1. Il poema di Odisseo

1. IL POEMA DI ODISSEO

L’Odissea è il poema epico – composto da circa 12 000 versi, suddivisi in ventiquattro libri (o canti) – che tratta del ritorno di Odisseo (o Ulisse, dal latino Ulixes), reduce dalla guerra di Troia, all’isola natia, Itaca. Tra i tanti racconti sui ritorni in patria (nóstoi, in greco) degli eroi greci che avevano partecipato al conflitto narrato nell’Iliade, quello di Odisseo è il più lungo e articolato: per questo è diventato nei secoli una metafora del viaggio come esperienza interiore, che permette all’uomo di maturare, conoscere e accettare i propri limiti, dare un senso al dolore e alle gioie dell’esistenza.

A differenza dell’Iliade, che prende il nome dalla città di Ilio, l’Odissea vuole essere soprattutto la storia di un uomo, Odisseo, celebre per la sua proverbiale intelligenza (la métis, in greco). Le innumerevoli prove cui il lungo viaggio di ritorno sottopone l’eroe ne hanno fatto il simbolo di chi sa reagire a ogni situazione e affrontare insidie e difficoltà.

Diversamente dagli eroi dell’Iliade, consumati da passioni irrefrenabili e dal furore bellico, Odisseo incarna altri aspetti della civiltà greca: la curiosità intellettuale e la ricchezza degli affetti. Mentre Achille si lascia commuovere solo dalla morte dell’amico Patroclo e dalla supplica di Priamo, Odisseo è capace di una vastissima gamma di emozioni: la solidarietà nel fare proprie le sciagure dei compagni, la nostalgia per la patria e la propria casa, la gioia della scoperta, la felicità del ritorno, la fascinazione per la bellezza femminile, l’amore per la moglie e per il figlio.

2. LA STRUTTURA

L’Odissea ha una struttura elaborata, in cui fabula e intreccio non coincidono. I primi quattro libri del poema costituiscono la cosiddetta Telemachia, cioè la sezione dedicata alle avventure del figlio di Odisseo, Telemaco, che lascia Itaca per cercare informazioni sul padre presso gli altri eroi reduci dalla guerra di Troia. Alcuni critici hanno visto in questa prima parte una sezione originariamente autonoma, aggiunta al nucleo centrale del poema solo in un secondo momento, all’epoca della redazione dei poemi omerici voluta dal tiranno ateniese Pisistrato (VI secolo a.C.). La Telemachia svolge, in realtà, una funzione molto importante, in quanto connette la vicenda di Odisseo con gli altri nóstoi di eroi legati alla guerra di Troia, come Nestore e Menelao, che attraverso le proprie rievocazioni forniscono informazioni sul protagonista e incoraggiano Telemaco nel suo percorso di maturazione.

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Il racconto delle vicende di Odisseo inizia in medias res solo nel libro V, con l’eroe che si trova sull’isola di Ogigia, ospite della ninfa Calipso. Da questo momento, vengono narrate le traversie del protagonista: dal libro V all’VIII esse sono riferite in presa diretta, mentre dal IX al XII Omero fa ricorso alla tecnica dell’analessi o flashback (l’eroe, ospite a banchetto alla corte di Alcinoo, rievoca le sue trascorse avventure narrandole in prima persona).

La seconda parte del poema, dal libro XIII al XXIV, contiene invece il racconto delle vicissitudini di Odisseo a Itaca, osteggiato dai Proci, i pretendenti della moglie Penelope.

3. IL TEMPO E LO SPAZIO

La narrazione dell’Odissea si sviluppa in un arco temporale ristretto, di soli quaranta giorni, compresi tra la partenza dall’isola di Ogigia e l’arrivo a Itaca, ma in realtà gli eventi narrati coprono una durata complessiva di ben dieci anni. Se a questa durata si sommano i dieci anni della guerra di Troia, si ricava che Odisseo fa ritorno in patria dopo un’assenza di ben vent’anni.

A differenza dell’Iliade, ambientata sulla piana di Troia e nei palazzi della città di Priamo, gli spazi dell’Odissea sono molto più vasti: il teatro principale delle avventure di Odisseo, infatti, è il mar Mediterraneo. Si tratta di un mare popolato da creature mostruose, come le Sirene, Scilla e Cariddi, e insidioso per i molti pericoli, come quelli causati dalla presenza dei pirati. Le isole disseminate sul cammino dell’eroe sono ora ospitali (come Ogigia, sede della residenza di Calipso, e Scheria, isola dei Feaci), ora invece piene di rischi (come l’isola di Eea, in cui abita la maga Circe). Molto spesso il fascino della narrazione è accresciuto dalla descrizione di isole o terre sconosciute, secondo un modulo tipico della letteratura di viaggio, di cui l’Odissea è modello illustre.

Accanto al mare, tuttavia, un altro ambiente domina la geografia del poema: quello della casa, vagheggiata con nostalgia, come luogo di riposo e centro degli affetti, affiorante in fugaci momenti del viaggio fino all’agognato ritorno a Itaca e al ricongiungimento dell’eroe con la moglie. Solo un uomo esperto del mondo come Odisseo può assaporare la gioia rasserenante dell’intimità e del focolare domestico.

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Il vero protagonista? Il mare

Su un cassone (antico mobile a cassa) un abile artista quattrocentesco, esperto in questo genere di decorazione, ha riassunto, negli episodi salienti, il viaggio di Odisseo, i suoi approdi, le terre e le indimenticabili figure da lui incontrate. Nel ridotto spazio a disposizione, il viaggio risulta un’ininterrotta sequenza di avventure con al centro, protagonista assoluto, il mare.

4. LA TRAMA

Dopo il proemio, contenente la tradizionale invocazione alla Musa e l’esposizione dell’argomento ( T1, p. 190), il poema prende le mosse dal concilio degli dèi, riunito per discutere il ritorno in patria di Odisseo, trattenuto da sette anni nell’isola di Ogigia dalla ninfa Calipso, innamorata di lui. La dea Atena prega il padre Zeus di intervenire in favore dell’eroe, che si strugge per il desiderio di tornare in patria. Zeus le ricorda che a ostacolare il suo ritorno è soprattutto l’ira di Poseidone, al quale Odisseo ha accecato il figlio Polifemo. Alla fine Atena ottiene che sia mandato a Ogigia Ermes, messaggero degli dèi, per ordinare a Calipso di lasciar partire il suo ospite.

Nel frattempo Atena si reca a Itaca per esortare Telemaco a raccogliere informazioni sul padre (libro I). Messosi in viaggio, dopo essersi scontrato con i pretendenti della madre (libro II), Telemaco si reca prima da Nestore, re di Pilo ( T2, p. 194), poi da Menelao, re di Sparta (libro IV), e apprende dagli amici del padre che Odisseo è trattenuto a Ogigia da Calipso.

Nel frattempo la ninfa, avuta notizia da Ermes della decisione degli dèi, compie un ultimo tentativo per convincere l’eroe a rimanere, promettendogli l’immortalità: ma nulla può smuovere Odisseo dall’intenzione di tornare in patria e Calipso, seppure controvoglia, acconsente alla sua partenza ( T3, p. 200). L’eroe costruisce una zattera con la quale prende la via del mare, ma dopo diciassette giorni di navigazione tranquilla, quando ormai ha avvistato Itaca, è travolto da una tempesta suscitata da Poseidone. Riesce a salvarsi grazie a un velo miracoloso ricevuto dalla dea marina Ino che gli permette di non affogare (libro V).

Il terzo giorno Odisseo approda a Scheria, l’isola dei Feaci, di cui è re Alcinoo. Nel frattempo, Atena visita in sogno la figlia del re, Nausicaa, cui suggerisce di recarsi al fiume con le ancelle. Sulla spiaggia alla foce del corso d’acqua si svolge l’incontro della fanciulla con Odisseo, risvegliato dalle grida delle ragazze che giocano a palla ( T4, p. 206). Accolto festosamente alla corte dei Feaci, Odisseo ottiene l’aiuto dal re Alcinoo e dalla regina Arete, che gli promettono di far allestire per lui una nave che lo riconduca a Itaca. Prima della partenza, però, è invitato a un banchetto, al termine del quale l’aedo Demodoco canta un episodio della guerra di Troia che suscita la commozione dell’ospite, il quale rivela finalmente la propria identità. Alcinoo lo esorta, pertanto, a raccontare la sua storia (libri VII-VIII).

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Inizia così il resoconto delle disavventure dell’eroe. Partito da Troia con i suoi uomini, Odisseo era approdato dapprima nella terra dei Cìconi, popolo selvaggio stanziato in Tracia, poi in quella dei Lotòfagi, coltivatori del loto (fiore che provoca la perdita della memoria), e infine nelle isole dei Ciclopi, esseri giganteschi con un solo occhio in mezzo alla fronte. Imprigionato da Polifemo, figlio di Poseidone, era riuscito a liberarsi con uno stratagemma: fatto ubriacare il mostro, lo aveva accecato con un palo arroventato ( T5, p. 215), attirando in questo modo su di sé l’ira perenne del padre, dio del mare.

La meta successiva era stata la terra del dio dei venti Eolo, dal quale Odisseo aveva ricevuto un otre contenente i venti avversi alla navigazione e la raccomandazione di tenerlo chiuso. L’eroe racconta come i compagni, convinti che contenesse un tesoro, non avessero resistito alla tentazione di aprirlo, liberando in tal modo turbini violenti, causa di una tempesta e di un naufragio. Scampato al cannibalismo dei Lestrìgoni, Odisseo era approdato nell’isola di Eea, regno della maga Circe, che aveva trasformato i suoi compagni in maiali. Grazie all’aiuto di Ermes, egli era riuscito a resistere agli incantesimi della donna e aveva ottenuto che i compagni riacquistassero sembianze umane ( T6, p. 226).

Dopo un anno trascorso da Circe (libro X) Odisseo era disceso nell’Ade e qui aveva ricevuto dall’indovino Tiresia una profezia relativa al suo difficile rientro in patria e alla sua morte ( T7, p. 235). La visita nell’aldilà gli aveva concesso anche la possibilità di incontrare l’ombra della madre Anticlea e dei compagni Agamennone, Achille e Aiace, quest’ultimo ancora offeso per non aver ottenuto le armi di Achille, finite invece a Odisseo stesso. Tornato da Circe, aveva ricevuto altre istruzioni per proseguire il suo viaggio. Giunto in prossimità dell’isola delle Sirene, mostri che facevano naufragare i marinai con il loro canto ammaliante, l’eroe – dopo aver tappato le orecchie dei compagni con la cera – si era fatto legare all’albero della nave per resistere alle loro lusinghe, pur ascoltandole ( T8, p. 242).

Aveva superato, quindi, lo stretto abitato dai mostri marini Scilla e Cariddi ed era arrivato nell’isola di Trinacria. Qui aveva perso tutti i compagni perché avevano mangiato le vacche sacre al dio Sole, suscitando la sua ira e la sua tremenda vendetta. La tappa successiva del viaggio era stata l’isola di Calipso, Ogigia, dove Odisseo era arrivato ormai completamente solo.

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Al termine dei racconti riferiti alla corte dei Feaci (libro XII), Alcinoo fa ricondurre Odisseo a Itaca su una nave. Risvegliatosi sulla spiaggia della sua isola d’origine, che all’inizio non riconosce ( T9, libro XIII, p. 247), l’eroe inizia la seconda parte delle sue avventure, non meno complicate delle precedenti. In patria le insidie vengono dai Proci, i tracotanti pretendenti della moglie Penelope e del trono di Itaca, che durante la sua assenza hanno dilapidato i beni della sua famiglia.

Assunte le sembianze di un mendicante per l’intervento di Atena, Odisseo si reca dal porcaro Eumeo, rimastogli fedele, al quale ancora non rivela sua vera identità (libro XIV). Frattanto, su indicazione di Atena, Telemaco è ritornato a Itaca (libro XV), dove incontra il padre, che si fa riconoscere da lui ( T9, libro XVI, p. 247). Dopo aver discusso insieme il piano per sconfiggere i Proci, il giorno successivo Telemaco conduce il mendicante alla reggia. In prossimità del palazzo un cane solleva la testa e le orecchie: si tratta di Argo, un tempo lo splendido cane da caccia di Odisseo, ormai vecchio e randagio. Riconosciuto dopo vent’anni il padrone, che a stento cela le lacrime, il fidato animale muore ( T9, libro XVII, p. 247). Entrato nel palazzo sotto mentite spoglie, Odisseo viene maltrattato dai Proci e ricevuto da Penelope, che vorrebbe avere da lui notizie sul marito (libri XVII-XVIII). In un secondo momento, la vecchia nutrice Euriclea, alla quale Penelope affida lo straniero perché lo lavi e si occupi del suo riposo, riconosce Odisseo da un’inconfondibile cicatrice al ginocchio, risalente all’infanzia ( T10, p. 256). Quando la donna per l’emozione rovescia l’acqua, desiderosa di dare subito la notizia a Penelope, è l’eroe stesso a imporle il silenzio, necessario a organizzare la vendetta sui Proci (libro XIX).

Il giorno successivo i Proci sono di nuovo a banchetto (libro XX). Penelope, sempre più incalzata dai pretendenti, si decide a indire una gara per individuare il nuovo marito: chi fosse riuscito a tendere l’arco di Odisseo e a far passare una freccia attraverso i fori di dodici scuri fissate nel suolo, sarebbe diventato re di Itaca. Siccome nessuno dei pretendenti vi riesce, il mendicante, benché deriso da tutti, chiede di partecipare alla gara e supera inaspettatamente la prova ( T11, p. 261). Ha av

vio così la vendetta di Odisseo, che rivela la sua identità agli avversari e, aiutato da Telemaco, li elimina uno dopo l’altro ( T12, p. 267). Non vengono risparmiate neanche le ancelle che si erano unite ai pretendenti durante la sua assenza e il capraio Melanzio (libro XXII).

L’ultima prova che Odisseo deve affrontare è il riconoscimento da parte della moglie, alla quale Euriclea comunica la notizia del ritorno del marito e della strage. Penelope, tuttavia, non si lascia convincere subito, neanche dopo aver visto Odisseo lavato e vestito con un bel manto e una tunica. Lo mette, perciò, alla prova: ordina di trasferire il letto fuori dalla stanza nuziale. Odisseo reagisce attonito: quel letto non poteva essere spostato, dal momento che lo aveva costruito lui stesso sul tronco di un ulivo ben conficcato nel suolo. Avuta la prova definitiva della sua identità, Penelope si scioglie in lacrime e abbraccia il marito ( T13, p. 272).

L’Odissea non è ancora finita: il giorno dopo Odisseo si reca finalmente dal vecchio padre Laerte. Alla commozione dell’incontro, segue un consiglio di ordine pratico: i parenti degli uccisi sono in rivolta e covano sentimenti di vendetta. L’intervento di Atena servirà a placare gli animi e a ristabilire la pace sull’isola (libro XXIV).

La personificazione dell'Odissea

Il pittore neoclassico francese Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867) ha dedicato un quadro all’Apoteosi di Omero, soffermandosi sulla rappresentazione di una sola delle protagoniste di quella Apoteosi: la personificazione dell’Odissea. Il poema del viaggio di Odisseo è incarnato da una donna che indossa il cappello con cui, fin da epoche antiche, viene ritratto l’eroe omerico. Essa reca con sé un remo, allusione al peregrinare per mare ed è colta in un atteggiamento di meditazione che ci ricorda la metis (intelligenza) del protagonista.

La dolce fiamma - volume C
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Epica