CARTA CANTA - Fenoglio alla tastiera

carta canta

Fenoglio alla tastiera

«Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti». Beppe Fenoglio non scriveva per divertimento. Il suo non era un hobby ma una passione divorante, esplosa dopo la Liberazione, il 25 aprile 1945. Andava bene qualunque foglio, anche i notes prestampati che il padre Amilcare usava per tenere in ordine i conti della macelleria di famiglia.
I genitori lo osservavano perplessi. Uscito vivo per miracolo dalla guerriglia partigiana, che l’aveva costretto a interrompere gli studi universitari, speravano riuscisse a laurearsi nella sua materia preferita, letteratura inglese, per poi darsi all’insegnamento. Invece si votò alla narrativa: era l’unica maniera per tenere a bada i demoni interiori, che lo rigettavano nei terribili ed entusiasmanti mesi vissuti in clandestinità sulle Langhe, quando ogni giorno poteva essere l’ultimo. La madre si rassegnò a noleggiargli una costosa macchina per scrivere; qualche anno più tardi Beppe si comprò una Olivetti Studio 44, che da allora in poi troneggiò sul tavolo della sala da pranzo, accanto a una pila di carte che nessuno, eccetto lui, poteva toccare.

L’ottima conoscenza dell’inglese gli aveva garantito intanto un’assunzione presso una ditta vinicola, dove curava la corrispondenza internazionale. Alla sera capitava spesso che rientrasse sovrappensiero, preda di un’ispirazione che sfogava nottetempo, quando scriveva per ore e ore, interrompendosi soltanto per accendere l’ennesima sigaretta. Scriveva per rievocare i momenti salienti della lotta per la Liberazione, senza abbellimenti retorici, con ruvida schiettezza, com’era nel suo stile. Oppure per ridare vita al feroce mondo contadino delle vecchie Langhe, al centro di storie desolate e potenti come quella narrata nella Malora (1954), il suo secondo libro, che uscì nella collana dei “Gettoni” Einaudi con un risvolto pungente di un altro importante scrittore, Elio Vittorini, non del tutto convinto dalla via che aveva scelto.


Il rapporto di Fenoglio col mondo editoriale fu difficile: «io sarò un brocco, ma brado», cioè libero, indipendente, scrisse in una lettera. Quando morì, troppo giovane, lasciò un oceano di carte che gli studiosi continuano a solcare instancabilmente, accapigliandosi sulle varianti, la cronologia, i progetti di cui facevano parte. Ma una cosa è certa: non era un brocco, e i capolavori emersi da quell’oceano lo dimostrano. Come scrisse Italo Calvino nel 1964, «fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno finirlo (Una questione privata), e morì prima di vederlo pubblicato, nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta».

La dolce fiamma - volume A
La dolce fiamma - volume A
Narrativa