2.1 Antropologia dello Stato
Abbiamo già visto come lo Stato sia una forma di organizzazione politica che caratterizza tutte le società contemporanee | ▶ unità 8, p. 325 |. Gli antropologi si sono interessati allo studio dello Stato non come entità astratta o unitaria, ovvero monolitica e separata dalla società, bensì come un insieme di processi che si materializza e prende forma, anche istituzionale, nella quotidianità delle persone attraverso specifiche relazioni di potere.
Le ricerche etnografiche mostrano come gli Stati siano frutto di rinegoziazioni continue, di momenti storici, visioni politiche e progetti ideologici specifici che tentano di imporre la propria sovranità sia sui territori sia sulle persone. Alcune delle cause che hanno portato alla trasformazione radicale dei confini nazionali, della sovranità e della territorialità su cui si basava il ▶ modello weberiano di Stato, ovvero uno Stato che esercita violenza fisica legittima sul proprio territorio per eliminare qualsiasi tipo di concorrenza o minaccia interna, sono le seguenti:
- l’apertura dei mercati e le nuove tecnologie di comunicazione;
- le nuove relazioni geopolitiche tra paesi;
- le guerre e i flussi migratori;
- le multinazionali, il lavoro delle ▶ Ong (Organizzazioni non governative) e delle istituzioni e organizzazioni sovranazionali, come l’Unione Europea.
Alcune funzioni, che prima erano pubbliche, proprie dello Stato, quali la regolamentazione delle diverse aree della vita sociale (educazione, salute, criminalità, sicurezza), sono state privatizzate, ovvero affidate a soggetti privati, enti non governativi di diverso tipo, come organizzazioni non-profit e di volontariato, aziende multinazionali e così via, e quindi regolate a livello sovranazionale.
Questa logica della globalizzazione capitalista è stata chiamata capitalismo millenario dalla coppia di antropologi statunitensi Jean Comaroff (n. 1946) e John Comaroff (n. 1945), un’espressione che indica sia il capitalismo del nuovo millennio (neoliberista e globale) sia il capitalismo inteso quasi come fede monolitica, la cui messa in dubbio o criticità sono inconcepibili. Nonostante ciò, lo Stato continua ad avere un ruolo importante, per esempio, nella formazione di nuovi discorsi nazionalisti, nel creare nuove forme di appartenenza territoriale, ma anche nell’immaginario delle persone per cui lo Stato è oggetto sia di paura sia di desiderio. A questo proposito, gli antropologi considerano lo Stato come una realtà fittizia, che si concretizza nelle pratiche quotidiane, nei gesti, nei corpi, nelle emozioni. Lo Stato è un soggetto sociale, prodotto nella vita delle persone attraverso discorsi e pratiche di potere, rituali, incontri con la burocrazia, monumenti, organizzazione dello spazio. Non ha quindi una fissità geografica o istituzionale e si riconosce attraverso i suoi molteplici effetti.
L’antropologo indiano-americano Akhil Gupta (n. 1959) nell’antologia Antropologia dello Stato (2006) suggerisce di analizzare lo Stato come un artefatto culturale, ovvero come una creazione ideale e materiale fatta dall’uomo. Ciò significa che è necessario capirne i funzionamenti all’interno di specifici processi storici e culturali, ovvero comprendere come le persone percepiscono lo Stato, come questa percezione venga plasmata da particolari luoghi o da incontri con funzionari dello Stato e come quindi lo Stato si manifesti nelle vite delle persone. L’attenzione antropologica alla dimensione soggettiva dello Stato permette di osservare e analizzare l’agency dei diversi individui in risposta a specifiche condizioni strutturali o, in altre parole, la creatività delle persone nello sperimentare quotidianamente le relazioni di potere nelle quali sono invischiate.