LA VOCE DEI MODERNI - L’ultimo viaggio di Odisseo

LA VOCE DEI MODERNI

L’ultimo viaggio di Odisseo

La fine dell’Odissea racconta l’abbraccio tra Odisseo e Penelope, che finalmente si riuniscono dopo vent’anni di distacco. Nel poema dunque non viene raccontata la morte dell’eroe, pronosticata dall’indovino Tiresia alle porte dell’Ade nel libro XI.

Secondo l’oscura profezia, una volta tornato in patria, Odisseo sarebbe stato destinato a ripartire con un remo sulla spalla per un nuovo viaggio. Un giorno un viandante gli avrebbe chiesto se reggesse un ventilabro (uno strumento agricolo). Tale domanda evidentemente poteva venire solo da una persona che non conosceva gli strumenti della navigazione, che confondeva con quelli dell’agricoltura; doveva perciò trattarsi di un uomo proveniente da una regione senza sbocchi sul mare. Solo allora, dopo aver piantato il remo in terra e compiuto sacrifici a Poseidone, Odisseo sarebbe potuto definitivamente tornare a casa e restarvi. Ormai anziano e circondato da popoli prosperi sarebbe stato colto dalla morte, giunta dal mare.


Questa profezia suscitò fantasie di ogni genere nel corso dei secoli. Dante, per esempio, presenta Ulisse nel canto XXVI dell’Inferno come protagonista di un nuovo viaggio oltre le colonne d’Ercole, finito rovinosamente in una tempesta suscitata da Dio al suo avvicinarsi alla montagna del Purgatorio, nel­l’emisfero australe. In quanto «consigliere di frode», Odisseo, che era stato l’ideatore dello stratagemma del cavallo di legno, è costretto ad ardere dentro una fiamma doppia insieme a Diomede, altro artefice di inganni. Al centro della rilettura dantesca è il discorso rivolto dall’eroe ai suoi compagni per spronarli a seguirlo nel «folle volo», oltre le colonne d’Ercole.

“O frati”, dissi, “che per cento milia

perigli siete giunti a l’occidente,

114 a questa tanto picciola vigilia


d’i nostri sensi ch’è del rimanente

non vogliate negar l’esperïenza,

117 di retro al sol, del mondo sanza gente.


Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

120 ma per seguir virtute e canoscenza”.


Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, Le Lettere, Firenze 1994

Ciò che rende Ulisse interessante agli occhi di Dante non è la sua colpa, ma l’essere stato mosso fino all’ultimo da un’irrefrenabile volontà di conoscenza. Il desiderio umano di ampliare i propri orizzonti conoscitivi, «seguire virtute e canoscenza», è tuttavia condannato al fallimento se non è guidato dalla fede in Dio.


All’inizio del Novecento, un altro poeta italiano, Giovanni Pascoli, immagina nei versi dellUltimo viaggio (pubblicato nel 1904, all’interno della raccolta Poemi conviviali) una sorte diversa per l’eroe: Ulisse si trattiene a Itaca per dieci anni dopo il suo ritorno, finché un giorno non riprende il mare e ripercorre a ritroso il suo viaggio. La scoperta che la realtà non corrisponde più ai ricordi serbati negli anni conduce l’eroe a un’amara delusione. Naufragato presso l’isola delle Sirene, ormai morto è trasportato dalle onde fino a Ogigia. L’Ulisse omerico è così ridotto a eroe della sconfitta, simbolo dello smarrimento dell’uomo di fronte al mistero irrisolto della morte.

La dolce fiamma - volume C
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