T1 - Franz Boas, Il rituale del potlach tra i Kwakiutl

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Franz Boas

Il rituale del potlatch tra i Kwakiutl

Il libro da cui è tratto questo brano, pubblicato da Franz Boas nel 1897, è il frutto di una lunga ricerca compiuta fra il 1894 e il 1895 tra i nativi americani della costa del Pacifico settentrionale, in particolare i Kwakiutl. In questo famoso passaggio, Boas analizza l’istituzione del potlatch: un rituale di “ostentazione” della ricchezza diffuso nella Columbia Britannica e sull’isola di Vancouver (Canada), e finalizzato alla distribuzione di beni e all’affermazione del prestigio tra gli individui più potenti della tribù. Fra i beni più prestigiosi ci sono le lastre di rame scolpite. L’influsso di prodotti industriali come coperte e oggetti in rame è stata una caratteristica del potlatch in tempi recenti. Ricordiamo che dalle miniere canadesi proviene buona parte del rame mondiale.

È necessario descrivere il modo in cui il rango sociale viene acquisito. Questo consiste nel potlatch, o distribuzione di proprietà. Tale costume è stato descritto spesso, ma è stato largamente frainteso dalla maggior parte degli osservatori. Il principio sottostante ad esso è quello dell’investimento finalizzato all’ottenimento di un interesse. […] Il possesso della ricchezza è considerato onorevole e lo scopo di ogni indiano è quello di accumulare una fortuna. Ma non è tanto il possesso di ricchezza, quanto piuttosto la possibilità di dare grandi feste ciò che fa della ricchezza l’oggetto delle aspirazioni degli indiani. Quando un ragazzo giunge all’età in cui prende il suo secondo nome e acquisisce lo status di adulto per mezzo di una distribuzione di beni, i quali nel tempo gli ritorneranno con l’interesse, il nome dell’individuo acquista maggior peso nei consigli della tribù ed una maggiore fama tra la gente tutta, nella misura in cui egli è in grado di distribuire quantità sempre maggiori di beni in feste successive. Di conseguenza ragazzi e adulti gareggiano tra loro per organizzare grandi distribuzioni di beni. Ragazzi di clan differenti sono incitati a contrapporsi dagli uomini più anziani, e ciascuno di loro viene esortato a fare del proprio meglio per superare il rivale. Allo stesso modo si comportano i capi e gli interi clan, per cui lo scopo di ogni indiano è quello di sconfiggere il proprio antagonista. Un tempo le dimostrazioni di coraggio contavano quanto la distribuzione dei beni ma oggi, dicono gli indiani, «i rivali si combattono solo con la proprietà». […]

Lungo tutta la costa del pacifico settentrionale sono usate strane tavole di rame modellato che in passato venivano prodotte usando rame presente in Alaska e probabilmente anche nel fiume Nass, ma che oggi sono fabbricate grazie al rame di importazione. La tipica forma di queste tavole di rame è quella della figura in alto a destra1. La parte a forma di T che costituisce le due linee in rilievo è martellata. La parte superiore è chiamata «la faccia», mentre la parte inferiore è la parte posteriore. La parte anteriore del rame è ricoperta di piombo nero, su cui è incisa una faccia, rappresentante l’animale-emblema del possessore. Questi rami hanno la stessa funzione che le banconote di grosso taglio hanno tra di noi. Il valore di ogni pezzo in senso stretto è piccolo, ma la sua funzione è quella di rappresentare un gran numero di coperte, e può essere venduto solo in cambio di esse. Il valore di un rame non è fissato in maniera arbitraria, ma dipende dalla quantità di beni distribuiti nella festa in cui il rame viene venduto. Nel complesso quanto più spesso un rame viene venduto tanto più alto è il suo valore, dal momento che ogni nuovo compratore cerca di investire in esso un maggior numero di coperte. Di conseguenza l’acquisto di un rame porta distinzione a chi lo acquista perché prova che il compratore è in grado di mettere assieme una grande quantità di beni. […]

La rivalità tra capi e clan ha la sua manifestazione più rilevante nella distruzione dei beni. Un capo brucerà coperte, una canoa, romperà un rame, indicando così il suo distacco nei confronti della proprietà distrutta, e mostrando che il suo spirito è più forte, e il suo potere maggiore di quello del rivale. Se quest’ultimo non è in grado di distruggere la stessa quantità di beni entro breve tempo, il suo nome sarà «spezzato». Sarà vinto dal suo rivale e la sua influenza nella tribù sarà perduta, mentre il nome dell’altro capo acquisterà, per contro, maggiore fama.

Anche le feste possono essere considerate come distruzione dei beni, in quanto il cibo offerto non potrà essere reso se non dando un’altra festa. Il tipo di festa più dispendiosa, chiamato – «festa del grasso» –, è quello in cui viene consumata e bruciata una enorme quantità di olio di pesce. Pertanto anch’essa contribuisce ad elevare il nome di chi può permettersi di darla, e mancare di ricambiarla in tempi brevi comporta una forte perdita di prestigio. Ancor più temuta è la rottura di un rame di valore. Un capo può rompere un rame e dare le parti rotte di esso al suo rivale. Se quest’ultimo tiene a conservare il proprio prestigio deve rompere un rame di valore eguale o superiore, e dare tanto il suo rame spezzato, quanto i frammenti ricevuti in un primo tempo al suo rivale. Quest’ultimo allora può pagare per il rame che ha così ricevuto. Il capo al quale sono stati dati i frammenti del primo rame può anche tuttavia rompere il suo rame e gettare tutto in mare. […]

Nella grandissima maggioranza dei casi in cui le tavole di rame vengono spezzate, il rame è conservato. Il possessore spezza o taglia via una parte dopo l’altra finché rimane solo la struttura a forma di T. Questa è valutata due terzi del valore dell’intera tavola ed è l’ultima ad essere data via. […] Pertanto un rame può essere spezzato in contesti differenti con rivali diversi. Alla fine qualcuno riesce a comprare tutti i frammenti, i quali sono nuovamente messi insieme facendo sì che il rame acquisti un valore ancora maggiore. Dal momento che il rame spezzato indica il fatto che il possessore ha distrutto dei beni, gli indiani sono orgogliosi di possederli.

Rispondi

1. Perché, secondo l’analisi di Boas, l’accumulo di ricchezza costituisce la massima aspirazione degli indiani che lui ci presenta? Quali valori preserva?

2. Come incide la distribuzione di beni durante le feste nella vita dei ragazzi?

3. Perché i capi tra loro rivali distruggono i propri beni? Qual è il senso del detto: «i rivali si combattono solo con la proprietà»?

4. Riscontri qualche relazione tra economia e politica in quest’analisi del potlatch? Se sì, prova a descriverla.

 >> pagina 330 

|⇒ T2  Marcel Mauss

Lo spirito della cosa donata

Il Saggio sul dono di Marcel Mauss, pubblicato in originale nel 1923 sulla rivista francese “Année sociologique”, è ormai divenuto un classico dell’antropologia. In questo celebre testo, a partire dall’analisi comparativa di diverse ricerche etnografiche, l’autore elabora un’importante teoria sulla reciprocità insita nel dono, concentrandosi in particolare sul complesso sistema che regola lo scambio di beni tra i Maori delle Isole Samoa e della Nuova Zelanda.

Taonga indica in maori, in tahitiano, in togano e in magarevano tutto ciò che è proprietà vera e propria, tutto ciò che rende ricchi, potenti, influenti, tutto ciò che può venire scambiato, essere oggetto di compensazione. Si tratta esclusivamente dei tesori, dei talismani, dei blasoni, delle stuoie e degli idoli sacri, e qualche volta anche delle tradizioni, dei culti, dei rituali magici. […] I taonga, almeno nell’ambito del pensiero giuridico e religioso maori, sono fortemente legati alla persona, al clan, al suolo; sono il veicolo del suo «mana», della sua forza magica, religiosa e spirituale. In un proverbio, fortunatamente raccolto da Sir G. Gray e C. O. Davis, essi sono pregati di distruggere l’individuo che li ha accettati. Il che vuol dire che contengono tale forza, nei casi in cui il diritto, e soprattutto l’obbligo di ricambiare, non venisse rispettato. […]

A proposito dello hau, dello spirito delle cose, e, in particolare, di quello della foresta e della selvaggina che essa contiene, Tamati Ranaipiri, uno dei migliori informatori maori di Elsdom Best, ci offre del tutto casualmente e senza alcuna prevenzione, la chiave del problema. «Vi parlerò dello hau... Lo hau non è il vento che soffia. Niente affatto. Supponete di possedere un oggetto determinato (taonga) e di darmi questo oggetto; voi me lo date senza un prezzo già fissato. Non intendiamo contrattare al riguardo. Ora, io do questo oggetto a una terza persona che, dopo un certo tempo, decide di dare in cambio qualcosa come pagamento (utu); essa mi fa dono di qualcosa (taonga). Ora, questo taonga che essa mi dà è lo spirito (hau) del taonga che ho ricevuto da voi e che ho dato a lei. I taonga da me ricevuti in cambio dei taonga (pervenutimi da voi), è necessario che ve li renda. Non sarebbe giusto (tika) da parte mia conservare per me questi taonga, siano essi graditi (rawe) o sgraditi (kino). Io sono obbligato a darveli, perché sono uno hau del taonga che voi mi avete dato. Se conservassi per me il secondo taonga, potrebbe venirmene male, sul serio, perfino la morte. Questo è lo hau, lo hau della proprietà personale, lo hau dei taonga, lo hau della foresta […].

Così interpretata, l’idea non solo diventa chiara, ma appare come una delle idee fondamentali del diritto maori. Ciò che obbliga, nel regalo ricevuto e scambiato, è che la cosa ricevuta non è inerte. Anche se abbandonata dal donatore, è ancora qualcosa di lui. Per mezzo di essa, egli ha presa sul beneficiario, così come, per mezzo di essa, ha presa, in quanto proprietario, sul ladro. Il taonga, infatti, è animato dallo hau della sua foresta, della sua terra, del suo suolo; è veramente «native»: lo hau insegue tutti i detentori.

Esso insegue non solo il primo donatario, ed anche eventualmente un terzo, ma ogni individuo al quale il taonga venga semplicemente trasmesso. In fondo, è lo hau che desidera tornare al luogo della sua nascita, al santuario della foresta e del clan e al proprietario. è il taonga o il suo hau – che, d’altra parte, è esso stesso una specie di individuo – che si attacca a tutti coloro che ne beneficiano, fino a che questi ultimi non rendano, prendendolo dai propri taonga, dai propri beni, o dal proprio lavoro o dal proprio commercio, con banchetti, feste e donativi, un equivalente o un valore superiore, che, a sua volta, darà ai donatori autorità e potere sul primo donatore, divenuto ultimo donatario. Ed ecco l’idea fondamentale che sembra presiedere, alle Samoa e in Nuova Zelanda, alla circolazione obbligatoria delle ricchezze, dei tributi, dei doni.

Rispondi

1. Che cos’è il «mana» e in che rapporto sta con gli oggetti taonga?

2. Che tipo di oggetti sono i taonga e perché possono essere pericolosi? In quali casi?

3. Che cos’è lo hau e come si relaziona ai concetti di potere e autorità? In che senso Mauss lo definisce «native»?

4. Di primo acchito può sembrare strano associare il concetto di dono all’idea di obbligatorietà. Fai un confronto tra il sistema descritto da Mauss e lo scambio di doni nel tuo contesto sociale. Riscontri una qualche forma di reciprocità?

 >> pagina 332 

|⇒ T3  Claude Meillassoux

L’autorità nelle società di autosussistenza

Economista di formazione, Claude Meillassoux è stato uno dei più importanti antropologi di scuola marxista e ha concentrato le sue ricerche sullo studio dei modi di produzione nelle società agricole dell’Africa subsahariana. Nel passo qui presentato, Meillassoux analizza le caratteristiche del modo di produzione lignatico, intrecciato a quello domestico; entrambi si fondano sul rapporto tra giovani e anziani, intendendo con queste categorie un’età più sociale che anagrafica.

Prenderemo come punto di partenza la cellula sociale tradizionale, che può essere descritta come un insieme di individui dei due sessi che vivono raggruppati su uno spazio comune o che si spostano assieme, sotto l’autorità di un uomo vivente, ritenuto importante, e che hanno tra loro rapporti di parentela. Questa cellula che chiameremo comunità […] può esistere isolatamente o può essere integrata, sia in un insieme più vasto di comunità omologhe ugualmente autosussistenti, sia eventualmente in seno ad una società politica più complessa e gerarchizzata.

Le altre caratteristiche economiche della comunità, nel senso in cui vogliamo definirla, sono le seguenti:

– accessibilità per tutti i membri della comunità alle materie prime e alla terra;

– semplicità dei mezzi di produzione (cioè dei mezzi naturali o artificiali messi in opera per produrre beni di consumo);

– relativa complessità delle tecniche di produzione;

– divisione del lavoro in funzione del sesso e dell’età;

– circolazione dei beni alimentari in funzione di una gerarchia sociale imperniata sulla nazione di anzianità.

Già ora si può schematizzare questo fenomeno di circolazione dei beni nel modo seguente:




La cellula sociale è rappresentata da una piramide alla cui sommità si situa l’anziano (A), cioè colui che esercita una autorità sul gruppo, concretizzata dal suo ruolo nella ridistribuzione dei prodotti.

In basso si pongono i giovani (G), cioè tutti quelli che lavorano per l’anziano e gli consegnano il prodotto della loro attività. Le donne (D) occupano una posizione mediata, non simmetrica a quella degli uomini, come spiegheremo più avanti. In un tale sistema le donne lavorano per il loro sposo che dà il prodotto agli anziani, i quali lo distribuiscono alla comunità, direttamente o con la mediazione degli uomini sposati. A questo punto se consideriamo solo i rapporti anziani-giovani, possiamo definire due modi di circolazione dei beni:

– una prestazione dai giovani agli anziani;

– una ridistribuzione dagli anziani ai giovani.

Questo schema, che non è immaginario, rivela dunque una relazione di dipendenza tra due categorie di individui che si caratterizzano economicamente per il fatto che l’una riceve le prestazioni dall’altra e controlla dunque la totalità della produzione del gruppo.

Il problema che si pone a questo punto è di sapere:

1. Su cosa si basa questa dipendenza?

2. Che parte gioca il fatto economico nell’istituzione nel mantenimento di questa dipendenza?

Su cosa si basa l’autorità degli anziani nei confronti dei giovani?

1. È chiaro che non è fondata sulla costrizione fisica: gli anziani rappresentano non solo la categoria più debole numericamente, ma anche la più debole fisicamente. Si osserva inoltre che in tale sistema sociale gli «anziani» non dispongono di alcuna forza di polizia capace di far rispettare le loro decisioni se queste non riflettono un certo consenso sociale. Cosa che non implica l’assenza di antagonismo tra i due gruppi anziani e giovani.

2. Si ammette spesso e implicitamente che le autorità degli anziani sui giovani si basa sui rapporti di parentela. Peraltro la parentela, se la si intende in senso strettamente genetico, non possiede di per se stessa quella virtù capace di assicurare la coesione sociale.

3. La semplicità e l’accessibilità dei mezzi di produzione osservate in queste società non permettono l’esercizio di un controllo efficace sul produttore da parte dell’intermediario. In questo fatto risiede una differenza fondamentale rispetto alle società tecnologicamente più complesse dove l’importanza materiale dei mezzi di produzione rappresenta per coloro che li detengono il mezzo più efficace di controllo sociale su coloro che li utilizzano.

I mezzi di produzione nelle economie tradizionali sono essenzialmente di due ordini: gli utensili e la terra. […] Riguardo ai membri del proprio lignaggio, gli anziani non dispongono di alcuna forza coercitiva che permetta loro di esercitare il controllo fisico sulle terre poiché non possono rendere esecutivo questo controllo neppure su coloro che ne sono collettivamente i garanti. Il controllo della terra da parte degli anziani non è né diretto né immediato e non si può porre all’origine dell’autorità degli anziani sui giovani […].

Tutti gli osservatori hanno potuto rendersi conto dell’importanza sociale riconosciuta in queste società a «colui che sa». […]

Per perpetuare la loro autorità, gli anziani sfrutteranno l’estensione del sapere al di là delle conoscenze vitali in nuovi campi (sapere sociale, conoscenze di usanze, di genealogie, della storia, delle regole matrimoniali) e lo prolungheranno in ambiti artificiali (magia, divinazione, riti del culto, ecc.). Essi tenteranno di fare di queste conoscenze la loro esclusività, ponendo sulla via d’accesso all’istruzione barriere che ne regoleranno la trasmissione: barriere istituzionali, come l’iniziazione.

Rispondi

1. Che cosa intende Meillassoux quando parla di “comunità”?

2. Quali sono le principali caratteristiche economiche delle società autosussistenti? In che modo avviene la circolazione dei beni?

3. Perché gli anziani non possono esercitare un controllo efficace sui produttori? Che differenza c’è con le società capitalistiche?

4. Su che cosa si fonda l’autorità che gli anziani esercitano sui giovani? Trovi che ci sia qualche possibile connessione tra questo tipo di autorità e la concezione foucaultiana del potere?

I colori dell’Antropologia
I colori dell’Antropologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane