Una classe di poveri di Leonardo Sciascia

Una classe di poveri


di Leonardo Sciascia (autore italiano del XX sec.)

Nel brano, ambientato nella Sicilia del secondo dopoguerra, l’autore racconta la sua esperienza di insegnante di scuola elementare in un piccolo paese immaginario, Regalpetra, che si ispira al suo paese natale, Racalmuto.

Io li incontro per strada i miei alunni, mentre gridando domandano chi ha le uova da vendere. O li vedo intorno alle fontane che litigano e bestemmiano aspettando il loro turno per riempire le grandi brocche di creta rossa, o in giro per le botteghe.

Poi li ritrovo dentro i banchi, chini sul libro o sul quaderno a fingere attenzione, a leggere come balbuzienti. E capisco benissimo che non abbiano voglia di apprendere niente, ma solo di giocare, di fare conigli di carta, di bestemmiare e ingiuriarsi [insultarsi].

Leggo loro una poesia, cerco in me le parole più chiare, ma basta che li guardi, che veda come sono veramente, così lontani come in fondo a un binocolo rovesciato, nella loro realtà di miseria e rancore, che mi si rompe dentro l’eco luminosa della poesia.

Uno di loro è stato cacciato via dal servizio perché pisciava nell’acqua che i padroni bevevano; un altro ha rubato un migliaio di lire a una vicina di casa; e tutti son capaci di rubare, di sputare nel cibo degli altri, di pisciare sulle buone cose che toccano agli altri.

E sento l’indicibile disagio e pena di stare di fronte a loro col mio decente vestito, i miei libri, i miei giornali.

Un tempo ogni classe aveva il suo banco degli asini, un limbo dove fin dai primi giorni di scuola venivano respinti gli irredimibili. Di tanto in tanto il maestro li chiamava a ripetere una lezione, a svolgere sulla lavagna un esercizio; non si alzavano nemmeno.

C’erano ancora quando io frequentavo le elementari, e ancora ci sono nelle classi dei maestri più anziani.

Ma i regolamenti li proibiscono e qualche direttore ha pensato fosse più giusto istituire le classi degli asini, una classe di ragazzi tutti allo stesso livello mentale e nozionale. È facile formarle: basta formare una classe di ripetenti.


A me tocca di solito una classe di ripetenti, non so se perché il direttore confida nelle mie positive qualità o se, al contrario, perché mi ritiene affatto [del tutto] sprovveduto. Se mi ritiene capace di risollevare le condizioni della classe, il direttore si illude di certo, come si illuderebbe su chiunque altro, nessuno potrebbe essere capace di un miracolo simile; se invece intende dare un calcio alla classe, mandarla al diavolo, e me con la classe, bisogna riconoscere che concretamente capisce le cose della scuola.


Io svolgo il programma come se si trattasse di una classe normale, ce ne sono due tre quattro al massimo, che mi seguono. Da sei anni, da quando ho incominciato a insegnare, mi pare di avere sempre la stessa classe, gli stessi ragazzi. Il fatto più vero è che non una classe di asini o di ripetenti mi tocca ogni anno, ma una classe di poveri, di una povertà stagnante e disperata.


I più poveri di un paese povero. Quelli dei paesi vicini lo chiamano il paese del sale, la campagna intorno è tarlata di gallerie che inseguono il sale, il sale si ammucchia candido e splendente alla stazione; sale, nebbia e miseria.

E io me ne sto tra questi ragazzi poveri, in questa classe degli asini che sono sempre i poveri, da secoli al banco degli asini, stralunati di fatica e di fame.

Vengono a scuola, i ragazzi, dopo che la famiglia riceve la cartolina di precettazione con citati gli articoli di legge e ricordata la multa: la posta non porta loro che di queste cartoline, per andare a scuola, per il servizio di leva, per le tasse.
Spesso la cartolina non basta, il direttore trasmette gli elenchi degli inadempienti all’obbligo scolastico al maresciallo dei carabinieri; il maresciallo manda in giro l’appuntato, a minacciare galera e i padri si rassegnano a mandare a scuola i ragazzi.

C’era un maresciallo che questo servizio lo aveva a cuore, mandava a chiamare i padri e sbatteva in camera di sicurezza, per una notte che avrebbe portato consiglio, quelli che più resistevano.

E allora a me maestro, pagato dallo Stato che paga anche il maresciallo dei carabinieri, veniva voglia di mettermi dalla parte di quelli che non volevano mandare a scuola i figli. La pubblica istruzione! Obbligatoria e gratuita, fino ai quattordici anni; come se i ragazzi cominciassero a mangiare soltanto dopo, e mangerebbero le pietre dalla fame che hanno, e d’inverno hanno le ossa piene di freddo, i piedi nell’acqua. Io parlo loro di quel che produce l’America, e loro hanno freddo, hanno fame; e io dico del Risorgimento e loro hanno fame, aspettano l’ora della refezione [pranzo], giocano per ingannare il tempo, e magari pizzicando le lamette dimenticano la fatica del servizio, le scale da salire con le brocche dell’acqua, i piatti da lavare.

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esercizi

LE TECNICHE E IL GENERE
  • I fatti descritti sono:
    • verosimili.
    • inverosimili.
     
  • I luoghi descritti sono:
    • verosimili. 
    • immaginari.

  • La descrizione dei luoghi è:
    • impersonale. 
    • soggettiva.

  • Il registro del brano è:
    • alto. 
    • basso.

  • In questo brano, l’autore descrive il mondo della scuola:
    • con partecipazione.
    • con ironia.
LABORATORIO SUL TESTO
  • Secondo il narratore esiste un rapporto tra il fallimento scolastico e la povertà?
    • No, perché
    •  

    •  


    • Sì, perché
    •  

    •  


  • Dalle parole usate dall’autore per descrivere i suoi studenti emerge:
    • compassione. 
    • disprezzo.
competenze LINGUISTICHE
  • Collega i modi di dire a sinistra con il loro significato.
La notte porta consiglio far passare il tempo
Ingannare il tempo la notte aiuta a riflettere

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