2 - Le scholae

2. Le scholae

2.1 LE SCUOLE PRIVATE E LE SCUOLE COMUNALI

La maggior parte degli studenti del tardo Medioevo erano avviati al sapere presso scuole private. Vi erano varie tipologie di scuole private. Alcuni maestri fungevano da precettori presso la casa dell’alunno, vivendo e insegnando lì o raggiungendola quotidianamente; molti maestri privati facevano lezione nella propria abitazione o affittavano locali a questo scopo; altri istituivano convitti dove gli studenti erano ospitati e istruiti.

Verso la metà del XIII secolo le città liberate dalla soggezione di un signore o che godevano del diritto di provvedere autonomamente all’amministrazione locale iniziarono a investire nell’istruzione attraverso la fondazione di scuole comunali. Sotto la spinta del ceto mercantile, presenza sempre più significativa nelle città, si rafforza l’idea per cui la formazione dei giovani rappresenta una funzione di pubblico interesse, di cui si devono occupare i responsabili dell’amministrazione cittadina.

I comuni di solito assumevano uno, due o al massimo tre maestri, che così divenivano pubblici funzionari, stipendiati per assolvere a un servizio per la comunità, come il medico e il chirurgo comunale. I maestri potevano godere di alcuni benefici come il diritto all’alloggio gratuito, la facoltà di tenere studenti a pensione e l’esenzione dalle tasse. Inoltre i comuni permettevano ai maestri di riscuotere onorari supplementari dagli studenti, garantendo in alcuni casi la frequenza gratuita a studenti meritevoli ma poveri. Sul piano del curriculum i maestri potevano essere chiamati a insegnare il programma latino oppure il programma volgare e comunque era richiesto loro di occuparsi anche della formazione morale degli alunni, che dovevano essere forgiati a una corretta condotta di vita cristiana soprattutto per tramite del loro esempio.

In Italia il fenomeno delle scuole comunali inizia nel Duecento, ma si sviluppa soprattutto nel Trecento, permettendo la creazione di un’ampia rete scolastica nel Centro-Nord della penisola. Sono soprattutto i centri minori a sovvenzionare le scuole comunali, in quanto i maggiorenti del luogo dispongono di finanze meno cospicue rispetto alle classi abbienti dei centri maggiori e non hanno le risorse necessarie per assumere precettori privati.

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Nuove istituzioni cittadine

Per quanto il sistema feudale sopravviva in molti Stati, specialmente del Nord Europa, nel basso Medioevo si assiste a un rifiorire delle città che porta, in particolare nell’Italia centrosettentrionale, alla nascita di comuni che si amministrano liberamente. Verso la metà del Duecento essi iniziano a fondare anche delle scuole, per rispondere all’esigenza di un’istruzione di base dei giovani, percepita come di pubblico interesse.

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2.2 APPRENDERE UN MESTIERE

Nell’alto Medioevo l’apprendimento di un mestiere era affidato essenzialmente alla famiglia, per cui i fanciulli seguivano generalmente le orme del padre. Dopo l’anno Mille si afferma un ceto artigiano e mercantile sempre più dinamico, che avanza nuove esigenze educative.

Diventare artigiano
La formazione degli aspiranti artigiani comincia a essere affidata a dei maestri esperti, che accolgono nella loro casa e nella loro bottega i fanciulli a partire dai sette anni fino all’età adulta, per insegnare loro le tecniche del mestiere. Nel corso del XIII secolo questo percorso di apprendistato viene a essere normato attraverso precise regole dettate dalle  corporazioni di mestiere. Questo processo favorisce la nascita di vere e proprie scuole di arti e mestieri, volte a tutelare le varie categorie professionali.

L’età in cui il ragazzo avvia l’apprendistato e la durata dello stesso variano a seconda dei diversi mestieri. Solitamente nel basso Medioevo si accede all’apprendistato tra i 12 e i 14 anni, per rimanere “a bottega” per un periodo di quattro o cinque anni, terminato il quale il giovane diventa ufficiale e, dopo due anni di pratica del mestiere, può accedere all’esame che gli permette di fregiarsi del titolo di maestro e di esercitare in autonomia la professione.

La formazione dell’artigiano non contemplava l’apprendimento della lettura e della scrittura, anche se spesso le corporazioni collaboravano con le scuole cittadine. Tutto l’iter educativo era basato sul concetto positivo del lavoro e sull’esempio morale e professionale del maestro.

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Il “risveglio” delle città

Nella parte sinistra dell’affresco è rappresentata la vita cittadina in tutto il suo fermento, con muratori che costruiscono nuovi edifici, botteghe aperte, muli carichi di merci e una scuola con un maestro che legge dal pulpito a un attento gruppo di scolari. Al centro della scena un girotondo di fanciulle simboleggia l’armonia e la felice condizione della vita cittadina. Fanno da sfondo alla scena gli edifici rosati e le casetorri di Siena. Il “risveglio” delle città e la civiltà comunale, in cui emergono i ceti artigiano e mercantile, pongono l’esigenza di un modello educativo che introduca i fanciulli ad apprendere un mestiere e a conoscerne i segreti.

La formazione del mercante
Per quanto riguarda l’educazione dei futuri mercanti, invece, va rilevato che, soprattutto nel corso del Trecento, molte scuole di lingua volgare si attivano per offrire l’insegnamento dell’abaco. Con il termine abaco (o abbaco) non si indica l’antico strumento di calcolo ereditato dal mondo classico (quello romano consisteva in una tavoletta di legno con otto bacchette con gettoni o palline per fare calcoli), ma una matematica “pratica” adottata per risolvere problemi relativi all’attività d’affari.

Nel corso del XIII secolo si verifica una vera e propria rivoluzione nelle tecniche d’affari, che impongono l’acquisizione di nuovi metodi matematici in grado di star dietro alle crescenti esigenze del commercio internazionale. La matematica classica e la matematica filosofica insegnata nelle università non rispondono a queste istanze. Emerge una nuova matematica, detta “abaco”, definita in ambito occidentale da Leonardo Fibonacci (1175 ca.-dopo il 1240). A lui non solo si deve la diffusione del sistema numerale indiano-arabo, che va a sostituire la numerazione romana, ma anche l’opera Liber abaci, una sorta di enciclopedia matematica applicata a concrete situazioni commerciali, che godette di grande fortuna e dalla quale si prese spunto per trasmettere l’insegnamento dell’abaco.

Verso la fine del Duecento compaiono le prime versioni ridotte del Liber abaci di Fibonacci e all’incirca in questo periodo si registra la nascita delle prime scuole d’abaco, che attecchiscono inizialmente nel contesto fiorentino e poi nell’Italia settentrionale, secondo due modelli diversi. A Firenze, infatti, si apprendeva l’abaco in scuole specializzate, che duravano circa due anni e alle quali si poteva accedere dopo la scuola di lettura e scrittura, mentre nella maggior parte delle altre città l’insegnamento dell’abaco era integrato direttamente nei programmi delle scuole di lingua volgare. Gli studenti che seguivano le lezioni di abaco, una volta terminato il percorso di apprendimento, erano in grado di gestire i principali compiti tipici dell’attività della mercatura, come i cambi di monete, le attività di prestito e di movimento merci.

per lo studio

1. Quali sono le peculiarità delle scuole private e di quelle comunali?

2. Perché la relazione tra maestro e apprendista è centrale nelle scuole di arti e mestieri?

3. In che termini la formazione matematica e tecnica delle competenze è valorizzata nelle scuole d’abaco?


  Per discutere INSIEME 

Intervista un campione di artigiani che lavorano nella tua città, proponendo loro un set di domande condivise con la classe, dal quale far emergere la loro esperienza di apprendistato.

I colori della Pedagogia - volume 2
I colori della Pedagogia - volume 2
L’educazione dal basso Medioevo al positivismo - Secondo biennio del liceo delle Scienze umane