Vitaliano Brancati
(Pachino, Siracusa, 1907-Torino, 1954)
Storia di un uomo che per due volte non rise
- Tratto da Il vecchio con gli stivali, 1945
- racconto
(Pachino, Siracusa, 1907-Torino, 1954)
31 dicembre 1899: sta per iniziare il Novecento! Nell’ottimismo dilagante, il progresso e il benessere sembrano a portata di mano e la notte di capodanno tutti fanno festa: bevono, ballano, ridono. Solo un uomo non ride: qualcosa gli dice che il secolo che sta per cominciare non sarà affatto divertente…
Audiolettura
La notte di capodanno del 1900, Giacomo Licalzi aveva già quarant’anni. Quella
notte, nelle case di Catania, si sturarono molte bottiglie; pare che il sindaco
si sia ubbriacato a tal punto da togliersi i pantaloni e appenderli al davanzale
della finestra; pare che, fra le due e le tre del mattino, abbia nevicato; secondo
5 altri, invece, non nevicò, ma si levò un vento fortissimo che sbatté per un’ora le
persiane e poi cadde di colpo come un albero reciso dal fulmine; secondo altri
infine, non ci fu né vento né alcuna nevicata, ma una bellissima notte odorosa
e quieta.
Si brindò al nuovo secolo; se ne dissero di cotte e di crude sulla felicità, il
10 progresso, la fratellanza, l’amore, ecc., si parlò molto e si rise anche di più.
Solo Giacomo Licalzi non rise minimamente, e passò la notte col viso atteggiato
a malinconia, sbraciando la cenere della conchetta,1 fumando la pipa e
alzandosi di tanto in tanto per domandare ai figli: «Dormite?».
I due bimbi si svegliavano, si stropicciavano gli occhi e rispondevano: «Sì,
15 papà, dormiamo!».
«Ebbene», diceva il padre «… e allora dormite!».
Era stato un uomo allegro fino a poco tempo innanzi; d’un tratto, una strana
nebbia gli era calata sul viso, aveva rinunciato a uscire la sera, a giocare a carte,
ad andare a teatro, si era liberato dei cani, del cavallo, della scimmia, del fucile
20 da caccia, e ridotti i discorsi, i bisogni, i piaceri, come un buon capitano che
alleggerisce la nave all’ingresso di un mare infido, s’era inoltrato nel nuovo secolo.
«Brutto secolo!», diceva fiutando l’aria. «Brutte cose, brutti avvenimenti,
brutte faccende; porcheria; noia; schifo; e soprattutto bruttissimi uomini!».
Quando, nel ’43, la Sicilia cominciò a essere bombardata,2 questo vecchio di
25 ottantatré anni non aveva più spazio, né in faccia né in cuore, per la paura o
la meraviglia, e profondissimamente muto, fissava sulle persone lo sguardo
incomprensibile e freddo che dall’occhio socchiuso di un morto cade sul ladro
che gli ruba le scarpe.
Abitava all’ultimo piano, sotto un terrazzino che anche la più minuta delle
30 schegge avrebbe facilmente bucato; ma i figli e i nipoti non riuscirono mai a
farlo scendere nel rifugio;3 e quando la guerra s’avvicinò,4 e i catanesi fuggirono
da Catania, tutto il quartiere all’intorno, comprese la cattedrale e la biblioteca
pubblica, non ebbe che un abitante: questo vecchio muto che, la prima
notte del 1900, era stato il solo a non ridere.
35 I tedeschi, durante la ritirata, occuparono la casa, e il generale venne a visitare
Giacomo Licalzi, più per studiare la finestra, naturalmente, che per avere
il piacere di conoscerlo.
«Voi siete molto feroci!», gli disse in tedesco il vecchio ottuagenario che da
tre anni non parlava nemmeno il suo dialetto.
40 Il generale tirò fuori dal portafoglio sette fotografie: due vecchi, una donna,
tre bambini, una ragazza, le sciorinò5 sulla tavola come un mazzo di carte
quando il giocatore vuole che l’altro ne scelga una, poi disse: «Tutti morti!».
Quindi, cavata6 la rivoltella, sparò all’impazzata contro i balconi dirimpetto.
«Per me», disse, «il mondo può crepare! Che muoiano tutti! Viva solo Hitler!».
45 Il vecchio si alzò e lo accompagnò alla porta. L’altro si lasciò spingere da
quello sguardo semivivo, si piantò sull’attenti, salutò e uscì.
Scomparsi i tedeschi all’orizzonte, mentre i loro cannoni brontolavano fra i
boschi dell’Etna, la città rimase nelle mani dei ladri. Travestiti da tedeschi, da
inglesi, da carabinieri, da fascisti, i ladri sfondarono i portoni, salirono sui balconi,
50 s’affacciarono dai tetti. In quei giorni, fu rubata qualunque cosa e, mossi
dai ladri, che vi si nascondevano sotto, armadi letti statue cassettoni specchi si
misero a camminare per le strade deserte e ingombre di macerie.
Giacomo Licalzi, dal suo alto finestrino,7 guardava il triste spettacolo e fumava
la pipa. Non si meravigliava di nulla; tutte queste cose, egli le aveva già
55 viste con la mente la prima notte del ’900; e si congratulava con se stesso di
non aver diviso8 minimamente lo stupido riso degli altri per salutare “l’alba
del nuovo secolo”. Nel ricordo, quella gente che sturava bottiglie ridendo e
sghignazzando gli appariva come un popolo di scimmie ubbriache e saltellanti.
«Al diavolo, quanto erano brutti!»
60 Finalmente arrivarono gl’inglesi. Cauti, circospetti, guardando anche sotto
le panche se mai vi facesse capolino il piede di un tedesco, s’arrampicarono fin
nella soffitta ove il vecchio fumava la pipa. Un sergente e un soldato gli chiesero
il permesso di affacciare9 la bandiera britannica dal finestrino. Un’impercettibile
favilla luccicò nell’occhio di Licalzi alla vista di quella povera stoffa che
65 penzolava su una città sconquassata, simbolo di una moltitudine armata che
s’avanzava impaurita dietro un’altra che rinculava10 impaurita.
«Voi siete molto feroci!», gli disse il vecchio in cattivo inglese.
«No», gridò il sergente, «no, per niente, buonissimi!».
Il sergente parlava l’italiano e portava al collo una corona di rosario.11 «Sono
70 cattolico!», disse. E poiché il vecchio rimaneva imperturbabile, il sergente, credendo
ch’egli non avesse capito, alzò la voce: «Cattolico!», ripeté. Si fece il
segno della croce: «Padre, Figlio e Spirito Santo!». Vista una figura di santa
Rita12 sul lettuccio, salì in ginocchio sul materasso di crine,13 e baciò i piedi
dell’immagine. Rise di nuovo. Saltò dal letto. Tolse con garbo la pipa dalla bocca
75 del vecchio, gliela riempì di tabacco e gliela rimise fra i denti. «Beviamo!»,
esclamò. «Nonno, beviamo!». Tirò fuori una bottiglia, riempì un bicchiere che
vide sul tavolo e lo porse al vecchio. Lui bevve impetuosamente alla bocca del
fiaschetto. «Viva la pace!», gridò. «Pace! Pace! Avremo sempre pace! Voi, nonno,
vivrete centottanta, trecento anni!»
80 Il vecchio stava per sorridere; ma quando l’altro, nella sua foga, volle aggiungere:
«Pace! Sempre pace! Si comincia nuovo secolo!», il vecchio si abbuiò, e
ancora una volta, accanto a una persona che si torceva fra le risate, non rise.
Vitaliano Brancati, Tutti i racconti, a cura di D. Perrone, Mondadori, Milano 2018
2. In quanto tempo si svolge la storia?
3. Associa le azioni ai personaggi (diverse azioni possono riferirsi allo stesso personaggio).
1) il sindaco di Catania
2) i figli di Giacomo
3) gli abitanti di Catania
4) il generale
5) Giacomo
6) i ladri
7) il sergente
4. Perché il vecchio stava per sorridere (r. 80)?
5. Che cosa è con certezza successo a Catania la notte di capodanno del 1900?
6. La narrazione è divisa in due parti: la prima è ambientata in un anno; la seconda in un altro. Individua le due parti e l’anno in cui sono rispettivamente ambientate.
7. Le due parti della vicenda sono separate da una sfasatura fra tempo della storia e tempo del racconto. Quale?
8. Perché, secondo te, il narratore non parla degli avvenimenti tra il 1900 e il 1943?
9. Giacomo Licalzi non festeggia il capodanno del 1900: perché?
10. Come possiamo considerare le frasi seguenti dal punto di vista dell’ordine degli eventi?
«Brutto secolo!», diceva fiutando l’aria. «Brutte cose, brutti avvenimenti, brutte faccende; porcheria; noia; schifo; e soprattutto bruttissimi uomini!» (rr. 22-23).
11. Nella seconda parte del racconto ci sono due scene. Trovane una.
12. Che tipo di sequenza troviamo nel brano seguente?
Giacomo Licalzi, dal suo alto finestrino, guardava il triste spettacolo e fumava la pipa. Non si meravigliava di nulla; tutte queste cose, egli le aveva già viste con la mente la prima notte del ’900; e si congratulava con se stesso di non aver diviso minimamente lo stupido riso degli altri per salutare “l’alba del nuovo secolo”. Nel ricordo, quella gente che sturava bottiglie ridendo e sghignazzando gli appariva come un popolo di scimmie ubbriache e saltellanti. «Al diavolo, quanto erano brutti!». (rr. 53-59).
13. Individua la sequenza descrittiva, caratterizzata dal tipico uso dell’imperfetto, che apre la seconda parte del racconto.
La dolce fiamma - volume A
Narrativa