2. La struttura narrativa

2. LA STRUTTURA NARRATIVA

Le fasi

L’architettura di un testo narrativo è come lo scheletro di un essere vivente: sostiene l’organismo, funziona da intelaiatura per il corpo, protegge i centri vitali. Per individuare la struttura è necessario soffermarsi su alcuni schemi ricorrenti nella costruzione delle storie. Narrazioni anche molto diverse tra loro, infatti, possono essere scomposte in una serie di fasi costanti o simili, che riflettono i processi della vita reale: le storie di finzione hanno un inizio, uno svolgimento e una fine, proprio come gli esseri viventi, i cieli, le stelle e probabilmente l’intero universo.

È possibile suddividere la struttura della fabula, cioè qualsiasi narrazione intesa in successione logico-cronologica, in quattro fasi:


1. situazione iniziale;

2. esordio;

3. peripezie;

4. scioglimento.


1. Situazione iniziale: il racconto presenta i luoghi, i personaggi e la loro condizione. È il punto di partenza della fabula, che può coincidere con uno stato di equilibrio o con una condizione conflittuale: pensiamo per esempio a una fiaba che comincia in un reame felice oppure a un romanzo che si apre nel bel mezzo di una guerra.

  • L’incipit della narrazione può coincidere con l’inizio della fabula. In tal caso, il lettore viene subito informato sulla situazione iniziale: gradualmente, il testo ci guida alla scoperta di luoghi, spazi e personaggi, preparandoci a seguire i successivi sviluppi della trama.
    Ciò accade, per esempio, nella pagina iniziale della Montagna incantata di Thomas Mann (1875-1955):
MANN

Un semplice giovanotto era partito nel colmo dell’estate da Amburgo, sua città natale, per Davos-Platz nel Canton Grigioni.7 Andava in visita per tre settimane. […] Hans Castorp (così si chiamava il giovane), con una valigetta di coccodrillo, dono del suo tutore e zio, il console Tienappel (per dire subito anche questo nome), col suo cappotto invernale, che oscillava appeso a un gancio, e la coperta di viaggio arrotolata, si trovava solo sui cuscini grigi di un piccolo compartimento.

Thomas Mann, La montagna incantata, Corbaccio, Milano 2012

  • Altre volte, invece, il testo comincia in medias res (in latino, “nel mezzo dei fatti”), aprendosi d’improvviso su un’azione già in corso, senza fornire le informazioni preliminari sugli avvenimenti, che verranno invece offerte successivamente tramite l’analessi.
    Leggiamo l’incipit del racconto fantascientifico Metallo urlante di Valerio Evangelisti (n. 1952):
EVANGELISTI

La prima orda di guerrieri uscì urlando dal tempio di pietra che chiudeva l’accesso alla caverna Kitum. Il frastuono fu tale che Clarisse Lévy dovette coprirsi le orecchie, per quanto glielo permettevano le dita d’oro che avevano preso il posto di quelle rose dal virus. Il binocolo le cadde sul petto, ma non c’era alcun bisogno di ingrandire la visione per coglierne tutto l’orrore. I giganti neri e luccicanti scaturiti dalle grotte avevano ben poco di umano, e i rari tratti di pelle scura che conservavano si confondevano con l’acciaio brunito bioattivo8 da cui erano avvolti.

Valerio Evangelisti, Metallo urlante, Einaudi, Torino 2010

2. Esordio: è la fase della fabula che interviene a modificare la situazione iniziale. Sia che alteri l’equilibrio di partenza, sia che intensifichi ulteriormente un conflitto già in opera, l’esordio dà il via allo sviluppo della narrazione, mettendo in moto la catena degli eventi.

Eccone un esempio nelle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll (1832-1898). La protagonista si annoia mentre si trova all’aria aperta, insieme a sua sorella, quando, tutt’a un tratto, compare un coniglio parlante; Alice ne è talmente colpita che inizia a seguirlo, dando così avvio alla sua avventura in un “altro mondo”:

CARROLL

Così andava considerando nella propria mente (per quanto le era possibile, perché la calura del giorno l’assonnava e l’istupidiva) se lo svago di comporre una ghirlanda di pratoline9 valesse la pena di alzarsi a raccoglierle, allorché improvvisamente un Coniglio Bianco con gli occhi rosa le passò di corsa a fianco. Non c’era nulla di tanto notevole in ciò; né parve ad Alice poi tanto fuori dall’ordinario udire il Coniglio che diceva tra sé: «Povero me! Povero me! Arriverò troppo tardi!» (quando in seguito ci ripensò, le passò per la testa che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma sul momento le sembrò del tutto naturale); però quando il Coniglio veramente trasse un orologio dal taschino del panciotto10 e, guardatolo, si affrettò, Alice balzò in piedi, perché le balenò in mente che mai prima di allora aveva visto un coniglio dotato di taschino da panciotto e d’orologio da trarre fuori da quello; e, fremente di curiosità, lo rincorse attraverso il campo, facendo appena in tempo a vederlo cacciarsi dentro a una gran tana da conigli sotto la siepe.

Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Al di là dello Specchio, Einaudi, Torino 2003

3. Peripezie: i protagonisti vivono avventure di vario genere, in cui la loro condizione, esposta ad alterne fortune, può migliorare o peggiorare. Gli eroi viaggiano per mare sulle tracce di una mostruosa balena; lo scaltro detective si impegna per risolvere il delitto perfetto; il prigioniero, fuggito da una terribile prigione, deve tornare a casa, percorrendo una lunga distanza a piedi… Al termine di queste vicissitudini (o, appunto, peripezie) si giunge al culmine dell’intreccio, chiamato con la parola tedesca Spannung, che costituisce il momento di massima tensione.

Prendiamo un brano tratto dalla Chiave a stella di Primo Levi (1919-1987). Il protagonista, di nome Faussone, è un abile montatore alle prese con un lavoro complicato e pericoloso: piazzare un derrick, un’enorme torre d’acciaio per la perforazione dei pozzi petroliferi, in mezzo al mare, in Alaska. Dopo molteplici disavventure, la torre inizia finalmente a salire:

LEVI

In cabina di comando c’era l’ingegnere col binocolo e il cronometro, davanti ai comandi radio, e lì è incominciata la cerimonia. Sembrava di essere davanti alla televisione quando si toglie l’audio. Luis schiacciava dei bottoni uno per uno, come dei campanelli, ma non si sentiva niente, solo noi che respiravamo, ma respiravamo in punta di piedi. E a un certo punto si è visto il derrick che cominciava a pendere, come un bastimento quando sta per andare a fondo […]. Pendeva sempre di più, la piattaforma di sopra si sollevava, finché facendo una gran schiuma si è messo in piedi, è disceso ancora un poco e si è fermato netto, come un’isola, ma era un’isola che l’avevamo fatta noi.

Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, Torino 1991

4. Scioglimento: siamo all’epilogo del racconto, che mette fine alle peripezie. In caso di lieto fine, l’esito coincide con il ripristino della situazione iniziale, o con l’ottenimento di una condizione ancora migliore di quella da cui si era partiti. La fabula però può concludersi anche con una catastrofe, per esempio la morte o il fallimento del protagonista. Un’altra possibilità è rappresentata dal finale aperto, che non presenta un esito definitivo della vicenda: può essere che molte cose siano lasciate in sospeso, oppure che la storia faccia presagire ulteriori sviluppi, magari svolti diffusamente in un seguito.

Come esempio di scioglimento catastrofico, riportiamo la conclusione di Vecchio Blister, un racconto di Beppe Fenoglio, incluso nella raccolta I ventitre giorni della città di Alba (1952). All’epoca della Resistenza contro il nazismo, un partigiano di nome Blister si rende colpevole di furto ai danni di una famiglia: i suoi compagni decidono di giustiziarlo, ma Blister, dal canto suo, crede fino all’ultimo si tratti di una finta esecuzione, messa in piedi solo per spaventarlo. Comprende l’amara verità solo alla fine, quando ode il rumore di una zappa e si accorge che qualcuno, poco lontano, gli sta scavando la fossa. Il racconto si chiude sui primi colpi sparati dai partigiani:

FENOGLIO

Morris tendeva l’orecchio al castagneto, sentiva venirne il picchio della zappa di Pietro, faceva un rumore dolce. Guardò Blister per capire se anche lui sentiva quel rumore, ma dalla faccia sembrava di no e allora Morris si disse che Blister era veramente vecchio.

Invece Blister afferrò quel rumore e capì ed emise un mugolio di quelli che fanno gli idioti che han sempre la bocca spalancata. Poi urlò: «Raoul…!» con una voce che fece drizzar le orecchie a tutti i cani nella lunga valle, e corse incontro a Set che era apparso in fondo al corridoio.11 Corse avanti colle mani protese come a tappar la bocca dell’arma di Set e così i primi colpi gli bucarono le mani.

Beppe Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi, Torino 2015

Il tempo raccontato

A partire dal 1965 l’artista polacco Roman Opałka (1931-2011) inizia un vero e proprio racconto del tempo. Comincia a dipingere su tele sempre delle stesse dimensioni una numerazione progressiva dal numero uno all’infinito. La numerazione prosegue nelle tele e negli anni e la superficie di fondo, inizialmente nera, viene schiarita di volta in volta con del bianco. A partire dal 1972 inizia anche a fotografarsi ogni sera, a lavoro concluso. Dall’esordio nel 1965 alla conclusione nel 2011, anno della morte dell’artista, i numeri proseguono verso l’infinito, le tele si schiariscono fino a confondersi, il suo volto, come le tele, imbianca…

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Le sequenze

Un metodo fondamentale per analizzare i testi narrativi è quello di dividerli in sequenze. La sequenza è una porzione di testo che possiede caratteristiche omogenee: un particolare dialogo tra due personaggi, la descrizione di un avvenimento o di un luogo, la riflessione di un personaggio sul senso delle proprie sventure, l’emersione di un ricordo di gioventù e via dicendo. Se il testo narrativo fosse una costruzione Lego, le sequenze sarebbero i mattoncini: il risultato finale è ottenuto dall’incastro di molti pezzi diversi tra loro, ciascuno con la sua funzione all’interno della struttura globale.

Le sequenze sono caratterizzate dalla presenza degli stessi personaggi e dal permanere della stessa unità di tempo e di luogo. Se viene introdotto sulla scena un nuovo personaggio oppure si verifica un salto temporale o un cambiamento di luogo, è certo che siamo in una nuova sequenza. Per esempio, durante la dettagliata descrizione di un maniero abbandonato, d’improvviso il protagonista viene sorpreso e terrorizzato dalle urla di un fantasma: la descrizione e il fantasma appartengono a due sequenze diverse.

È possibile distinguere le sequenze a seconda della funzione che svolgono nel testo. Utilizziamo come modelli brani tratti dal racconto di Edgar Allan Poe (1809-1849) Lo scarabeo d’oro.

  • Sequenze descrittive: delineano le caratteristiche di luoghi e personaggi. Si tratta di sequenze statiche, perché con esse si verifica una pausa, cioè una temporanea sospensione della progressione degli eventi (il tempo della storia si ferma):
POE

Aveva preso dimora sull’isola di Sullivan, non lontano da Charleston, Carolina del Sud. È questa un’isola assai singolare. Offre poco più che sabbia marina, ed è lunga circa tre miglia. In nessun punto la sua ampiezza eccede un quarto di miglia. La disgiunge dalla terra ferma un fiumiciattolo a mala pena riconoscibile, e che defluisce in mezzo ad un disordinato folto di canne e fango, prediletta dimora della gallinella d’acqua. La vegetazione, naturalmente, è rada, rattrappita. Non si scorgono alberi imponenti.

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, in I racconti, Einaudi, Torino 2009

  • Sequenze narrative: riportano azioni e accadimenti. Tali sequenze, di tipo dinamico, sono decisive per la progressione dell’intreccio, cioè per l’evolversi e l’avvicendarsi delle situazioni narrative (il protagonista intraprende un viaggio, incontra una persona, riceve una telefonata, scala una montagna ecc.):
POE

Poco prima del tramonto, mi feci strada attraverso i sempreverdi fino alla capanna del mio amico, che da varie settimane non vedevo […]. Giunto alla capanna bussai, come ero solito fare, e non ottenendo risposta cercai la chiave dove la sapevo nascosta, apersi la porta ed entrai. Nel focolare era acceso un bel fuoco: cosa inconsueta, e davvero gradevole. Mi tolsi il cappotto, accostai una scranna alla legna scoppiettante, e pazientemente attesi il ritorno dei miei ospiti.

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, cit.

  • Sequenze dialogate: registrano i dialoghi dei personaggi. Si tratta di sequenze dinamiche, perché grazie a esse si verifica una progressione del tempo della storia:
POE

Raggiungendo il molo, notai una falce e tre badili, tutti evidentemente nuovi, gettati in fondo alla barca che ci aspettava.
«Che significano queste cose, Jup?», domandai.
«È la sua falce, signore, e i badili».
«Lo vedo, ma che ci fanno qui?».
«La falce e i badili che Massa Will mi ha detto di comprargli in città, e io li ho pagati un sacco di quattrini».
«Ma, nel nome di tutti i misteri, che ci vuol fare Massa Will con falce e badili?».
«Questo davvero non so, e il diavolo mi porti se lui ne sa qualcosa di più; ma viene tutto dallo scarabeo».

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, cit.

  • Sequenze riflessive: sono le porzioni di testo in cui vengono riportati pensieri e riflessioni dei personaggi o del narratore. Tali sequenze sono di tipo statico, cioè non comportano un avanzamento dell’azione ma svolgono un ruolo fondamentale per mettere in luce l’interiorità e la psicologia dei personaggi:
POE

Nel tono di quel biglietto c’era qualcosa che mi metteva a disagio. Lo stile non era quello consueto di Legrand. Che aveva in mente? Quale inedita stravaganza s’era impadronita del suo cervello irrequieto? E quali «faccende della massima importanza» poteva mai avere per le mani? Il racconto di Jupiter non prometteva nulla di buono. Temevo che la continuata vessazione12 della sventura avesse alla fine del tutto stravolto la ragione del mio amico.

Edgar Allan Poe, Lo scarabeo d’oro, cit.

  • Sequenze miste: può capitare infine di incontrare sequenze che presentano elementi riconducibili a due o più tipologie, mescolate insieme. In questo caso si parla di sequenze miste, divise per esempio tra dialogo e narrazione, oppure tra dialogo e riflessione. Di seguito un esempio tratto dal racconto di fantascienza Villaggio incantato di Alfred Elton Van Vogt (1912-2000), in cui si intrecciano elementi narrativi, riflessivi e descrittivi:
VAN VOGT

Quando arrivò ai piedi della montagna, le sue vettovaglie erano finite da un pezzo. Delle quattro borse gommate piene d’acqua, glien’era rimasta soltanto una, e anche questa era così vicina ad essere vuota ch’egli si limitava a inumidirsi le labbra screpolate e la lingua enfiata13 solo quando la sete diventava intollerabile. Bill Jenner si era già arrampicato di parecchio, allorché si accorse che questa volta non si trattava di un’altra duna sabbiosa. Si fermò e guardando la montagna che torreggiava inaccessibile sopra di lui sentì la sua dura volontà vacillare: per un istante sentì tutta la disperata inutilità di quella corsa affannosa senza meta… Tuttavia, riuscì a giungere sulla vetta. E vide ai suoi piedi una depressione chiusa da monti alti come quello su cui era giunto. E annidato nella conca, un villaggio.

Alfred Elton Van Vogt, Villaggio incantato, in Le meraviglie del possibile, Einaudi, Torino 1992

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Il ritmo

Dalla scelta e dal montaggio di sequenze appartenenti alle diverse tipologie appena elencate dipende il ritmo di un testo narrativo. L’uso di sequenze dinamiche tende ad accelerare il ritmo, mentre il ricorso a quelle statiche lo rallenta, fermando il corso degli eventi per descrivere oggetti concreti o realtà immateriali, come la vita interiore dei personaggi. Come in una sinfonia musicale, l’autore alterna lentezza e velocità, raggiungendo un equilibrio di volta in volta particolare, conforme alle esigenze del genere letterario e ai suoi gusti personali. Infatti, i romanzi d’avventura, polizieschi o di fantascienza sono più inclini all’impiego di sequenze dinamiche, che permettono di sviluppare intrecci elaborati e pieni di colpi di scena. D’altra parte, generi come il romanzo sentimentale o quello introspettivo fanno largo uso di sequenze statiche, utili per restituire emozioni e pensieri dei personaggi. Ma attenzione, le distinzioni non sono mai troppo rigide: possiamo trovare lunghe sequenze statiche, magari riflessive, nei romanzi d’avventura, oppure una rapida serie di sequenze dinamiche in un racconto d’amore.

Anche la durata gioca un ruolo cruciale nel rendere il ritmo più o meno vivace. La pausa e l’analisi tendono a rallentare; la scena e il sommario producono al contrario un effetto ritmico di velocità. L’ellissi, a sua volta, determina una forte accelerazione. Omettendo porzioni più o meno estese di tempo, l’autore può concentrarsi sui punti salienti dell’intreccio, creando anche dei vuoti che il lettore può colmare a piacimento. Infatti, nulla vieta di immaginarci “privatamente” ciò che l’autore ha preferito tacere: come musicisti che eseguono una partitura, anche noi – durante la lettura – partecipiamo attivamente alla costruzione dell’intreccio e alla tenuta del ritmo.

 >> pagina 77

Il movimento e la stasi

I Futuristi erano interessati allo studio del movimento. Le auto in corsa, gli aeroplani, i treni diventano emblema della velocità, della modernità. In questo trittico Umberto Boccioni (1882-1916) ci restituisce le sensazioni di un saluto alla stazione. Nel pannello a sinistra, Gli addii, alcune coppie si salutano mentre al centro la locomotiva, sbuffando, si sta mettendo in moto. Nel pannello centrale, Quelli che vanno sono saliti sul treno: puoi appena distinguere i loro volti e le case fuori dal finestrino, mentre il mondo si muove al ritmo veloce del treno in corsa. Nel pannello di destra, Quelli che restano in stazione, dopo aver salutato la persona amata, sono come spettri curvi, quasi invischiati in una sorta di foresta che rappresenta un’atmosfera pesante e immobile.

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa