APPROFONDIAMO - L’antropologia femminista

approfondiamo  L’antropologia femminista

L’antropologia femminista ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione di un’attenzione antropologica ed etnografica alle sfere maschili e femminili che, fino agli inizi del Novecento, venivano studiate solamente da un punto di vista androcentrico. Tra il 1920 e il 1980 le antropologhe iniziano a operare nell’accademia, elaborando teorie e analisi per esplorare le disuguaglianze sociali. Innanzitutto separano la nozione di sesso da quella di genere ▶ unità 3, p. 115 |, prima intercambiabili, poi prendono le distanze dall’idea dicotomica maschio/femmina, lavoro/casa. Cercano inoltre di capire e spiegare come mai le donne siano sempre in una condizione di subordinazione, tratto universale e cross-culturale, trovando un riferimento nella teoria marxista sull’oppressione di classe, che ha rivestito un’importanza cruciale nel tentativo di spiegare l’oppressione delle donne.

Dagli anni Ottanta a oggi, le antropologhe non si occupano solamente delle asimmetrie di genere, ma anche delle differenze tra maschio e femmina. Questo comporta lo studio e l’analisi di categorie come età, religione, status sociale, lavoro, per cercare di capire che cosa significano e come interagiscono tra di loro, spostandosi dalla sfera maschile a quella femminile. Il potere è centrale nell’analisi dell’antropologia femminista in quanto è una componente fondamentale nella costruzione dell’identità: i dialoghi e le azioni attraverso i quali si costruisce l’identità avvengono infatti sempre in contesti asimmetrici di potere. Si iniziano studi sulla sessualità e il genere (queer theory), criticando la nozione di “eteronormatività”, secondo cui l’eterosessualità è l’unica norma per la sessualità, e quindi le istituzioni sociali basate su di essa. Alcune delle maggiori antropologhe che hanno trattato questi temi sono: Ruth Benedict, Margaret Mead, Sherry Ortner, Janet Carsten, Michelle Rosaldo, Nancy Scheper-Hughes, Lila Abu-Lughod, Marilyn Strathern. Fra i contributi più importanti nell’antropologia italiana ricordiamo quelli di Vanessa Maher, Matilde Callari Galli e Amalia Signorelli.

Gli studi sulle disuguaglianze di genere, sul controllo del corpo della donna sono imprescindibili dallo studio della violenza. L’antropologa Rita Segato, nel suo libro La guerra contro le donne (2016), scrive che i crimini omofobici, transfobici e la crudeltà sul corpo delle donne, spesso non recriminata perché non considerata reato, sono il frutto dell’insegnamento imposto dal patriarcato, la cui violenza si manifesta contro tutto ciò che rischia di destabilizzarlo.

I colori dell’Antropologia
I colori dell’Antropologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane