7.3 IL GIOCO
Ma dove si collocano gli oggetti transizionali? Winnicott individua a tal fine uno “spazio potenziale”, nel quale gli affetti più importanti si consolidano e dove fra le attività creative e spontanee dell’individuo sano trova spazio anche il gioco.
La creatività, in particolare, rappresenta il modo con cui l’individuo incontra la realtà esterna: è universale, ci appartiene per il solo fatto di essere vivi e, per questo, non può mai essere annullata, ma al più nascosta (ciò implica la differenza fra il vivere creativamente e il semplice vivere).
Il gioco rappresenta un focus identificativo del pensiero di Winnicott: è proprio grazie ad esso che il bambino compie un passo in avanti importante nella transizione dal Sé alla realtà esterna e sviluppa la capacità di partecipare alla creatività culturale del mondo. Il gioco riguarda sia il bambino che l’adulto, in virtù della loro creatività innata; entrambi riempiono lo spazio fra sé e l’ambiente mediante l’immaginazione e utilizzando i simboli. È dunque possibile affermare che l’origine del gioco del bambino e della vita culturale dell’adulto è la stessa.
Affinché questo fenomeno evolutivo possa accadere, il gioco deve assumere le seguenti caratteristiche:
- assorta partecipazione da parte del bambino in uno stato di quasi isolamento;
- sollecitazione del bambino a manipolare fenomeni esterni al servizio del gioco;
- situazione di fiducia nell’ambiente e capacità del bambino di stare solo;
- coinvolgimento del corpo (a causa della manipolazione degli oggetti);
- essere soddisfacente.
Lo spazio del gioco ha un’estensione variabile, dipendente dall’intensità del rapporto del bambino con la madre e, di conseguenza, fra il mondo interno e quello esterno.
Winnicott individua quattro fasi del gioco:
1 il bambino è fuso con l’oggetto, perché gli sembra “magicamente” di crearlo. Ciò è reso possibile dalla madre, che partecipa al gioco del bambino rendendo reale quel che lui sperimenta e, pertanto, contribuendo alla sua onnipotenza;
2 l’oggetto, dapprima ripudiato, è riaccettato ma, stavolta, attraverso una percezione oggettiva, nella quale la madre è posta in una realtà autonoma. Anche in questo caso è rilevante il grado di partecipazione della madre al gioco del bambino;
3 il bambino sta da solo, gioca in autonomia, ma alla presenza della madre. Egli ha così la certezza che, in caso di bisogno, può sempre contare su qualcuno;
4 il bambino accetta che anche la madre, che prima si è adattata al suo gioco, possa avere la propria area di gioco e introdurre nuove idee, sovrapponendosi al figlio: si pongono pertanto le basi per un rapporto in cui madre e figlio giocano insieme. Quest’ultima fase prepara il bambino allo sviluppo della creatività.
Il bambino, dunque, si integra progressivamente nel contesto culturale di riferimento grazie alla propria creatività, che è alimentata dalla capacità di ricercare la propria realtà interna soggettiva e che si concretizza nel gioco. È il gioco, infatti, che, da un lato, rappresenta il modo personale con cui si vive la realtà esterna, consentendo al soggetto di esprimere l’intero potenziale della propria personalità; dall’altro, attraverso l’atto creativo e la formazione come persona diversa dagli altri, favorisce le relazioni di gruppo. Secondo Winnicott il gioco è la base di tutta quanta l’esistenza esperienziale dell’uomo.