonatale, sviluppo psicosociale del figlio e della funzione materna e così via) sia per specifiche situazioni (periodo adolescenziale, transizioni evolutive dei figli maschi). Ancora una volta, Zoja sottolinea la matrice culturale del maschile paterno, il che implica anche la necessità che la paternità sia insegnata e trasmessa, non essendo radicata nell’istinto: è proprio grazie alla cultura che il maschile animale viene educato e addomesticato. Nella donna, invece, questa elaborazione culturale non è necessaria, perché, in lei, per natura, convivono l’aspetto generativo e quello materno.

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4.2 Il mito di Ettore

Quando si parla di funzione paterna, tuttavia, non ci si riferisce esclusivamente al maschio adulto, ma al contributo qualitativo di tipo paterno alla crescita del bambino che può essere fornito a prescindere dal sesso. Tale contributo psicologico può essere ricondotto secondo Zoja al mito di Ettore, da cui deriva appunto il titolo del suo libro. Ettore coniuga in sé sia il maschile guerriero sia quello paterno, realizzando alla perfezione la sintesi del «paradosso del padre», togliendosi l’elmo per prendere in braccio il figlio Astianatte perché non pianga. Il paradosso di questo personaggio, eroe ma anche uomo che muore per mano del divino Achille, sta proprio nell’alternare questo gesto affettivo alla battaglia per difendere Troia, come accade per i padri di oggi, che alternano al lavoro la cura dei figli, una volta rientrati a casa.

Il gesto “verticale” di Ettore, che prende in braccio il figlio per rassicurarlo, senza perdere la propria autorevolezza, per Zoja, «sarà per tutti i tempi il marchio del padre». E inoltre, pregando gli dei affinché il figlio diventi più forte del padre, si denota proprio quella strutturazione del rapporto padre-figlio che comporta una speranza in un futuro migliore e che si allontana dalla concezione edipica di Freud che ravvisa in tale rapporto «invidia e gelosia omicida».

Tuttavia, nella società di oggi, non sempre il binomio cura-autorevolezza funziona, soprattutto con riferimento alla delicata fase evolutiva dell’adolescenza. I ragazzi tendono più a voler imparare dai propri coetanei anziché dalla figura paterna, anche in ragione dell’impatto della tecnologia che presuppone legami di tipo orizzontale. Dagli anni Settanta ai Novanta del Novecento poteva anche accadere che il padre tentasse di creare con il figlio una relazione complice di tipo amicale. Negli ultimi anni, anche a causa del consumismo e della continua ricerca di risposte rapide alle proprie domande, è sempre meno frequente il ricorso alla figura paterna per imparare ad affrontare le difficoltà della vita o, comunque, in un’ottica di modello progettuale a lungo termine. Ai padri di oggi, insomma, è richiesto un approccio pratico nelle singole situazioni che i figli dovranno affrontare, per poi ottenere da lui gli eventuali principi che potranno guidarli nel corso della vita.

CITTADINI RESPONSABILI

Quando mamma e papà si lasciano

Un tema molto delicato relativo alla separazione (o al divorzio) delle coppie genitoriali riguarda l’affidamento dei figli. La legge ha provato a fornire delle risposte, dovendo fare i conti non solo con le ricadute giuridiche ed economiche, ma anche, e soprattutto, con gli impatti psicologici sulla prole che la forzata alterazione della convivenza con entrambe le figure genitoriali potrebbe comportare (ovviamente, a prescindere da eventuali degenerazioni patologiche del rapporto con l’una o l’altra figura genitoriale).

Per i figli minorenni, la regola, a oggi, è quella dell’affidamento condiviso. Esso si basa sul principio per cui entrambi i genitori hanno il dovere giuridico di prendersi cura dei figli (anche nati al di fuori del matrimonio); tale dovere permane anche in caso di separazione o divorzio e si intreccia con il diritto del figlio alla bigenitorialità, ossia alla necessità di conservare rapporti continuativi con entrambi i genitori e i relativi parenti, a prescindere dall’eventuale conflittualità nel rapporto di coppia. Pertanto, entrambi i genitori dovranno esercitare la propria responsabilità genitoriale nei confronti del figlio, cioè, in particolare, condividere le decisioni più importanti che lo riguardano (si tratta, di norma, delle questioni relative all’educazione, all’istruzione e alla salute), tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Se i genitori non si accordano su come gestire l’ordinaria e, soprattutto, la straordinaria amministrazione dei figli, sarà il giudice a decidere per loro, valutando la soluzione più idonea nell’esclusivo interesse della prole, che può anche consistere nell’attribuzione del potere di decidere a uno solo dei genitori.

Naturalmente, è impossibile garantire anche una convivenza con entrambi i genitori. La fissazione della residenza abituale della prole (collocamento) può essere fatta in tre modi: collocamento prevalente presso il genitore ritenuto dal giudice più idoneo, con riconoscimento di modi e tempi per garantire il diritto di visita dell’altro genitore (modalità più diffusa, perché si presume che faccia bene al minore non cambiare continuamente il proprio ambiente di riferimento); collocamento alternato presso entrambi i genitori; collocamento invariato, ossia l’alternanza dei genitori nella casa familiare secondo turni prestabiliti.

per lo studio

1. Spiega perché la funzione paterna è considerata di matrice culturale.

2. Descrivi il «paradosso del padre».

3. Qual è il gesto di Ettore che Zoja definisce come il «marchio del padre»? E perché?


  Per discutere INSIEME 

Provate a chiedere ai membri più anziani della vostra famiglia come ci si rapportava con i genitori e in particolare con il padre quando essi erano bambini. Individuate le principali differenze con la realtà di oggi e confrontatevi fra compagni.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane