LE TECNICHE

2 IL TEMPO E LA STRUTTURA DEL TESTO NARRATIVO

  • Tempo e narrazione
  • La struttura narrativa

Come analizzare

C. Dickens, Il piccolo Dombey, p. 80


Analizziamo insieme  RC

G. Manganelli, Quattordici, p. 85


Analizza tu  RC

V. Brancati, Storia di un uomo che per due volte non rise, p. 87

1. TEMPO E NARRAZIONE

Non c’è storia senza tempo

Il tempo è una dimensione essenziale e imprescindibile in qualunque opera narrativa, dal racconto orale al romanzo, dal film alla serie tv e al fumetto. La narrazione, infatti, non è confinata alla letteratura, ma riguarda la maggior parte delle forme di creatività tipiche dell’essere umano. Il forte legame tra tempo e narrazione, nella cultura, nelle arti e nel pensiero, deriva dalla centralità dell’orizzonte temporale nella nostra vita. Nasciamo in un attimo preciso, e da lì in poi viviamo soggetti al fluire inesorabile dei minuti, delle ore e degli anni, che fa da cornice alle nostre percezioni e alle nostre azioni.

In letteratura, il testo narrativo non può fare a meno della temporalità perché i romanzi e i racconti (come pure le poesie) si costruiscono con le parole, e le parole sono legate allo scorrere del tempo. Infatti, nel linguaggio verbale, termini e concetti si dispongono in fila, uno dopo l’altro, tra il “prima” del passato e il “dopo” del futuro. I testi narrativi sono come potenti macchine per viaggiare liberamente tra i secoli: con le parole possiamo evocare il passato, anticipare il futuro, evadere in dimensioni parallele e alternative. Del resto, la memoria del passato, sia personale sia collettiva, è composta da storie che, continuando a essere raccontate, sopravvivono ai loro protagonisti; inoltre, viaggiare nei mondi della lettura – vivendo le più strane e disparate avventure – può aiutarci a immaginare il nostro futuro, preparandoci meglio ad affrontare le sue sfide.

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La collocazione cronologica

In genere è possibile attribuire alle storie una collocazione cronologica, dipendente dal momento storico in cui esse vengono elaborate e prodotte. Rispetto al tempo in cui un autore scrive, la storia narrata può situarsi:

  • nel passato, quando gli eventi si svolgono in un’epoca precedente rispetto a quella in cui l’autore scrive. Tale passato può essere determinato con maggiore o minore precisione. Per esempio, il romanzo La malora di Beppe Fenoglio (1922-1963), pubblicato nel 1954, racconta una vicenda che si svolge nelle campagne piemontesi del primo Novecento, senza un’indicazione cronologica precisa. Invece il romanzo di Valerio Massimo Manfredi (n. 1943) L’ultima legione è ambientato nel 476, l’anno della caduta dell’Impero romano d’Occidente;
  • nel presente, quando i fatti narrati sono contemporanei all’epoca in cui l’opera viene prodotta. È il caso della Vita agra di Luciano Bianciardi (1922-1971), un romanzo del 1962 che riflette i cambiamenti in atto nella società italiana di allora, in particolare a Milano, cuore del boom economico avvenuto nel secondo dopoguerra;
  • nel futuro, quando le vicende avvengono in un tempo posteriore alla vita dell’autore. Ciò è tipico dei racconti di fantascienza, collocati in un futuro più o meno remoto, come il romanzo 2001: Odissea nello spazio di Arthur C. Clarke (1917-2008) e l’omonimo film diretto da Stanley Kubrick (1928-1999), entrambi usciti nel 1968. Per noi lettori di oggi, il 2001 costituisce il passato; per lo scrittore e il regista, quell’anno proiettava in un domani ancora lontano.

Può capitare infine che la collocazione cronologica risulti difficile o impossibile da individuare perché generica o imprecisata: tale indeterminatezza si manifesta soprattutto nelle favole e nelle fiabe (si pensi all’incipit classico “C’era una volta”) e in molte narrazioni fantastiche, ambientate in un mondo immaginario, diverso da quello reale.

Passato, presente e futuro

Eccoci di fronte a tre volti: a sinistra un uomo anziano (l’autoritratto di Tiziano, 1488-1576), al centro un uomo maturo (suo figlio Orazio) e sulla destra un giovane (suo nipote Marco). Sopra di loro un motto latino che significa: «Dalla esperienza del passato, il presente agisce prudentemente per non guastare l’azione futura». Quest’opera ci parla degli insegnamenti del passato per il futuro. Ma quegli animali? Derivano da un’antica simbologia dello scorrere del tempo: il lupo è il tempo che divora, il leone la forza del presente, il cane la speranza del futuro.

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LA SCELTA DEI TEMPI VERBALI

Nella maggior parte delle narrazioni – indipendentemente dalla loro collocazione cronologica –, i fatti si situano nel passato rispetto al tempo in cui vengono raccontati (quindi scritti e letti). Ciò si riflette sulla lingua, attraverso l’uso sistematico di tempi verbali passati. Tale tendenza è valida, per esempio, anche per opere di fantascienza, dove è molto facile imbattersi in frasi del tipo: «L’astronave fu colpita da uno sciame di asteroidi», oppure: «L’alieno salutò con cordialità». Per essere convincente, infatti, un racconto deve riferirsi a eventi tendenzialmente già accaduti, in un tempo anteriore a quello in cui vengono narrati.

Solo in certi casi gli autori optano per l’utilizzo di un tempo diverso dal passato, e tale scelta mira all’ottenimento di particolari effetti: quando essi vogliono creare un effetto di simultaneità e di presa diretta utilizzano il presente, mentre il futuro è adatto ai racconti dal piglio profetico, che ambiscono a prevedere situazioni e avvenimenti non ancora rea­lizzatisi.

Fabula e intreccio

  • Alla base di ogni racconto sta la distinzione tra fabula e intreccio.

    • La fabula consiste nella successione degli eventi secondo l’ordine logico-cronologico con cui accadono.
      L’ordine si dice “logico” perché riproduce i rapporti di causa-effetto («Sono scivolato sul ghiaccio e mi sono rotto il ginocchio»), e “cronologico” perché obbedisce fedelmente allo sviluppo temporale con cui gli eventi maturano nel tempo («Dopo aver frequentato le scuole, viaggiò a lungo e finì per fermarsi in Lapponia, dove si dedicò alla pesca delle aringhe, aprendo, nel 2004, una piccola attività»).
    • L’intreccio coincide con la successione degli eventi secondo l’ordine con cui vengono presentati nel racconto.
      Riprendendo gli esempi appena esposti, ecco come la fabula può tramutarsi in intreccio. Nel primo caso avremo: «Mi sono rotto il ginocchio. Ieri, sono scivolato sul ghiaccio»; nel secondo: «Nel 2004 aprì una piccola attività in Lapponia, dedicata alla pesca delle aringhe. Negli anni precedenti, aveva viaggiato a lungo per il mondo. Era partito subito dopo aver frequentato le scuole».

    Ora esaminiamo questo breve testo narrativo, facendo particolare attenzione al suo sviluppo cronologico:


    Andreas entrò nel bar con passo pesante, e salutò l’uomo anziano in piedi dietro il bancone. Ordinò un caffè e lo bevve d’un fiato, bruciandosi un poco le labbra. Era arrivato a Jena col primo treno, all’alba. Guardando la stazione da dietro la vetrina, pensava a suo padre, che vent’anni prima aveva abbandonato la famiglia per fare il soldato, senza mai più tornare. E a sua madre: a quando, da bambina, era immigrata nel paese a bordo di un gommone di fortuna. Scrollandosi di dosso una pioggia amara di ricordi, si alzò, pagò il caffè e uscì, incamminandosi verso la torre della televisione. Il giorno prima aveva ricevuto una convocazione d’urgenza dal direttore generale: può darsi, pensava, che ci fosse ancora bisogno di lui.


    Il lettore incontra Andreas in un momento preciso della fabula: il suo ingresso in un bar. Il racconto poi procede intrecciando in ordine arbitrario altri eventi, precedenti e successivi.

    Il brano riporta una serie di eventi accaduti in diversi momenti, anche a grande distanza di tempo. Come si può notare, il racconto di tali eventi non segue l’ordine logico-cronologico: l’intreccio, dunque, non coincide con la fabula. Nella seguente tabella possiamo cogliere le differenze tra i due ordini:

    Intreccio

    Fabula

    1. Andreas entra nel bar, saluta, ordina e beve un caffè.

    1. La madre, bambina, immigra nel paese a bordo di un gommone.

    2. Andreas arriva a Jena con il treno, al mattino presto.

    2. Il padre abbandona la famiglia per fare il soldato.

    3. Andreas guarda la stazione dalla vetrina, immerso nei suoi pensieri.

    3. Andreas riceve una lettera di convocazione dal direttore generale.

    4. Il padre abbandona la famiglia per fare il soldato.

    4. Andreas arriva a Jena con il treno, al mattino presto.

    5. La madre, bambina, immigra nel paese a bordo di un gommone.

    5. Andreas entra nel bar, saluta, ordina e beve un caffè.

    6. Andreas si alza, paga, esce e s’incammina verso la torre della televisione.

    6. Andreas guarda la stazione dalla vetrina, immerso nei suoi pensieri.

    7. Andreas riceve una lettera di convocazione dal direttore generale.

    7. Andreas si alza, paga, esce e s’incammina verso la torre della televisione.

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    L’EFFICACIA ARTISTICA DELL’INTRECCIO

    In pochi casi il testo narrativo segue la fabula: infatti, scombinando l’ordine degli eventi nell’intreccio, l’autore persegue effetti particolari, come la suspense. Basti pensare ai molti libri o film polizieschi, nei quali il delitto avviene all’inizio ma l’identità del colpevole è svelata solo alla fine. Del resto, se gli avvenimenti fossero sempre presentati secondo l’ordine cronologico, verrebbero meno il senso di mistero e il gusto per l’indagine, che porta il lettore a scoprire gradualmente la verità, assumendo il punto di vista dei protagonisti.

    La costruzione dell’intreccio non riguarda però solo il giallo ma ogni tipo di testo narrativo: in altri casi, non è la suspense a essere in gioco, ma la necessità di dare profondità al mondo immaginario rappresentato nel testo. Infatti, gli universi narrativi hanno un proprio passato, che spesso viene evocato attraverso i ricordi dei personaggi o le parole del narratore. Le strutture dell’intreccio servono a creare questa profondità, che sarebbe impossibile da ottenere seguendo fedelmente la fabula.

    L’ordine degli eventi

    La costruzione dell’intreccio, dunque, si basa sulla violazione dell’ordine logico-cronologico con cui si verificano gli eventi di una storia. Tale violazione avviene attraverso due principali tecniche narrative, il flashback e la prolessi.

    • Il flashback, o analessi (dal greco aná, “di nuovo”, e lêpsis, “il prendere”), consiste nel racconto di avvenimenti accaduti prima del momento in cui si svolge la narrazione principale. Esso è solitamente accompagnato da cambi nel tempo verbale (per esempio, si passa dal passato remoto al trapassato prossimo indicativo), da verbi riferiti all’azione del ricordare (“sovvenire”, “ricordare”, “andare indietro con la memoria” ecc.) e indicatori temporali che trasportano il lettore nel passato (come “ieri”, “due anni fa”, “quando ero un ragazzo”).
      Ecco un esempio di flashback tratto dall’incipit del racconto di Heinrich Böll (1917-1985) Vai troppo spesso a Heidelberg:
    BÖLL

    Alla sera, seduto in pigiama sulla sponda del letto, aspettando il notiziario di mezzanotte e fumando ancora una sigaretta, cercava di trovare in retrospettiva il punto in cui quella bella domenica gli era scappata di mano. […] La mattina aveva fatto un’ora e mezzo di bicicletta, su stradicciole di periferia, fra orticelli e terreni industriali, costeggiando campi verdi, pergolati, giardini, poi il grande cimitero fino a giungere ai margini del bosco, già ben fuori di città; su tratti asfaltati aveva aumentato l’andatura, verificando accelerazione e velocità, aveva fatto qualche scatto e aveva trovato che era ancor sempre in forma.

    Heinrich Böll, Vai troppo spesso a Heidelberg, in Opere scelte, vol. II, Mondadori, Milano 2001

    La narrazione principale si apre con il protagonista seduto sul letto, di notte, intento a ripensare alla sua giornata. Successivamente parte un flashback sugli eventi, ormai trascorsi, avvenuti nella bella domenica, iniziata con una scampagnata in bicicletta. Il flashback ha una durata variabile: può estendersi per pagine intere, oppure occupare lo spazio di poche righe. In questo caso esso occupa più della metà del racconto, riporta tutti gli accadimenti della giornata ed è segnalato, a livello dello stile, dalla formula che ci avverte che il protagonista si sta immergendo nei ricordi (cercava di trovare in retrospettiva […] scappata di mano) oltre che dall’uso del trapassato prossimo (era scappata, aveva fatto, aveva aumentato).

    • La prolessi (dal greco pró, “prima”, e lêpsis, “il prendere”) è un’anticipazione di eventi che accadranno nel futuro rispetto al momento in cui si svolge la narrazione principale. Essa comporta spesso la presenza di indicatori temporali “futuri” (“il giorno dopo”, “alla fine del mese”) e l’uso del condizionale passato (“ancora non sapeva che quella sera avrebbe incontrato l’uomo della sua vita”).
      Troviamo un esempio di prolessi nel racconto di Jorge Luis Borges (1899-1986), Il giardino dei sentieri che si biforcano:
    BORGES

    […] e appesi il ricevitore. Immediatamente dopo, riconobbi la voce che aveva risposto in tedesco. Era quella del capitano Richard Madden. Madden nell’appartamento di Viktor Runeberg voleva dire la fine dei nostri affanni e – ma questo sembrava molto secondario o così doveva sembrarmi – anche delle nostre vite. Voleva dire che Runeberg era stato arrestato o assassinato. Prima che tramontasse il sole di quel giorno, io avrei conosciuto la stessa sorte.

    Jorge Luis Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, Adelphi, Milano 2003

    Il protagonista ci informa attraverso una prolessi che anche lui verrà arrestato o assassinato. Le spie della prolessi sono l’espressione temporale Prima che tramontasse il sole di quel giorno, che trasporta il lettore nel futuro rispetto al presente della telefonata, e il condizionale passato avrei conosciuto, che serve a esprimere la posterità rispetto a un evento accaduto nel passato.

    Tempo e memoria

    Il pittore Angelo Morbelli (1853-1919) ha raffigurato in diversi dipinti gli ospiti del Pio Albergo Trivulzio, storica casa di riposo di Milano. Morbelli era talmente interessato a comprendere l’anima degli anziani che ritraeva da aver installato un vero e proprio studio di pittura nell’ospizio. In questo dipinto convivono, come in un flashback, due diversi momenti temporali: la realtà del presente di abbandono, solitudine e silenzio dei due anziani e, al centro, il passato, che compare in sogno.

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    La durata

    Dopo l’ordine degli eventi, la durata è il secondo parametro fondamentale per descrivere il trattamento del tempo all’interno delle opere narrative. La durata riguarda il rapporto tra due particolari dimensioni che compongono il testo narrativo:

    • il tempo della storia, che costituisce l’orizzonte temporale entro il quale si svolgono gli eventi narrati;
    • il tempo del racconto, ossia lo spazio (in numero di parole, di righe, di pagine) che l’autore dedica a determinati avvenimenti o descrizioni.

    Queste due dimensioni non coincidono quasi mai perfettamente, anzi, spesso sono del tutto sfasate: accade così che eventi della durata di molti anni siano riassunti in poche righe o che, al contrario, azioni brevissime occupino numerose pagine. Per esempio, un romanzo può dedicare interi capitoli alla descrizione di una cena, arricchita di minimi dettagli e di lunghissimi flashback, per poi liquidare in pochi paragrafi ciò che accade ai commensali negli anni successivi. Oppure, l’autore può concentrarsi su alcuni episodi dell’infanzia del protagonista, per esempio la sua vita di strada come orfanello, e successivamente saltare in un baleno agli anni della maturità, quando magari ha già formato una famiglia o è diventato un famoso esploratore.

    I principali fenomeni di durata, che riportiamo di seguito, riguardano i diversi rapporti che si possono creare tra il tempo della storia e quello del racconto.

    • Ellissi: il tempo del racconto si ferma, mentre quello della storia continua a procedere; l’autore sorvola infatti su alcuni eventi, di cui non viene detto nulla, anche se si presuppone che accadano lo stesso. Abbiamo così, per esempio tra un capitolo e l’altro, vuoti narrativi, riferiti a un arco temporale giudicato superfluo ai fini della narrazione, oppure brevi formule come “molti anni dopo” o “dopo mesi di felicità” che servono a imprimere un brusco salto temporale, omettendo fatti accaduti in un certo periodo.
      Un esempio di ellissi si trova in questo brano tratto dalla Cripta dei cappuccini di Joseph Roth (1894-1939), in cui il protagonista, un sottotenente austriaco, viene fatto prigioniero in battaglia e deportato in Siberia:
    ROTH

    Delle vie traverse e diritte per le quali arrivammo in Siberia non sto a raccontare. Vie diritte e traverse s’intendono da sé. Dopo sei mesi arrivammo a Wiatka.

    Wiatka è nell’interno della Siberia, sul fiume Lena. Il viaggio durò circa sei mesi. I giorni li avevamo scordati durante questo itinerario, si susseguivano innumerevoli e senza fine. Chi conta i coralli di una collana a sei fili? Sei mesi circa durò il nostro trasporto. In settembre era cominciata la nostra prigionia, quando arrivammo era marzo.

    Joseph Roth, La cripta dei cappuccini, Adelphi, Milano 1974

    • Sommario: il tempo della storia scorre più velocemente del tempo del racconto. Nel sommario, eventi che coprono un determinato arco cronologico vengono riassunti in una porzione di testo che, in proporzione, è molto minore. Per esempio, un’intera giornata viene condensata in una frase, oppure un piccolo paragrafo serve a descrivere, sinteticamente, ciò che nella storia occupa invece un paio d’anni.
      Leggiamo la parte finale dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni (1785-1873), in cui finalmente Renzo e Lucia, dopo mille peripezie, approdano al lieto fine; il felice esito del loro matrimonio viene condensato in poche righe:
    MANZONI

    Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro.

    Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Rizzoli, Milano 2014

    • Scena: il tempo della storia e quello del racconto coincidono, in quanto la narrazione riporta in presa diretta gli eventi. Tale coincidenza si verifica nelle scene dialogate, in cui più personaggi discorrono fra loro, oppure anche quando il narratore riporta in modo minuzioso e senza omissioni un particolare evento.
      La scena che proponiamo è tratta dalle Avventure di Pinocchio di Collodi (1826-1890); il burattino, braccato dagli assassini, bussa disperatamente alla porta della Fata Turchina:
    COLLODI

    Avvedutosi1 che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate2 nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muover punto3 le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo:

    «In questa casa non c’è nessuno; sono tutti morti».

    «Aprimi almeno tu!», gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.4

    «Sono morta anch’io».

    «Morta? e allora che cosa fai costì5 alla finestra?».

    «Aspetto la bara che venga a portarmi via».

    Appena detto così, la Bambina disparve e la finestra si richiuse senza far rumore.

    «O bella Bambina dai capelli turchini», gridava Pinocchio, «aprimi per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass…».

    C. Collodi, Pinocchio, Giunti, Firenze 2002

    • Analisi: il tempo della storia scorre più lentamente del tempo del racconto. In questo caso si crea un effetto di rallentamento, per cui lo spazio dedicato alla narrazione di un evento si allarga ben più del necessario, per via di minuziose descrizioni o di divagazioni di altro tipo. Si genera così una sproporzione tra la durata degli eventi (nel tempo della storia) e lo spazio che l’autore vi dedica (nel tempo del racconto). Nel quinto capitolo di Gita al faro (1927) di Virginia Woolf, la protagonista prova un calzerotto a suo figlio, perché vuole donarlo a un bambino, figlio del guardiano del faro, che ha pressappoco la stessa taglia. Tale semplice azione occupa ben cinque pagine, poiché viene inframezzata a più riprese da lunghe digressioni, che per lo più seguono il flusso di pensieri della signora Ramsay.
      Riportiamo l’inizio del capitolo, in cui emerge l’alternanza fra l’atto di provare il calzerotto e i pensieri della signora Ramsay, distratta da una coppia di amici, di passaggio proprio in quel momento:
    WOOLF

    «Dovesse non fare bello domani», disse Mrs Ramsay, sollevando lo sguardo su William Bankes e Lily Briscoe mentre passavano, «sarà per un altro giorno. E ora», proseguì, pensando che il fascino di Lily risiedesse nei suoi occhi cinesi, obliqui in quel suo viso bianco e scarno, ma che ci sarebbe voluto un uomo abile per accorgersene, «e ora alzati che devo misurarti la gamba», perché non era da escludere che andassero al Faro, e lei voleva controllare che i calzerotti non avessero bisogno di essere allungati di un centimetro o due.

    Sorridendo per una brillante idea che le era balenata proprio in quel momento – William e Lily avrebbero dovuto sposarsi – prese il calzerotto color d’erica e lo misurò sulla gamba di James.

    Virginia Woolf, Gita al faro, Dalai, Milano 2012

    • Pausa: il tempo della storia si ferma mentre quello del racconto procede. Ciò avviene in presenza di commenti del narratore, descrizioni o digressioni: l’azione si arresta per lasciare spazio alle parole del narratore, che invece di procedere con la sequenza degli eventi indugia sui luoghi o sui personaggi, magari attraverso flashback o prolessi.
      Nel racconto L’andata di Beppe Fenoglio (1922-1963), alcuni partigiani impegnati in un’azione di guerriglia raggiungono Treiso, un paese vicino alla città di Alba. A questo punto, il tempo della storia viene momentaneamente sospeso per lasciare il posto a una descrizione spaziale:
    FENOGLIO

    Intorno a Treiso e dentro non trovarono nemmeno un borghese. Partigiani non se n’aspettavano, perché dalla caduta di Alba il paese mancava di guarnigione. Si fermarono nel mezzo della piazzetta della chiesa e stettero a gambe piantate larghe a guardare ciascuno il suo punto cardinale. Colonnello, che man mano che s’avvicinava ad Alba si sentiva crescere dentro un certo mal di pancia, corrugò la fronte e letteralmente si mandò giù dalla spalla il moschetto.6 Da quella piazzetta si domina un po’ di Langa a sinistra e a destra le colline dell’Oltretanaro dopo le quali c’è la pianura in fondo a cui sta la grande città di Torino. I vapori del mattino si alzavano adagio e le colline apparivano come se si togliesse loro un vestito da sotto in su.

    Beppe Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi, Torino 2015

    Fermare il tempo

    Nel 1968 l’artista italiano Giuseppe Penone (n. 1947) realizza una serie intitolata Alpi Marittime in cui mette in relazione il suo corpo con la natura. Continuerà a crescere tranne che in quel punto è un’opera che parte dall’idea di ridurre il fare scultura al tocco della sua mano appoggiata a un albero. L’artista prevede che l’opera sarà completata nel tempo dalla crescita vegetale. Ecco quindi una mano di bronzo e intorno a essa lo sviluppo dell’albero in una delle opere della serie.

    Sguardo d'artista

    Un tavolo e due donne che si guardano… La donna con il vestito rosso è l’artista Marina Abramović (n. 1946), attiva dagli anni Settanta e protagonista di performance che indagano il rapporto tra l’artista e il pubblico e la capacità del corpo di superare i propri limiti. La fotografia documenta la performance The Artist is Present (L’artista è presente), svoltasi al MoMA di New York. Per tutta la durata della mostra (14 marzo-31 maggio 2010), per 7 ore al giorno consecutive per 6 giorni alla settimana, la Abramović è rimasta seduta immobile e in silenzio su una sedia. Di fronte a lei una sedia vuota dove i visitatori potevano accomodarsi e sostare quanto volevano. L’artista dona a chi lo richieda la sua presenza, il suo silenzio, il suo sguardo e… il tempo, un tempo lento, protratto ai limiti della resistenza.

    L'ora della memoria

    La persistenza della memoria o Gli orologi molli di Salvador Dalí (1904-1989) è una delle opere più note sul tema della percezione del tempo. Per Dalí l’orologio, simbolo di un tempo misurabile e oggettivo, diventa molle (per rappresentarlo l’artista si ispira alla mollezza del formaggio camembert). Il tempo della memoria, del mondo interiore è liquido… Nei nostri ricordi e nella nostra percezione il tempo assume altri valori: anni possono correre veloci come secondi e una sola ora durare un’eternità.

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    La frequenza

    L’ultima categoria legata al tempo nella narrazione è la frequenza, che riguarda la distinzione tra eventi unici ed eventi iterativi. Un evento unico avviene, com’è ovvio, una sola volta, in una porzione di tempo ben definita («L’anno scorso, caddi da cavallo durante una gita in campagna»). Al contrario, un evento iterativo si verifica più volte, senza che si possa inquadrare un lasso di tempo circoscritto («L’anno scorso andavo sempre al lavoro in automobile»). Nello studio dei testi narrativi distinguiamo tra frequenza singolativa e iterativa.

    • Frequenza singolativa: il testo descrive eventi unici e avvenuti in un determinato momento del tempo. Questo genere di frequenza è spesso reso attraverso il passato remoto.
      Leggiamo l’incipit del romanzo La chimera di Sebastiano Vassalli (1941-2015), in cui l’unicità dei fatti narrati viene rafforzata dalla precisione delle indicazioni temporali:
    VASSALLI

    Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1590, giorno di Sant’Antonio abate, mani ignote deposero sul torno cioè sulla grande ruota in legno che si trovava all’ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura, a Novara, un neonato di sesso femminile, scuro d’occhi, di pelle e di capelli: per i gusti dell’epoca, quasi un mostro. […] Il mostro visse. Venne battezzato due giorni dopo il suo ritrovamento (era domenica), nella chiesetta medioevale di San Michele, annessa alla Pia Casa, e si chiamò Antonia Renata Giuditta Spagnolini.

    Sebastiano Vassalli, La chimera, Einaudi, Torino 1992

    • Frequenza iterativa: il testo rappresenta eventi iterativi, cioè abituali o ripetuti nel tempo. Tale frequenza viene spesso marcata dall’uso dell’imperfetto, adatto a esprimere azioni che non si lasciano confinare in un singolo momento.
      Nella seguente descrizione tratta dal romanzo Il potere del cane di Don Winslow (n. 1953), Adán, futuro spietato boss della droga, ricorda con nostalgia le estati della sua infanzia, passate in una località di montagna in mezzo ai contadini:
    WINSLOW

    Adán amava le serate estive più di ogni altra cosa, quando le famiglie si riunivano, le donne cucinavano, sciami di bambini correvano dappertutto ridendo allegramente, e gli uomini sorseggiavano birra fredda, parlando dei raccolti, del tempo e del bestiame. Poi sedevano tutti insieme alle grandi tavole imbandite sotto le antiche querce, e subito calava il silenzio, perché mangiare era una faccenda seria. Una volta placata la fame, il chiacchiericcio ricominciava.

    Don Winslow, Il potere del cane, Einaudi, Torino 2014

    La dolce fiamma - volume A
    La dolce fiamma - volume A
    Narrativa