Etnocentrismo e relativismo culturale

1.4 Etnocentrismo e relativismo culturale

Il problema di quanto il punto di vista influenzi lo studio delle culture è all’origine stessa dell’antropologia. Come abbiamo visto ▶ unità 1, p. 17 |, l’antropologia nasce con Tylor nell’ultimo quarto dell’Ottocento in Gran Bretagna, in un periodo storico in cui il Regno Unito della regina Vittoria è la massima potenza militare, industriale e coloniale dell’epoca. Sono annesse all’impero britannico tutta l’India, gran parte dell’Africa, la Nuova Zelanda, l’Oceania, con stazioni commerciali in Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico. Altre nazioni europee, come la Francia e il Belgio, estendono la loro influenza in molte zone dell’Africa.

La figura dell’antropologo nasce e si sviluppa quindi all’interno di una cultura, quella europea occidentale, fortemente egemone e dominante rispetto alle culture tradizionali extraoccidentali, ridotte dal potere coloniale in una condizione di forte subalternità. Per esempio, i nativi nordamericani cercarono invano di resistere alla conquista, ma furono sterminati e costretti a vivere nelle riserve.

Ciò non significa però che tutti gli antropologi fossero indistintamente dei colonizzatori o degli studiosi completamente asserviti alle istituzioni e alle amministrazioni coloniali dei loro paesi.

Alcuni importanti antropologi, come per esempio Franz Boas, sin dalla fine dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, hanno richiamato l’attenzione sul fatto che l’impossibilità di potersi liberare completamente delle proprie categorie culturali non significa affatto dover accettare un atteggiamento di ▶ etnocentrismo, secondo cui la propria cultura è ritenuta in ogni senso migliore e dunque più avanzata e superiore a tutte le altre ▶ APPROFONDIAMO |. Al contrario: l’antropologia parte dal presupposto che si può studiare un fenomeno culturale soltanto mettendolo in “relazione” allo specifico contesto storico e sociale che lo ha prodotto, a cui esso è “relativo”. Il senso di un certo fenomeno (un costume, un mito, un rituale, un conflitto) per le persone che lo vivono non può essere compreso prescindendo dalla conoscenza del suo contesto. Questo atteggiamento di ▶ relativismo culturale è alla base del sapere antropologico ed è stato formulato per la prima volta da Franz Boas nel suo Antropologia e Vita Moderna (1928): «un’obiettiva, severa, ricerca scientifica potrà essere condotta solo se riusciamo ad elaborare gli ideali di ogni singolo popolo per includere, nel nostro studio oggettivo generale, i valori culturali così come questi vengono colti presso i differenti rami dell’umanità».

Il relativismo culturale non impone affatto di accettare e giustificare qualunque comportamento soltanto perché prodotto da una qualche specifica cultura. Ma implica che per conoscere davvero la nostra cultura sia indispensabile studiare le altre e metterle a confronto. È dall’attraversamento costante delle culture che non solo possiamo comprendere in modo diverso le categorie culturali degli altri, ma anche raggiungere una maggiore consapevolezza critica delle nostre.

approfondiamo  La proposta metodologica dell’etnocentrismo critico

L’antropologia è un sapere intersoggettivo e posizionato poiché nasce dall’incontro tra diverse soggettività storico-culturali e dall’interpretazione che l’antropologo ne dà, attraverso la sua particolare prospettiva. Gli antropologi sul campo entrano in contatto con visioni del mondo e modi di vivere spesso molto differenti dai propri e ne fanno esperienza diretta: mangiano ciò che mangiano i loro interlocutori, vengono trattati secondo i loro schemi sociali, devono stare alle loro regole, si confrontano con i loro valori.

L’etnologo Ernesto De Martino (1908-1965) ha definito l’incontro etnografico un «oltraggio delle memorie culturali più care» che deve essere convertito in «esame di coscienza». Tale definizione fa riferimento alla postura metodologica demartiniana che prende il nome di “etnocentrismo critico”. Con questa celebre espressione De Martino designava la prospettiva, elaborata in diverse sue opere, tra cui Furore, simbolo, valore (1962), secondo cui l’antropologo, anziché tentare invano di spogliarsi delle categorie e dei valori con i quali inevitabilmente interpreta il mondo, deve metterli alla prova tramite il confronto con i valori e le categorie altrui, al fine di arricchire e migliorare la propria civiltà. Per De Martino, infatti, l’antropologia deve essere orientata dalla responsabilità morale di determinare la migliore forma di civiltà possibile. A questo fine, il compito dell’etnologo è quello di ampliare l’autocoscienza dell’uomo attraverso l’incontro con forme di umanità diverse da quella occidentale – nel cui alveo è nato il problema del rapporto conoscitivo con l’Altro – per «rischiarare l’azione».

Nell’ottica demartiniana, l’incontro etnografico non può limitarsi a una descrizione della varietà culturale che si riscontra nel mondo, ma deve servire a guardare criticamente i propri valori per essere in grado di migliorarli, evitando di anteporli inconsapevolmente a qualsiasi osservazione o analisi: ciò significherebbe cadere in un “etnocentrismo dogmatico”, in cui i valori e le categorie della propria cultura non vengono mai messi in discussione poiché non si ha consapevolezza della loro storicità e perciò li si naturalizza, quasi fossero gli unici possibili.

La reazione a questo atteggiamento non può essere tuttavia, secondo De Martino, quella di collocare tutti i modelli culturali sullo stesso piano, abdicando a qualsiasi scelta per adottare quello che lui riteneva un «relativismo culturale senza prospettiva»; in tal modo si resterebbe privi di chiavi interpretative e incapaci di agire, perseguendo una falsa e inutile neutralità. La strada da lui proposta è appunto quella di un etnocentrismo critico che, senza perdere la costante tensione umanistica a riunire le diverse forme di umanità in un comune percorso di emancipazione e libertà, si avvale del confronto con le altre culture come stimolo per sottoporre al vaglio critico la propria civiltà e i suoi valori, in quanto prodotti di una storia che bisogna conoscere e a cui bisogna partecipare attraverso il pensiero e l’azione.

per lo studio

1. Che cosa si intende con l’espressione “tenda e lingua”?

2. Che cos’è il riposizionamento?

3. Quali sono le principali differenze fra etnocentrismo e relativismo culturale?


  Per discutere INSIEME 

Un esempio pratico di come siamo inconsapevolmente soggetti all’etnocentrismo lo si trova anche tra i banchi di scuola. In base al paese in cui viviamo, impariamo a vedere il mondo da una posizione diversa. Dividetevi in gruppi e cercate in rete i diversi planisferi appesi nelle scuole del mondo (per esempio Europa, Stati Uniti d’America, Cina): che effetto vi fa guardare il mondo da un punto di osservazione differente? Discutetene in classe.

I colori dell’Antropologia
I colori dell’Antropologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane