6.3 IL COMPLESSO DI EDIPO
Come appena accennato, all’incirca intorno ai quattro anni di vita il bambino comincia la propria esplorazione sessuale. Pur non ancora consapevole della differenza fra i sessi, in lui si manifesta un’attività di stimolazione dell’organo genitale, vissuto come un oggetto staccabile dal corpo: tipica di questa fase è l’angoscia di perdere il pene e diventare una bambina, la quale, a sua volta, non essendone dotata, dimostra i primi segnali di allontanamento dalla madre. È in questa fase, inoltre, che il bambino crea delle teorie sessuali, chiedendosi, per esempio, da dove arrivino i bambini: la cosiddetta fase dei “perché”.
A questo punto occorre riprendere brevemente il mito di Edipo, cui il tragediografo greco Sofocle (496-406 a.C.) dedicò due tragedie: Edipo re ed Edipo a Colono. Figlio di Laio, re di Tebe, e di Giocasta, Edipo è condannato a morte quando è ancora neonato a causa della profezia di un oracolo che aveva predetto che sarebbe stato l’assassino di suo padre e lo sposo di sua madre. Viene però risparmiato dal servo incaricato di ucciderlo e cresce come figlio del re in una corte straniera. Interrogato di nuovo l’oracolo, Edipo viene a conoscenza della profezia che lo riguarda, ma ignora che la patria dalla quale avrebbe dovuto allontanarsi, per evitare l’avverarsi della profezia, è Tebe. Lasciata allora la corte in cui è cresciuto, Edipo lungo la strada incontra il re Laio e lo uccide dopo una lite. Giunto nei pressi di Tebe, risolve l’enigma della Sfinge e in premio riceve la mano di Giocasta, con la quale genera quattro figli. Scoppia allora una pestilenza e l’oracolo rivela che essa finirà solo quando l’uccisore del re Laio sarà espulso da Tebe. È qui che comincia la tragedia Edipo re di Sofocle.
Perché il mito di Edipo? Perché, come già detto, il bambino, nella terza fase, quella “fallica”, comincia a interessarsi sessualmente alla madre, fantasticando di sostituirsi al padre nel rapporto con lei. Tuttavia, il padre è colui che, vendicandosi, potrebbe privarlo del suo principale oggetto di attenzione, ossia il pene (angoscia di castrazione): per questo motivo, il bambino abbandona l’interesse per la madre, identificandosi con il padre.
Per le bambine, vi sono due elementi di complessità.
- Il primo riguarda la necessità di cambiare il proprio oggetto d’amore, dalla madre al padre, una volta entrate nella fase fallica (il maschio, invece, mantiene la madre per tutta l’infanzia).
- Il secondo, accennato in precedenza, attiene alla delusione provata nei confronti della madre che non l’ha dotata del pene: è per averlo che la bambina seduce il padre (ricordiamo che siamo nella fase in cui il pene è inteso come oggetto staccabile dal corpo) e, più tardi, immaginerà di avere un bambino, equiparato inconsciamente proprio al pene. A differenza dei bambini, quindi, nelle bambine non vi è una paura di lesione fisica, ma di perdita dell’amore materno: il superamento del complesso edipico, dunque, avviene meno violentemente rispetto ai maschi; infatti, il padre spesso rimane per le bambine una figura attraente.
Il motivo del mito di Edipo alla base dell’omonimo “complesso” sta, intuitivamente, nell’accostamento fra le colpe dell’eroe inconsapevole e la natura inconscia degli individui. Il mito, infatti, descrive in modo efficace i desideri infantili innati, che il bambino è costretto a elaborare per intraprendere il percorso che lo porterà alla vita adulta. La fase edipica è da considerarsi, di norma, fisiologica: può, tuttavia, generare disturbi di tipo nevrotico in caso di reazioni non adeguate dei genitori in risposta ai comportamenti dei figli.