La fine dell’Odissea racconta l’abbraccio tra Odisseo e Penelope, che finalmente si riuniscono dopo vent’anni di distacco. Nel poema dunque non viene raccontata la morte dell’eroe, pronosticata dall’indovino Tiresia alle porte dell’Ade nel libro XI.
Secondo l’oscura profezia, una volta tornato in patria, Odisseo sarebbe stato destinato a ripartire con un remo sulla spalla per un nuovo viaggio. Un giorno un viandante gli avrebbe chiesto se reggesse un ventilabro (uno strumento agricolo). Tale domanda evidentemente poteva venire solo da una persona che non conosceva gli strumenti della navigazione, che confondeva con quelli dell’agricoltura; doveva perciò trattarsi di un uomo proveniente da una regione senza sbocchi sul mare. Solo allora, dopo aver piantato il remo in terra e compiuto sacrifici a Poseidone, Odisseo sarebbe potuto definitivamente tornare a casa e restarvi. Ormai anziano e circondato da popoli prosperi sarebbe stato colto dalla morte, giunta dal mare.
Questa profezia suscitò fantasie di ogni genere nel corso dei secoli. Dante, per esempio, presenta Ulisse nel canto XXVI dell’Inferno come protagonista di un nuovo viaggio oltre le colonne d’Ercole, finito rovinosamente in una tempesta suscitata da Dio al suo avvicinarsi alla montagna del Purgatorio, nell’emisfero australe. In quanto «consigliere di frode», Odisseo, che era stato l’ideatore dello stratagemma del cavallo di legno, è costretto ad ardere dentro una fiamma doppia insieme a Diomede, altro artefice di inganni. Al centro della rilettura dantesca è il discorso rivolto dall’eroe ai suoi compagni per spronarli a seguirlo nel «folle volo», oltre le colonne d’Ercole.