2 La teoria critica e la Scuola di Francoforte

2. La teoria critica e la Scuola di Francoforte

2.1 I teorici della Scuola di Francoforte

Nell’ambito delle scienze sociali, con l’espressione “teoria critica” ci si riferisce al lavoro intellettuale di una serie di studiosi tedeschi che vennero influenzati dal pensiero di Karl Marx e che furono attivi a partire dagli anni Trenta del Novecento. Questo gruppo di studiosi è anche noto col nome di Scuola di Francoforte, poiché il suo nucleo principale fu attivo proprio nell’università di questa città.

Fondata durante il periodo tra le due guerre, la Scuola raccoglie vari intellettuali accomunati da una forte critica nei confronti della società capitalistica. Il suo esplicito obiettivo è quello di liberare gli esseri umani dalle influenze delle ideologie della società in cui essi vivono.

La Scuola di Francoforte ha esercitato una notevole influenza sulla sociologia del secondo Novecento (nonché contemporanea), proprio perché ha aperto e mantenuto viva l’idea che la disciplina sociologica non debba solo descrivere in modo asettico le condizioni della società, ma anche criticare gli aspetti della realtà che vengono ritenuti sbagliati e che potrebbero essere migliorati.

I principali teorici appartenenti alla Scuola di Francoforte sono stati Herbert Marcuse, Theodor Adorno | ▶ L’AUTORE | e Max Horkheimer | ▶ L’AUTORE |, quest’ultimo in veste di principale figura di riferimento dell’intera Scuola. Divenuto direttore dell’Istituto di ricerca di Francoforte nel 1930, Horkheimer recluta molti degli studiosi di maggiore talento dell’epoca, tra cui Adorno, con il quale scrive Dialettica dell’Illuminismo (1944).

L’influenza della teoria critica si è sviluppata dopo la Seconda guerra mondiale sia in Europa sia negli Stati Uniti, dove molti studiosi di questa corrente si erano rifugiati per sfuggire alle persecuzioni del regime nazista. L’influenza della Scuola di Francoforte raggiunge il suo apice alla fine degli anni Sessanta, quando Herbert Marcuse e il suo libro l’Uomo a una dimensione diventano una delle fonti di ispirazione teorica del movimento studentesco del Sessantotto.

l’autore  Theodor Adorno

Theodor Adorno (1903-1969) è uno dei più eminenti filosofi tedeschi del Novecento, ma fornisce importanti contributi anche alla sociologia, alla psicologia e alla musicologia. Dopo aver iniziato a insegnare filosofia all’università di Francoforte, nel 1934 emigra in Inghilterra per sfuggire alla persecuzione nazista degli ebrei. Le conseguenze del nazismo sono un tema che ha una profonda influenza nel noto libro Dialettica dell’Illuminismo (1944). Dopo la sconfitta del nazismo, nel 1949, ritorna con il collega Max Horkheimer all’università di Francoforte, dove insieme ricostruiscono un centro per la ricerca sociale e solidificano la teoria critica della Scuola di Francoforte, che contribuisce al risveglio intellettuale tedesco dopo la Seconda guerra mondiale.

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l’autore  Max Horkheimer

Max Horkheimer (1895-1973) nasce a Stoccarda in una famiglia della ricca borghesia ebraica e inizia a lavorare presso la ditta del padre. Nonostante questa imposizione, continua a impegnarsi nello studio e consegue un dottorato di ricerca nel 1922. Nel 1930 ottiene la cattedra di filosofia sociale e viene nominato direttore dell’Istituto di ricerca sociale, ma all’affermarsi del nazismo in Germania si trasferisce a New York, dove continua il proprio lavoro presso la Columbia University. Nel 1940 ottiene la cittadinanza americana e inizia con Adorno la stesura del libro Dialettica dell’Illuminismo. Dopo la Seconda guerra mondiale può rientrare a Francoforte, dove ristabilisce l’Istituto di ricerca sociale, diventandone il direttore.

2.2 La dialettica dell'illuminismo e l’industria culturale

Dialettica dell’Illuminismo, scritto da Horkheimer e Adorno e pubblicato la prima volta nel 1944, è probabilmente l’opera più nota e rappresentativa della Scuola di Francoforte. Pur conservando gran parte delle caratteristiche dell’analisi marxista e del materialismo storico, finalizzati a comprendere i meccanismi di potere del sistema capitalistico, le argomentazioni critiche di Horkheimer e Adorno si discostano dall’analisi politico-economica per concentrarsi invece sulla critica del sistema ideologico della società industriale avanzata.

I due studiosi sviluppano una critica dei meccanismi culturali che, in una società avanzata, aiutano il potere economico e politico a imporre ai cittadini una particolare visione del mondo, riducendo così la loro autonomia e libertà all’interno di schemi prestabiliti, funzionali al profitto economico e al controllo delle coscienze individuali.

Secondo i due autori, il capitalismo ha applicato le regole schematiche dell’economia anche al mondo della cultura attraverso l’affermazione del sistema dell’industria culturale. Ciò significa che, nella società di massa – così come si stava profilando nel corso del Novecento – la circolazione dell’arte e della cultura segue la logica del profitto tipica del capitalismo. Le forme più alte di cultura, come i libri o la musica, non sono più il frutto del lavoro di artisti o filosofi ispirati dalla volontà di trasformare la società in qualcosa di migliore, ma sono invece espressioni di un sistema industriale ed economico che offre alla massa di consumatori prodotti banali e preconfezionati.

Non a caso, un mezzo di comunicazione di massa come la radio, divenuto negli anni Trenta uno strumento in mano alle dittature per aumentare la loro presa sul popolo, ha la caratteristica di non consentire all’ascoltatore una risposta o una reazione, diventando l’emblema di un modello di società in cui i cittadini non sono più soggetti attivi, ma recettori passivi dei messaggi trasmessi dal potere.

Per i due autori francofortesi, dunque, la società del Novecento diventa una fabbrica di beni culturali standardizzati e omogenei tra loro, come film di successo, canzoni orecchiabili o riviste alla moda, il cui unico scopo è quello di manipolare gli individui, rendendoli passivi, sottomessi all’ideologia del capitalismo e incapaci di ribellarsi a questa condizione di schiavitù.

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2.3 Marcuse e l'uomo a una dimensione

Alcune delle critiche al modello di vita delle società capitalistiche sviluppate da Horkheimer e Adorno furono elaborate ulteriormente da Herbert Marcuse | ▶ L’AUTORE |.

Marcuse è un’altra figura di spicco della Scuola di Francoforte, soprattutto per la critica che egli fece alla logica imperante del consumismo come strumento in mano al potere capitalistico per sottomettere i cittadini e sfruttare i lavoratori. Per questo suo approccio, più ancora di Adorno e Horkheimer, Marcuse divenne negli anni Sessanta l’intellettuale di riferimento dei movimenti studenteschi che, negli Stati Uniti come in Europa, mettevano in discussione il modello di società venutasi a creare nei decenni del dopoguerra.

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La società “unidimensionale”

Il libro di maggior successo di Marcuse è L’uomo a una dimensione, del 1964, in cui egli sviluppa una critica sia del capitalismo sia dei regimi comunisti dei paesi sovietici, mettendo in luce l’emergere di una nuova forma di sfruttamento, nonché il declino delle possibilità di mettere in campo una rivoluzione politica contro questa situazione.

L’analisi fatta da Marcuse del capitalismo deriva in parte da uno dei concetti principali sviluppati da Karl Marx, quello di ⇒ alienazione, tipico della società capitalista. Marx riteneva che il capitalismo sfruttasse gli esseri umani e che, con la produzione di beni di consumo, gli operai venissero alienati dal proprio lavoro perché comunque estranei dai profitti. Per questa via si realizzava una disumanizzazione del lavoro e una trasformazione delle persone in oggetti funzionali al profitto.

Marcuse amplia l’idea di Marx, sostenendo che il capitalismo e il modello della società industriale avanzata del dopoguerra hanno creato nelle persone dei falsi bisogni, che possono essere soddisfatti solo attraverso un sistema consumistico, basato sulla produzione e l’acquisto di merci. Questo sistema è dunque fondato su un doppio sfruttamento: da un lato, sullo sfruttamento del lavoro e, dall’altro, sullo sfruttamento di falsi bisogni che vengono veicolati attraverso i mass media, la pubblicità e le strategie di marketing.

Questa situazione si traduce, come dice il titolo del libro, in una società “unidimensionale”, in cui l’unica dimensione dell’esistenza è costituita dall’omologazione degli individui, senza la possibilità di sviluppare un pensiero critico e delle forme di opposizione e resistenza a questo sistema di controllo delle masse.

Attraverso questo ragionamento, Marcuse, a differenza di Marx, giunge alla conclusione che la classe operaia non è più la principale forza in grado di portare avanti un cambiamento rivoluzionario della società, perché essa stessa è oramai schiava dell’ideologia della produzione e del consumo. Egli ritiene che un cambiamento potrebbe venire solo da quei gruppi sociali non ancora integrati nella società unidimensionale, come gli emarginati, gli outsider, i perseguitati o i disoccupati: essendo al di fuori della inesauribile catena di produzione e consumo, queste figure sarebbero in grado di mettere in discussione il sistema esistente.

l’autore  Herbert Marcuse

Herbert Marcuse (1898-1979) nasce a Berlino da una famiglia ebrea che fabbrica tessuti. Studia all’università di Friburgo, dove nel 1922 consegue un dottorato in letteratura. Anch’egli, dopo la presa del potere nazista nel 1933, segue altri colleghi dell’università di Francoforte negli Stati Uniti, dove diventa un cittadino statunitense naturalizzato. Insegna prima alla Columbia University e dopo la guerra si sposta all’università della California a San Diego, dove, dopo la pensione, diventa professore onorario di filosofia. L’uomo a una dimensione (1964) non è solo il suo libro più famoso, ma è anche un testo di riferimento per i movimenti giovanili di protesta della fine degli anni Sessanta.

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2.4 critiche alla Scuola di Francoforte

Gli studiosi di Francoforte hanno avuto il grande merito di introdurre i temi del consumo e della cultura di massa come aspetti centrali per comprendere l’evoluzione delle società contemporanee e il rapporto tra l’ideologia dominante e la cultura. Tuttavia, questa prospettiva di studio è stata anche oggetto di numerose critiche.

Alcuni sostengono che la teoria critica della Scuola di Francoforte non è altro che una forma di “idealismo borghese”, isolato dalla realtà, come dimostra per esempio l’insistenza di Marcuse nel volere identificare in emarginati e disoccupati i motori di una nuova rivoluzione, che è difatti rimasta inattuata. Altri criticano la concezione di cultura di Horkheimer e Adorno che faceva coincidere la “cultura alta” in qualcosa di unicamente positivo, e la cultura di massa in qualcosa di unicamente negativo.

Molti studiosi dimostreranno in seguito che non sempre le persone sono schiave delle strategie manipolative dell’industria culturale, ma anzi sono in grado di sviluppare interpretazioni creative e autonome attorno alla cultura di massa. Per esempio, la musica semplice e diretta del punk, pur essendo agli antipodi della musica classica, è stata creata da gruppi di giovani che hanno messo in discussione il modello capitalista ed è diventata la colonna sonora della ribellione di generazioni di anarchici e radicali.

per lo studio

1. Qual è l’obiettivo della critica della Scuola di Francoforte?

2. Perché secondo Horkheimer e Adorno la cultura supporta il potere capitalistico?

3. Perché secondo Marcuse il consumismo è un fenomeno negativo?


  Per discutere INSIEME 

Uno dei temi che hanno caratterizzato il lavoro della Scuola di Francoforte è quello dell’analisi della cultura nella società capitalistica. Discutete insieme in classe per individuare diversi prodotti culturali (per esempio canzoni, libri, film, serie TV, programmi televisivi) che possano essere esempio di una cultura standardizzata, mirata a distrarre gli individui dai problemi sociali.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane