Un monastero misterioso di Umberto Eco

Un monastero misterioso


di Umberto Eco (autore italiano contemporaneo)

È il novembre del 1327: Guglielmo di Baskerville, frate francescano inglese, giunge in un monastero benedettino, accompagnato dal novizio Adso che racconta la storia. Il mattino del loro arrivo i due vengono informati che un monaco è morto in circostanze misteriose. Guglielmo, famoso per le sue capacità deduttive, inizia subito a indagare, incontrando i monaci del monastero. La giornata si conclude con la cena, seguita dalla preghiera che i monaci recitano ogni sera prima di coricarsi.

Primo giorno COMPIETA

Dove Guglielmo e Adso godono della lieta ospitalità dell’Abate.


Il refettorio era illuminato da grandi torce. I monaci sedevano lungo una fila di tavole, dominata dal tavolo dell’Abate, posto perpendicolarmente a essi su una vasta pedana.

Dalla parte opposta c’era un pulpito, su cui aveva già preso posto il monaco che avrebbe fatto la lettura durante la cena.

L’Abate ci attendeva presso una fontanella con un panno bianco per asciugarci le mani dopo il lavabo.

Invitò Guglielmo alla sua tavola e disse che per quella sera, dato che ero anche io un ospite appena arrivato, avrei goduto dello stesso privilegio, anche se ero un novizio benedettino. I giorni seguenti, mi disse paternamente, avrei potuto sedermi a tavola coi monaci, o se il mio maestro mi avesse affidato qualche incarico, passare prima o dopo i pasti in cucina, dove i cuochi si sarebbero presi cura di me.

I monaci stavano ora ai tavoli in piedi, immobili col cappuccio abbassato sul viso e le mani sotto lo scapolare.

L’Abate si appressò [avvicinò] alla sua tavola e pronunciò il Benedicite.

Il cantore dal pulpito intonò Edent pauperes.

L’Abate diede la sua benedizione e ciascuno si sedette.


La regola del nostro fondatore san Benedetto prevede un desinare assai parco [modesto], ma lascia all’Abate decidere di quanto cibo abbiano effettivamente bisogno i monaci. D’altra parte ormai nelle nostre abbazie ci si abbandona maggiormente ai piaceri della tavola. Non parlo solo di quelle che, purtroppo, si sono trasformate in covi di ghiottoni; ma anche di quelle ispirate a criteri di penitenza e di virtù che pure danno ai monaci un nutrimento robusto.

D’altro canto la mensa dell’Abate è sempre privilegiata, anche perché non di rado vi seggono degli ospiti di riguardo, e le abbazie sono orgogliose dei prodotti della loro terra e delle loro stalle, e della perizia [bravura] dei loro cucinieri.


Il pasto dei monaci si svolse in silenzio, come di costume [d’abitudine], gli uni comunicando agli altri con il nostro consueto alfabeto delle dita.


Alla tavola dell’Abate sedevano con noi il bibliotecario Malachia, il cellario e i due monaci più anziani, Jorge da Burgos, il vegliardo cieco che avevo già conosciuto nello scriptorium e il vecchissimo Alinardo da Grottaferrata: quasi centenario, claudicante [zoppo] e d’aspetto fragile, e – mi parve – assente di spirito.

L’Abate ci disse di lui che, novizio già in quella abbazia, vi aveva sempre vissuto e ne ricordava ottant’anni di vicende.


L’Abate ci disse queste cose sottovoce all’inizio, perché in seguito ci si attenne all’uso del nostro ordine e si seguì in silenzio la lettura.

Ma alla tavola dell’Abate ci si prendevano alcune licenze [libertà], e ci avvenne di lodare i piatti che ci furono offerti, mentre l’Abate celebrava le qualità del suo olio o del suo vino. Anzi una volta, mescendoci da bere, ci ricordò quei brani della regola in cui il santo fondatore aveva osservato che certo il vino non conviene ai monaci, ma poiché non si possono persuadere i monaci dei tempi nostri a non bere, che almeno non bevano sino alla sazietà, perché il vino spinge all’apostasia anche i saggi.


Benedetto diceva “ai tempi nostri” e si riferiva ai suoi, ormai lontanissimi. Figuriamoci ai tempi in cui cenavamo all’abbazia, dopo tanto decadimento di costumi: insomma, si bevette senza esagerare ma non senza gusto.

Mangiammo carni allo spiedo, dei maiali appena uccisi, e mi avvidi [accorsi] che per altri cibi non si usava grasso di animali né olio di ravizzone, ma del buon olio d’oliva, che veniva da terreni che l’abbazia possedeva ai piedi del monte.

L’Abate ci fece gustare (riservato alla sua mensa) quel pollo che avevo visto preparare in cucina. Notai che, cosa assai rara, egli disponeva anche di una forchetta di metallo: uomo di nobile estrazione, il nostro ospite non voleva lordarsi [sporcarsi] le mani col cibo, e ci offrì anzi il suo strumento almeno per prendere le carni dal piatto grande e porle nelle nostre ciotole.

Io rifiutai, ma vidi che Guglielmo accettò di buon grado e si servì con disinvoltura di quell’arnese da signori, forse per dimostrare all’Abate che i francescani non erano persone di scarsa educazione e di estrazione umilissima.

***

Finita la cena i monaci si prepararono per la preghiera di compieta. Si calarono di nuovo il cappuccio sul viso e si allinearono davanti alla porta, fermi.

Poi si mossero in lunga fila, attraversando il cimitero ed entrando nel coro della chiesa dal portale settentrionale.

Ci avviammo con l’Abate.

«A quest’ora si chiudono le porte dell’Edificio?», domandò Guglielmo.

«Appena i servi avranno pulito il refettorio e le cucine,

il bibliotecario stesso chiuderà tutte le porte, sprangandole dall’interno.»

«Dall’interno? E lui da dove esce?»

L’Abate fissò Guglielmo per un attimo, serio in volto:

«Certo non dorme in cucina», disse bruscamente.

E affrettò il passo.

«Bene bene», mi sussurrò Guglielmo, «dunque esiste un’altra entrata, ma noi non dobbiamo saperlo».

Io sorrisi tutto fiero della sua deduzione, ed egli mi rimbrottò [rimproverò]: «Non ridere. Entro queste mura il riso non gode di buona reputazione».

Entrammo nel coro. Una sola lampada ardeva, su un robusto tripode di bronzo, alto come due uomini. I monaci si posero negli stalli in silenzio, mentre il lettore leggeva un passaggio di una omelia di san Gregorio.

Poi l’Abate fece un segno e il cantore intonò i salmi.

Noi non ci eravamo posti negli stalli, e ci eravamo ritirati nella navata principale.

Fu di lì che scorgemmo improvvisamente il bibliotecario Malachia emergere dal buio di una cappella laterale.

«Tieni d’occhio quel punto», mi disse Guglielmo. «Potrebbe esserci un passaggio che porta all’Edificio».

«Sotto il cimitero?»

«E perché no? Anzi, ripensandoci, ci dovrà essere da qualche parte un ossario, è impossibile che da secoli seppelliscano tutti i monaci in quel lembo di terra.»

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esercizi

LE TECNICHE E IL GENERE
  • Nella gerarchia dei personaggi, il narratore di questo brano ha il ruolo di:
    • protagonista. 
    • antagonista. 
    • aiutante.

  • La presentazione del personaggio di Guglielmo di Baskerville avviene con una:
    • presentazione diretta. 
    • presentazione indiretta.

  • In quale epoca si svolgono i fatti narrati?
    • Medioevo. 
    • Settecento.
Laboratorio sul testo
  • L’abbazia dove arrivano Adso e Guglielmo è molto ricca. Da cosa si capisce?
                                                                                                                                                           .
  • Adso è:
    • un giovane.
    • un uomo adulto.
  •  
  • Da cosa lo si capisce?
                                                                                                                                                           .
  • Verso quale aspetto della vita monastica Adso esprime una critica?
    • Il troppo mangiare. 
    • Il troppo parlare.

  • Adso si rifiuta di usare la forchetta. Guglielmo invece la usa. Che cosa ti dice dei due personaggi?
                                                                                                                                                           
                                                                                                                                                           .
  • L’Abate è molto cortese con Guglielmo e Adso, tranne quando:
                                                                                                                                                           .
competenze linguistiche
    • “Alla mensa non di rado vi sono degli ospiti importanti.” Cioè gli ospiti ci sono:
      • raramente. 
      • spesso.

    • “In seguito ci si attenne all’uso del nostro ordine.” Cioè:
      • si rispettò l’uso. 
      • si dimenticò l’uso.

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Narrativa