T5 - Roberto Saviano, Il porto di Napoli (da Gomorra)

T5

Roberto Saviano

Il porto di Napoli

  • Tratto da Gomorra, 2006
  • saggio romanzato
Roberto Saviano è nato nel 1979 a Napoli, dove si è laureato in Filosofia e ha mosso i primi passi nel campo del giornalismo d’inchiesta. Nel 2006 ha pubblicato Gomorra, un libro a cavallo fra romanzo e reportage, che documenta il potere soffocante della camorra, la criminalità organizzata diffusa in Campania ma con radici anche nel resto d’Italia e all’estero. Gomorra, tradotto in più di cinquanta paesi, ha venduto nel mondo oltre dieci milioni di copie: ne sono stati tratti film, serie tv e spettacoli teatrali. In seguito alle minacce ricevute dai clan denunciati, dall’autunno del 2006 Saviano è costretto a vivere sotto scorta. Ha comunque continuato a scrivere, collaborando con giornali come “la Repubblica”, “El País”, “The New York Times” e pubblicando altri libri, fra i quali ZeroZeroZero (2013), inchiesta sul traffico di cocaina, e il romanzo La paranza dei bambini (2016), nel quale torna sulle realtà degradate del napoletano, raccontando le brutali imprese di un gruppo di ragazzini.

Gomorra si apre nel luogo in cui tutte le merci arrivano, trasportate in container su enormi navi da carico: il porto di Napoli. Qui inizia l’esplorazione di Saviano negli inferi di una città sentimentale e feroce, disperata e disperante, bellissima e crudele. La prima scena dà subito una misura della potenza visionaria che contraddistingue lo stile dello scrittore campano.

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Audiolettura

Il container1 dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave. Come se stesse
galleggiando nell’aria, lo sprider, il meccanismo che aggancia il container alla
gru, non riusciva a domare2 il movimento. I portelloni mal chiusi si aprirono di
scatto e iniziarono a piovere decine di corpi. Sembravano manichini. Ma a terra

5      le teste si spaccavano come fossero crani veri. Ed erano crani. Uscivano dal
container uomini e donne. Anche qualche ragazzo. Morti. Congelati, tutti raccolti,
l’uno sull’altro. In fila, stipati come aringhe in scatola. Erano i cinesi che
non muoiono mai. Gli eterni che si passano i documenti l’uno con l’altro. Ecco
dove erano finiti. I corpi che le fantasie più spinte immaginavano cucinati nei

10    ristoranti, sotterrati negli orti d’intorno alle fabbriche, gettati nella bocca del
Vesuvio. Erano lì. Ne cadevano a decine dal container, con il nome appuntato3
su un cartellino annodato a un laccetto intorno al collo. Avevano tutti messo
da parte i soldi per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano trattenere
una percentuale dal salario, in cambio avevano garantito un viaggio di

15    ritorno, una volta morti. Uno spazio in un container e un buco in qualche
pezzo di terra cinese. Quando il gruista4 del porto mi raccontò la cosa, si mise le
mani in faccia e continuava a guardarmi attraverso lo spazio tra le dita. Come
se quella maschera di mani gli concedesse più coraggio per raccontare. Aveva
visto cadere corpi e non aveva avuto bisogno neanche di lanciare l’allarme, di

20    avvertire qualcuno. Aveva soltanto fatto toccare terra al container, e decine
di persone comparse dal nulla avevano rimesso dentro tutti e con una pompa
ripulito i resti. Era così che andavano le cose. Non riusciva ancora a crederci,
sperava fosse un’allucinazione dovuta agli eccessivi straordinari.5 Chiuse le
dita coprendosi completamente il volto e continuò a parlare piagnucolando,

25    ma non riuscivo più a capirlo.

Tutto quello che esiste passa di qui. Qui dal porto di Napoli. Non v’è manufatto,
stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, martello, scarpa, cacciavite, bullone,
videogioco, giacca, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto. Il
porto di Napoli è una ferita. Larga. Punto finale dei viaggi interminabili delle

30    merci. Le navi arrivano, si immettono nel golfo avvicinandosi alla darsena
come cuccioli a mammelle, solo che loro non devono succhiare, ma al contrario
essere munte. Il porto di Napoli è il buco nel mappamondo da dove esce
quello che si produce in Cina, Estremo Oriente come ancora i cronisti si divertono
a definirlo. Estremo. Lontanissimo. Quasi inimmaginabile. Chiudendo

35    gli occhi appaiono kimono,6 la barba di Marco Polo e un calcio a mezz’aria di
Bruce Lee.7 In realtà quest’Oriente è allacciato al porto di Napoli come nessun
altro luogo. Qui l’Oriente non ha nulla di estremo. Il vicinissimo Oriente, il minimo
Oriente dovrebbe esser definito. Tutto quello che si produce in Cina viene
sversato qui. Come un secchiello pieno d’acqua girato in una buca di sabbia

40    che con il solo suo rovesciarsi erode ancor di più, allarga, scende in profondità.
Il solo porto di Napoli movimenta il 20 per cento del valore dell’import tessile
dalla Cina, ma oltre il 70 per cento della quantità del prodotto passa di qui.8 È
una stranezza complicata da comprendere, però le merci portano con sé magie
rare, riescono a essere non essendoci, ad arrivare pur non giungendo mai,

45    a essere costose al cliente pur essendo scadenti, a risultare di poco valore al
fisco pur essendo preziose. Il fatto è che il tessile ha parecchie categorie merceologiche,9
e basta un tratto di penna sulla bolletta d’accompagnamento per
abbattere radicalmente i costi e l’IVA.10 Nel silenzio del buco nero del porto
la struttura molecolare delle cose sembra scomporsi, per poi riaggregarsi una

50    volta uscita dal perimetro della costa. La merce dal porto deve uscire subito.
Tutto avviene talmente velocemente che mentre si sta svolgendo, scompare. 

Come se nulla fosse avvenuto, come se tutto fosse stato solo un gesto. Un viaggio
inesistente, un approdo falso, una nave fantasma, un carico evanescente.
Come se non ci fosse mai stato. Un’evaporazione. La merce deve arrivare nelle

55    mani del compratore senza lasciare la bava11 del percorso, deve arrivare nel
suo magazzino, subito, presto, prima che il tempo possa iniziare, il tempo che
potrebbe consentire un controllo. Quintali di merce si muovono come fossero
un pacco contrassegno che viene recapitato a mano dal postino a domicilio.
Nel porto di Napoli, nei suoi 1.336.000 metri quadri per 11,5 chilometri,

60    il tempo ha dilatazioni uniche. Ciò che fuori riuscirebbe a essere compiuto
in un’ora, nel porto di Napoli sembra accadere in poco più d’un minuto. La
lentezza proverbiale che nell’immaginario rende lentissimo ogni gesto di un
napoletano qui è cassata, smentita, negata. La dogana attiva il proprio controllo
in una dimensione temporale che le merci cinesi sforano. Spietatamente

65    veloci. Qui ogni minuto sembra ammazzato. Una strage di minuti, un massacro
di secondi rapiti dalle documentazioni, rincorsi dagli acceleratori dei camion,
spinti dalle gru, accompagnati dai muletti12 che scompongono le interiora dei
container. […] 

 
Il porto è staccato dalla città. Un’appendice

70     infetta mai degenerata in peritonite,13
sempre conservata nell’addome
della costa. Ci sono parti desertiche
rinchiuse tra l’acqua e la terra, ma che
sembrano non appartenere né al mare

75    né alla terra. Un anfibio di terra, una
metamorfosi marina. Terriccio e spazzatura,
anni di rimasugli portati a riva
dalle maree hanno creato una nuova
formazione. Le navi scaricano le loro latrine,14

80    puliscono stive lasciando colare
la schiuma gialla in acqua, i motoscafi
e i panfili spurgano motori e rassettano
raccogliendo tutto nella pattumiera marina. E tutto si raccoglie sulla costa, prima
come massa molliccia e poi crosta dura. Il sole accende il miraggio di mostrare

85    un mare fatto d’acqua. In realtà la superficie del golfo somiglia alla lucentezza
dei sacchetti della spazzatura. Quelli neri. E piuttosto che d’acqua, il mare del
golfo sembra un’enorme vasca di percolato.15 La banchina con migliaia di container
multicolori pare un limite invalicabile. Napoli è circoscritta da muraglie
di merci. Mura che non difendono la città, ma al contrario la città difende le

90    mura. Non ci sono eserciti di scaricatori, né romantiche plebaglie da porto. Ci si
immagina il porto come luogo del fracasso, dell’andirivieni di uomini, di cicatrici
e lingue impossibili,16 frenesia di genti. Invece impera un silenzio da fabbrica
meccanizzata. Al porto non sembra esserci più nessuno, i container, le navi e i
camion sembrano muoversi animati da un moto perpetuo. Una velocità senza

95    chiasso.

Al porto ci andavo per mangiare il pesce. Non è la vicinanza al mare che fa da
garante di un buon ristorante, nel piatto ci trovavo le pietre pomici,17 sabbia,
persino qualche alga bollita. Le vongole come le pescavano così le giravano
nella pentola. Una garanzia di freschezza, una roulette russa d’infezione. Ma

100  ormai tutti si sono rassegnati al sapore d’allevamento che rende simile un totano
a un pollo. Per avere l’indefinibile sapore di mare bisognava in qualche
modo rischiare. E questo rischio lo correvo volentieri.


Roberto Saviano, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondadori, Milano 2006

 >> pagina 425 

Come continua

Al porto Saviano trova un alloggio in affitto. In cambio si impegna a scaricare pacchi per un ambiguo imprenditore cinese, Xian. È un lavoro sfiancante, che gli consente di capire da vicino i meccanismi tramite i quali le merci eludono le tasse. Compie così il primo passo che lo porta a contatto con l’economia sommersa di Napoli. In seguito ne conoscerà il volto più brutale, incontrando balordi, killer, boss, drogati all’ultimo stadio, funzionari corrotti, ma anche onesti cittadini che resistono o si oppongono al sistema camorristico, come don Peppino Diana (1958-1994), che paga con la vita il suo coraggio.

A tu per tu con il testo

Chi non ha mai visto una tradizionale cartolina di Napoli, con un gran pino marittimo in primo piano, il Vesuvio con qualche nuvoletta sullo sfondo, e in mezzo le due baie a mezzaluna in cui si distende la città, inframezzate da Castel dell’Ovo? «Vedi Napoli e poi muori», recita un vecchio detto attribuito a Goethe, intendendo che dopo aver ammirato questa splendida città si può anche morire in pace.

Questo panorama, fra i più suggestivi del Mediterraneo, è spesso chiamato a introdurre una carrellata di banalità sulla città partenopea: il paese del sole, abitato da gente canterina, povera e felice, inguaribilmente pigra ma sempre in grado di cavarsela grazie alla fantasia, come Pulcinella, la maschera locale.

In Gomorra Saviano porta alla luce invece un lato nascosto della città, svelandone la faccia livida, febbrile e affannata controllata dalla malavita, quella che insegue ciecamente il benessere e che è disposta a raggiungerlo con qualunque mezzo, compresi fucili e mazzette. Nel romanzo il porto è il luogo in cui questa realtà si riconosce con più chiarezza perché lì, più che altrove, si celebra il trionfo delle merci, dalle quali può dipendere il destino di un uomo. Al porto si incrociano i traffici leciti e illeciti di Gomorra. Chi non si orienta è perduto: basta uno sgarro, una scintilla per far scoppiare l’incendio. Vedi Napoli e poi muori? A qualcuno è andata così. Ma non avrebbe senso passare da uno stereotipo all’altro, dalla pizza al kalashnikov. A Napoli c’è di più, molto di più.

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Analisi

Gomorra si apre con una scena a effetto. Siamo nel porto, dove una gigantesca gru sta spostando dei container su una nave diretta in Oriente. Un problema nella manovra, ed ecco che dai portelloni aperti inizia una macabra pioggia di corpi congelati. Cinesi, decine di cinesi, che in cambio di una trattenuta sullo stipendio, si erano assicurati un viaggio di ritorno, una volta morti (rr. 14-15). Dopo l’incidente, in pochi secondi altre persone compaiono dal nulla, rimettono i cadaveri nel container e puliscono tutto con una pompa. Almeno questo è ciò che racconta un gruista al narratore. Sarà vero? È lecito nutrire qualche dubbio: in primo luogo perché la storia somiglia a una delle tante leggende tese a spiegare come mai sia così raro imbattersi in un funerale cinese; e poi perché a riferire questa assurda vicenda è un uomo sconvolto, che Non riusciva ancora a crederci, sperava fosse un’allucinazione dovuta agli eccessivi straordinari (rr. 22-23). In questo senso, il brano costituisce un perfetto esempio dell’ambiguità che caratterizza Gomorra, sempre in bilico fra romanzo e reportage, saggio di denuncia e testo letterario. Ambiguità che ha causato discussioni roventi, ma che rappresenta senza dubbio un punto di forza dell’opera.

Il versante documentario di Gomorra prevale nella seconda sequenza, in cui la prospettiva si rovescia. Non più container in partenza, ma container in arrivo, zeppi di ogni tipo di merce: Non v’è manufatto, stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, martello, scarpa, cacciavite, bullone, videogioco, giacca, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto (rr. 26-28). Napoli fa da collettore a tonnellate di oggetti fabbricati in Cina che si riversano sull’Italia e sull’Europa. Le statistiche ne danno conto fino a un certo punto, perché buona parte sfugge al controllo della dogana. Saviano ironicamente commenta: le merci portano con sé magie rare, riescono a essere non essendoci, ad arrivare pur non giungendo mai, a essere costose al cliente pur essendo scadenti (rr. 43-45).

Insieme ai malavitosi che le maneggiano e rivendono, le merci sono le autentiche protagoniste di Gomorra, che attraversano tutti i capitoli con straordinaria rapidità. La lentezza proverbiale che nell’immaginario rende lentissimo ogni gesto di un napoletano (rr. 61-63) è smentita dai fatti. Si tratti di droga, terreni, balle di rifiuti o fiammanti giubbotti di marca, la vertigine del denaro travolge ogni steccato, ogni regola, ogni legge. Muraglie (r. 88) composte da migliaia di container multicolori, come enormi mattoni di Lego, si innalzano fra la città e il suo mare, trasformato in un’enorme discarica dai rifiuti di navi, motoscafi e panfili. L’infinita sporcizia del porto diventa così metafora di un cancro che rode Napoli, in un silenzio da fabbrica meccanizzata (rr. 92-93).

 >> pagina 427 

Saviano non racconta soltanto crimini e sparatorie, ma anche i maneggi nelle banche, le infiltrazioni in Comuni, istituzioni e imprese. Il suo, come recita il sottotitolo del libro, è un Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra. Da un lato si concentra sui flussi finanziari, dall’altro sulla sete di potere che anima i camorristi. Parola, quest’ultima, ormai caduta in disuso presso gli affiliati, che preferiscono parlare di Sistema: un termine che sposta l’attenzione sulla complessità dell’organizzazione, capace di inquinare ogni livello della società.

Gomorra è costruito da una serie di ricognizioni su questi meccanismi. In sella alla sua Vespa, Saviano instancabilmente si muove fra il luogo di un agguato e una discarica abusiva, l’aula di un tribunale e il funerale di un adolescente morto ammazzato.

Parlare con chi ha visto, arrivare per primo, immergersi nei bassifondi come un palombaro, nel tentativo di capire che cosa ribolle là sotto. L’autore si mette in scena in prima persona, alternando analisi sociologiche a testimonianze vibranti. Lo attrae il gusto selvaggio della vita vera: Per avere l’indefinibile sapore di mare bisognava in qualche modo rischiare. E questo rischio lo correvo volentieri (rr. 101-102). Su questo versante Gomorra si avvicina alla fiction d’avventura, sostenuto da uno stile molto personale, in cui abbondano le immagini forti, come quella del porto paragonato a un organo malato, Un’appendice infetta mai degenerata in peritonite, sempre conservata nell’addome della costa (rr. 69-72). Ad aumentare il pathos provvede la sintassi frammentaria, caratterizzata da un uso intenso del punto fermo, come è tipico del giornalismo d’inchiesta: Ed erano crani. Uscivano dal container uomini e donne. Anche qualche ragazzo. Morti (rr. 5-6).

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false, poi correggi quelle che ritieni false.


a) Le persone che risistemano i cadaveri ritrovati nel container fanno parte dell’impresa di pulizie del porto di Napoli.

  • V   F

b) Il porto di Napoli è uno dei principali punti di arrivo delle merci prodotte in Cina.

  • V   F

c) Le irregolarità fiscali commesse nella registrazione delle merci cinesi in ingresso nel porto sono numerose.

  • V   F

d) Il sistema dei traffici illegali nel porto di Napoli è rapido ed efficiente.

  • V   F

e) Il porto di Napoli è un luogo affollato e chiassoso.

  • V   F

f) L’autore sa di correre un rischio, addentrandosi nel porto per comprenderne i meccanismi.

  • V   F

2. L’autore conosce approfonditamente la situazione del porto di Napoli perché

  • a è il luogo in cui lavora da tempo. 
  • b ha studiato reportage e documentari. 
  • c conosce direttamente molte persone che vi lavorano. 
  • d vi ha trascorso del tempo e ha parlato con numerosi testimoni. 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

3. Nel brano che hai letto si alternano narrazione in prima persona, testimonianza, descrizione e analisi dei meccanismi socioeconomici. Individua nel testo queste diverse articolazioni.


4. Perché il gruista piagnucola quando racconta a Saviano dell’episodio dei morti cinesi? Si tratta solo di pena per i morti?


5. Uno degli elementi che distinguono il libro di Saviano da una indagine giudiziaria o socioeconomica sulla malavita del porto di Napoli è lo stile, che sfrutta sapientemente determinati procedimenti retorici tipicamente letterari. Prova a individuarne alcuni.


Accumulazione/Enumerazione

 

Similitudine

 

Ossimoro

 

Metafora

 

Climax/Anticlimax

 

6. Rileggi il passo che parla dei tempi della dogana: l’autore usa un linguaggio metaforico che appartiene a quale area semantica? Perché, a tuo giudizio?

 >> pagina 428 

COMPETENZE LINGUISTICHE

7. Storia della lingua. Nella locuzione Estremo Oriente il termine Estremo significa “il più lontano”: esso era, in origine, un superlativo latino, che oggi non percepiamo più come tale, perché è passato in italiano come un aggettivo di grado positivo. Storia simile hanno altri attributi: dopo avere individuato, anche con l’aiuto del dizionario, il significato originario dei seguenti aggettivi di grado superlativo (assoluto o relativo), scrivi sul quaderno una frase per ciascuno di essi.


anteriore esteriore inferiore interiore posteriore intimo infimo supremo


8. Lessico. Quando il gruista del porto mi raccontò la cosa (r. 16): sono numerosi nella nostra lingua i nomi di professioni che terminano con il suffisso -ista. Tu ne conosci qualcuno? Elencane almeno cinque, spiegando brevemente le mansioni principali di chi svolge le professioni che hai scelto.


9. Ortografia. L’elisione e il troncamento. … nessun altro luogo (rr. 36-37): nessun non si scrive con l’apostrofo perché la -o di nessuno è caduta per troncamento e non per elisione (che richiede invece l’apostrofo). Conosci la differenza tra questi due fenomeni grafici e fonetici? Quale forma pensi sia corretta tra qual è e qual’è?

PRODURRE

10. Scrivere per raccontare Trasforma il primo paragrafo del testo, quello relativo al container dei cinesi, in un’intervista fatta da Saviano al gruista (massimo 20 righe). Cerca di utilizzare in modo espressivo la punteggiatura per trasmettere le emozioni dell’intervistato.

SPUNTI DI RICERCA interdisciplinare

Lingue e letterature straniere

Nei secoli XVIII e XIX Napoli era una delle mete obbligate dei viaggiatori europei che facevano il Grand Tour, ovvero un lungo viaggio di istruzione e formazione in cui toccavano città ricche di arte e storia come Firenze, Roma, Napoli e Palermo. Due, in particolare, sono gli scrittori celebri che furono affascinati dalle bellezze di Napoli: il tedesco Johann Wolfgang Goethe e il francese Stendhal. Con l’aiuto dell’insegnante di lingua straniera, prova a leggere (anche in traduzione) alcuni passi delle loro descrizioni della città e confrontale con le immagini della Napoli contemporanea.

educazione civica

I traffici illegali della criminalità organizzata sono una delle piaghe sociali, economiche e culturali dell’Italia contemporanea. Insieme ai tuoi compagni, documentati su questi temi così importanti, magari prendendo spunto proprio dai numerosi interventi di Roberto Saviano sui giornali, in televisione, sui social network.

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Se ti è piaciuto

Eroi del male

Gomorra ha colpito fortemente il pubblico, con il racconto di esperienze e comportamenti terribili. In questi brividi, tuttavia, si nasconde il pericolo dell’ammirazione, o addirittura dell’emulazione, moltiplicato dal successo della versione cinematografica e da quella televisiva, nelle quali l’esibizione della violenza ha un ruolo preponderante. Più volte le cronache hanno riportato notizie relative a crimini ispirati dalle scene raccontate da Saviano e trasposte da Matteo Garrone in un film premiato nel 2008 al festival di Cannes.

È un problema che si ripropone ogni qual volta il cinema o la letteratura creano degli eroi del male: basti pensare alla trilogia del Padrino (diretta da Francis Ford Coppola e scaturitia dall’omonimo romanzo di Mario Puzo), che hanno cristallizzato un’immagine fascinosa della mafia siciliana.

Un esempio più recente, preludio a Gomorra, è costituito da Romanzo criminale (2002), docu-fic­tion del magistrato Giancarlo De Cataldo, in cui si racconta la storia della banda della Magliana, che terrorizzò Roma a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Anche da queste pagine sono stati tratti un film e una serie tv, che hanno contribuito a mitizzare le figure dei membri più violenti della banda. Come valutare questi effetti? Certo nella realtà la vita dei criminali è molto meno affascinante di quanto possa apparire sul grande schermo o in un romanzo. D’altra parte la soluzione non può essere il silenzio, che consente alle organizzazioni criminali di tessere indisturbate nell’ombra le loro malefiche tele.

La dolce fiamma - volume A
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Narrativa