1 - Chierici, cavalieri e non solo

1. Chierici, cavalieri e non solo

1.1 LA FORMAZIONE DEL CAVALIERE

Nel basso Medioevo la formazione dell’aristocrazia continua a ispirarsi al mondo della  cavalleria, ma rispetto al periodo altomedievale si registra un’evoluzione nel percorso educativo, per cui accanto alla preparazione fisica e militare, che comunque rimane l’aspetto prevalente dell’apprendistato del cavaliere, compaiono anche elementi di educazione intellettuale.

Il percorso che conduce a diventare dei valorosi cavalieri è molto lungo e prevede diverse tappe:

  • inizia verso i 7 anni, quando ormai il fanciullo si considera (secondo le consuetudini dell’epoca) entrato nella fase adulta e lascia la casa paterna per recarsi presso la dimora di un signore, dove è avviato alle sette probitates del cavaliere: equitazione, nuoto, lancio della freccia, duello o scherma, caccia, gioco degli scacchi, arte del poetare in rima. Il paggio, nome con cui è designato il futuro cavaliere a quest’età, segue il signore a caccia e nei viaggi, acquisisce una formazione religiosa, basata sulla conoscenza della Bibbia e delle vite dei santi, e dedica gran parte del suo tempo all’esercizio fisico e all’addestramento militare;
  • a 14 anni diventa scudiero. È in questa fase che accompagna il signore in guerra, occupandosi del cavallo e della preparazione dell’armatura e delle armi. Continua altresì a seguire il signore nelle battute di caccia e comincia a prendervi parte attiva;
  • compiuti i 21 anni è proclamato cavaliere con una cerimonia di investitura. Inizialmente incentrata solo sulla benedizione delle armi consegnate al giovane, la cerimonia si arricchisce nel XIII-XIV secolo, caricandosi di elementi simbolici e trasformandosi da evento privato a cerimonia collettiva, manifestazione della grandezza del principe che si occupa dell’investitura.

Questo lungo iter formativo ha come scopo non solo l’acquisizione dell’abilità nell’uso delle armi, ma si propone anche di inculcare dei precisi valori, quali l’onore, il senso del dovere, la fedeltà alla parola data, il coraggio, l’amore per Dio, la misericordia e la difesa di tutti i deboli. Si tratta di un insieme di virtù, che vanno a incarnare quella morale aristocratica propria degli ambienti di corte (virtù cortesi), fatta di atti eroici e di grandi ideali, tanto celebrata nei poemi cavallereschi medievali.

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1.2 LA FORMAZIONE RELIGIOSA

Nel basso Medioevo continuano a prosperare le scuole monastiche e le scuole ecclesiastiche:

  • le scuole monastiche, nate in Oriente già nel IV secolo, avevano attecchito in Occidente a partire dal V secolo ed erano destinate essenzialmente alla formazione dei futuri monaci, anche se non mancavano eccezioni, per cui figli di re e nobili erano affidati a un monastero;
  • le scuole ecclesiastiche, sorte attorno al VI secolo, erano rivolte in via preferenziale alla formazione dei fanciulli destinati al sacerdozio (▶ chierici), ma spesso e volentieri accoglievano anche alunni destinati alla vita laica. Potevano essere di fondazione episcopale (scuole episcopali o cattedrali) oppure sorgere in parrocchie rurali (scuole presbiterali).

Inizialmente in queste scuole ci si dedica soprattutto alla lettura della Bibbia e all’acquisizione di uno stile di vita consono alla vocazione religiosa, ma ben presto il programma di studi diviene più articolato e le scuole monastiche ed ecclesiastiche si trasformano in vivaci poli culturali. Già alla fine del VII secolo i monasteri iniziano a dotarsi di biblioteche ben fornite e di scriptoria, studi dove vengono copiati scritti di carattere religioso e anche opere profane. Successivamente, soprattutto a seguito della cosiddetta  rinascita carolingia dei secoli VIII-IX, sia i monasteri sia le scuole ecclesiastiche si dedicano allo studio della teologia e gradualmente iniziano ad aprirsi alle  arti liberali del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica).

Un’altra forma di educazione religiosa che si sviluppa nel Medioevo è riconducibile all’opera di evangelizzazione della Chiesa, posto sia davanti al problema di adattare il messaggio di fede al tipo di uditorio a cui è indirizzato; sia di fronte a un tipo di educazione informale, che coinvolge tutta la popolazione e che rientra nell’azione di inculturazione e socializzazione della Chiesa. Già nell’VIII e IX secolo in diversi concili e sinodi si insiste sulla necessità di veicolare la parola di Dio in modo semplice, ricorrendo laddove necessario anche alla lingua volgare. L’attività di predicazione assume nuovo slancio fra il XII e il XIII secolo, quando la Chiesa si trova nella necessità di rafforzarla per contrastare l’emergere dei movimenti ereticali. È in questo periodo che fanno la loro comparsa sulla scena due grandi ordini mendicanti, che offrono un significativo contributo all’opera di educazione religiosa delle popolazioni per tramite della predicazione: i francescani, fondati da Francesco d’Assisi nel 1209, e i domenicani, istituiti da Domenico di Guzmán nel 1215. Su questo terreno si distinguono soprattutto i francescani, che iniziano ad affiancare all’attività di predicazione anche il canto e forme rappresentative e sceniche (si pensi ai drammi sacri e all’invenzione del presepe natalizio), per trasmettere con maggior efficacia gli insegnamenti religiosi ai fedeli. Lo stesso san Francesco è trai primi a predicare e far predicare in volgare. Il suo testo più noto, il Cantico di Frate Sole (o Laudes creaturarum o Cantico delle creature), composto nel 1225, nasce proprio dalla volontà di offrire ai frati un testo da cantare in lode del Signore e da insegnare ai fedeli. Il che spiega la struttura semplice e il ricorso a concetti di facile comprensione.

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L’educazione religiosa per i ceti popolari

Oltre all’educazione fornita dalle scuole monastiche e dalle ecclesiastiche, rivolte principalmente alla formazione dei religiosi, si sviluppa nel basso Medioevo una forma di educazione religiosa rivolta ai ceti popolari, che ha anche lo scopo di combattere i movimenti ereticali. Questa si avvale principalmente della predicazione in lingua volgare, impiegata soprattutto dagli ordini dei francescani e dei domenicani, affiancata dai grandi cicli pittorici sulle pareti delle chiese, che raccontano episodi delle Sacre Scritture e incitano ad agire secondo gli insegnamenti religiosi.

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  INVITO ALLA LETTURA 
L’UOMO MEDIEVALE, a cura di Jacques Le Goff, Laterza, Roma-Bari 2006

Il volume, curato dal grande medievista francese Jacques Le Goff, presenta l’uomo medievale e ne descrive dieci profili, delineati da un gruppo di noti studiosi europei. Il monaco, il cavaliere, il contadino, il cittadino, l’intellettuale, l’artista, il mercante, la donna, il santo e l’emarginato: queste sono le figure attraverso le quali si traccia un affascinante affresco del mondo medievale. Sono ritratti accomunati dalla «convinzione dell’esistenza universale ed eterna di un modello umano […] definito dalla religione». L’uomo medievale è certamente un essere complesso, fatto di corpo e anima, è un viator, un pellegrino sempre in cammino, proiettato verso l’eternità, un penitente, che cerca di assicurarsi la salvezza. Ma, pur nelle sue tante sfaccettature, l’uomo medievale si riconosce essenzialmente come figlio di Dio, creato a sua immagine e somiglianza, che nella vita terrena è chiamato a ritrovare il paradiso perduto a causa del peccato originale. Senza alcuna pretesa di esaustività (tra i molti protagonisti dell’epoca medievale esclusi per cause di forza maggiore, il signore, il vescovo, il medico), il volume offre un suggestivo spaccato dell’universo umano che popola il contesto europeo tra IV e XIV secolo e delle gerarchie sociali che lo caratterizzano, così come dei processi educativi espliciti e indotti che “cristallizzano” ogni status vitae.

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1.3 I MODELLI POETICO-LETTERARI DELLA SCUOLA

Nel tardo Medioevo si affermano scuole in cui si insegna il programma latino, destinate al ceto superiore, e scuole incentrate sul programma volgare, frequentate dai ragazzi appartenenti ai ceti inferiori. Si tratta per lo più di scuole comunali, che rappresentano un canale formativo alternativo rispetto a quello monastico ed ecclesiastico.

Il programma latino

Per quanto riguarda la prima tipologia di scuole, i grammatici e retori medievali hanno lasciato elenchi di autori e testi curricolari da usare nelle scuole, attraverso i quali si insegnavano le regole della grammatica latina e le norme della morale cristiana.

  • Si principiava dai testi più semplici, come: l’Ars minor del grammatico romano del IV secolo Elio Donato; la raccolta di detti morali Disticha Catonis attribuita a Catone il Censore (III-II secolo a.C.); la raccolta di favole esopiche Liber Aesopi, risalente alla seconda metà del XII secolo; e l’opera anonima del X secolo Theodúlus, in cui Pséustis (“Mentitore”) affronta poeticamente Alíthia (“Verità”) proponendo storie mitologiche alle quali Alíthia ribatte con esempi tratti dall’Antico Testamento, assicurandosi la vittoria.
  • Seguivano libri di grammatica latina, glossari e dizionari di maggior complessità. Tra le grammatiche la più diffusa era il Doctrinale, una grammatica latina in versi scritta intorno al 1199 dal maestro francese Alessandro di Villedieu, ampiamente usata ancora nel Rinascimento. A questi testi si affiancavano libri di edificazione morale, come il Facetus, un manuale di buone maniere in versi della prima metà del XIII secolo, o la cosiddetta Chartula, dalla prima parola del trattato in versi del XII secolo De contemptu mundi (“Sulla condanna del mondo”), attribuito al monaco Bernardo di Morlaix.

I testi curricolari erano in prevalenza medievali e cristiani, ma comprendevano anche alcuni autori classici romani, come Virgilio, Ovidio, Stazio, Lucano e Boezio, che erano studiati più per i contenuti delle opere che come modelli di bello stile da seguire. La maggior parte dei testi adottati, inoltre, era in versi, grammatiche comprese, per via del valore mnemonico attribuito dai dotti alla poesia.

Sebbene di livello prevalentemente universitario, alcune scuole del programma latino prevedevano anche l’insegnamento dell’ars dictaminis, disciplina che consentiva di acquisire le complesse norme della corrispondenza pubblica, la quale prevedeva precise formule a seconda del destinatario a cui ci si doveva rivolgere.

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L’importanza della grammatica

Fra le sculture che adornano il portale reale della cattedrale di Chartres, la grammatica (figura di destra) è rappresentata dal grammatico latino del IV secolo Donato, che fu maestro di san Girolamo. Sulle ginocchia del maestro un codex, sulla mensola accanto a lui gli strumenti della scrittura, i calami (canne tagliate). La grammatica (della lingua latina) è una delle arti liberali del trivio, sulle quali è fondata la cultura medievale, ed è la base del programma latino insegnato nelle scuole destinate al ceto superiore.

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Il programma volgare
Gli studenti delle scuole in volgare non erano destinati agli studi universitari o ad alte cariche, ma al mondo del lavoro. Le scholae sine latino, presenti soprattutto nei centri con importanti attività mercantili, non seguivano un programma preciso, né avevano testi curricolari ben definiti. I libri adottati provenivano dalla cultura volgare adulta.

  • Dopo l’abbecedario, uno dei primi libri di lettura adottati nelle scuole in volgare italiano era il Fior di virtù. Scritto agli inizi del Trecento, era composto da una quarantina di capitoli in prosa, ognuno dedicato a un particolare vizio o a una virtù, che venivano illustrati secondo uno schema fisso caratterizzato da tre parti principali: una leggenda relativa ad animali, una serie di massime attribuite erroneamente a varie fonti classiche, bibliche, patristiche e medievali, e un racconto con personaggi umani.
  • Altro testo molto adottato, che assolveva alla duplice funzione di testo scolastico e di libro devozionale, erano le Epistole e Evangeli che si leggono tutto l’anno alla messa. L’opera raccoglieva episodi della vita di Cristo e passi delle lettere di san Paolo, che erano letti quotidianamente a messa.
  • Molto diffuse come libri di lettura erano anche le agiografie, per lo più derivate dalla traduzione di vite dei santi latine. È questo il caso delle Vite dei Santi Padri, volgarizzamento delle Vitae Patrum attribuite a san Girolamo, realizzato da Domenico Cavalca nella prima metà del XIV secolo. Si tratta di un’opera di agiografia popolare, che racconta le storie di santi eroici mutuando lessico e struttura degli episodi dai romanzi cavallereschi, al fine di favorire l’immedesimazione nella storia da parte del lettore. Altra raccolta agiografica “romanzata” di grande successo fu la Legenda aurea del domenicano Iacopo da Varazze, composta tra il 1260 e il 1267, che conobbe numerose edizioni e traduzioni in varie lingue.
  • Fra i testi di lettura in volgare adottati nelle scuole troviamo anche i romanzi cavallereschi. Erano adottati sia quelli del ciclo carolingio (chansons de geste), che narravano le epopee degli austeri cavalieri di Carlo Magno, sia quelli del ciclo arturiano, nei quali accanto alle imprese eroiche spiccavano l’elemento magico e la tematica amorosa. Nel contesto della penisola italiana si privilegiarono soprattutto i romanzi cavallereschi francesi, per l’alto valore simbolico attribuito alla figura di Carlo Magno, emblema dell’unità cristiana e della lotta contro l’infedele, e verso la metà del Trecento iniziarono a essere composti e adottati anche romanzi cavallereschi italiani, nei quali convivevano caratteristiche tratte dalle fonti francesi e bretoni. Colui che meglio di ogni altro incarnò questo filone letterario fu il cantore toscano Andrea da Barberino (1370-1431/32), la cui opera più nota è il romanzo Buovo d’Antona, che godette di un posto centrale nella cultura popolare per secoli.
  • I capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio non fecero il loro ingresso nelle scuole di lingua volgare se non in tempi recenti. Questo probabilmente per ragioni pratiche: la Divina Commedia di Dante era troppo complessa per essere adottata come testo scolastico; il Canzoniere di Petrarca raccontava un amore delicato e platonico, che aveva meno presa sugli alunni rispetto a quello avventuroso narrato nei romanzi cavallereschi; il Decameron di Boccaccio, poi, era infarcito di elementi scabrosi che non lo rendevano adatto come testo scolastico. Nelle scuole di lingua volgare circolarono testi di minor valore letterario, ma molto popolari e vari nel loro genere, per cui erano accostati titoli religiosi e profani, di intonazione moralistica e di svago, secondo una mescolanza che non seguiva un programma prestabilito, ma si basava sul gusto delle famiglie e dei maestri.

per lo studio

1. Quali sono le principali tappe del percorso di formazione del cavaliere medievale?

2. Di quali canali formativi si avvale la Chiesa medievale?

3. Quali sono le differenze più rilevanti tra il programma latino e il programma volgare della scuola tardomedievale?


  Per discutere INSIEME 

Le scuole di lingua volgare del basso Medioevo attingevano ai libri della cultura adulta. Avvia un “sondaggio” tra amici, familiari e compagni di classe per capire quali libri esclusi dagli attuali programmi scolastici vorrebbero letti e commentati a scuola.

I colori della Pedagogia - volume 2
I colori della Pedagogia - volume 2
L’educazione dal basso Medioevo al positivismo - Secondo biennio del liceo delle Scienze umane