3 Nuovi modelli di paidéia: dal tramonto della pólis classica all’età alessandrina

3. Nuovi modelli di paidéia: dal tramonto della pólis classica all’età alessandrina

3.1 IL MODELLO EDUCATIVO DI SENOFONTE

L’opera di Senofonte | ▶ L’AUTORE | di maggiore interesse pedagogico è la Ciropedia, ovvero “L’educazione di Ciro”, una sorta di romanzo storico-pedagogico sulla vita del re persiano Ciro il Grande, che regnò dal 559 al 529 a.C.
All’inizio di questa opera Senofonte, conservatore e filo-spartano, appassionato di caccia e strategia militare, si chiede come si possa esercitare il comando mantenendo l’ordine e il potere: questo interrogativo dà avvio al racconto e alla riflessione sul principe ideale.
Il despota orientale Ciro eccelle tra gli altri sovrani e conquista le simpatie di Senofonte perché fu capace, pur con un modesto contingente, di diventare signore di un vasto impero multietnico. Senofonte ripercorre l’infanzia e l’educazione di Ciro, il cui profilo viene largamente mitizzato per la sua capacità di conquistarsi l’obbedienza dei popoli non con la forza militare, ma con il rispetto che incuteva il suo nome.
Il sistema educativo persiano, descritto e tanto apprezzato da Senofonte, si basava su una formazione severa, diretta dallo Stato e incentrata sull’insegnamento della giustizia: «I fanciulli che frequentano la scuola imparano i principi della giustizia e dichiarano essi stessi che vi si recano a questo scopo, proprio come da noi lo scolaro dice di andare a scuola per imparare a leggere e scrivere», spiega Senofonte nella Ciropedia. Si tratta di un’educazione nominalmente democratica – chiunque ha il diritto di mandare i propri figli alle scuole pubbliche per apprendere i principi della giustizia – ma di fatto elitaria, perché frequentavano la scuola solo i ragazzi che non erano costretti dalla necessità a lavorare. Soltanto i fanciulli allevati nelle scuole pubbliche potevano accedere alla “classe dei giovani” e, in seguito, alle magistrature e agli onori. Per dieci anni, a partire dalla fine dell’adolescenza, i giovani si tenevano a disposizione dei magistrati per faccende di pubblico interesse; la notte dormivano nei pressi degli edifici governativi, per fare la guardia alla città e per esercitare la virtù della temperanza.
Una parte rilevante della formazione militare consisteva nell’accompagnare il re nelle battute di caccia: questo addestramento era praticato con una disciplina ferrea e considerato il migliore esercizio propedeutico alla guerra, così come l’allenamento con l’arco o il giavellotto.
Dopo aver servito per venticinque anni la vita collettiva, alla soglia dei cinquant’anni i persiani entravano nella classe degli anziani, con il compito di giudicare le cause pubbliche e private e di nominare i magistrati.
Se nella Ciropedia Senofonte propone una riflessione politica sulla crisi contemporanea delle póleis, individuando negli istituti persiani e nell’organizzazione imperiale un punto di riferimento ideale per la gestione della vita pubblica, nel dialogo intitolato l’Economico, attraverso il personaggio di Socrate, parla invece dell’amministrazione domestica, proponendo una gestione efficace e pratica delle attività quotidiane e dell’agricoltura, considerata l’unica attività degna di un uomo libero.
Nel testo viene affrontato il tema della divisione del lavoro e dei ruoli nell’economia domestica. Rilevanti sono i passaggi dello scritto che trattano del rapporto tra moglie e marito e della relazione educativa tra i coniugi, definita sia dalla divisione dei ruoli sia dalla grande differenza d’età al momento del matrimonio: circa trent’anni per gli uomini e quindici per le donne. Quando Socrate chiede al ricco proprietario terriero Iscomaco se sua moglie fosse già istruita nell’amministrazione della casa al momento del matrimonio, questi si dilunga nel racconto di come ha educato la sua consorte, la quale «prima viveva sotto un’assidua sorveglianza perché vedesse il meno possibile, chiedesse il meno possibile, ascoltasse il meno possibile». L’óikos (“la casa”), viene descritto come una vera e propria azienda domestica; al suo interno il capo è la moglie, che se ne assume l’organizzazione gestendo il lavoro degli schiavi e mantenendone l’ubbidienza.

l’AUTORE  Senofonte

Storico e scrittore assai profilico di origini aristocratiche, Senofonte nasce ad Atene intorno al 430 a.C. Durante l’adolescenza frequenta Socrate. Nel 404 milita con i Trenta tiranni e, una volta ristabilita la democrazia (403), è costretto ad allontanarsi dalla pólis, forse condannato all’esilio.
Nel 401 partecipa con un contingente di diecimila mercenari greci alla spedizione indetta da Ciro il Giovane, figlio del re persiano Dario II, contro il fratello Artaserse II e, dopo la sconfitta e la morte di Ciro, assume il comando delle truppe greche allo sbando guidandone con successo la ritirata.
Della lunga marcia in territorio ostile, egli racconta nella sua opera più celebre, l’Anabasiuno dei più antichi esempi di scrittura autobiografica e diaristica. La partecipazione diretta alle vicende narrata fa di Senofonte uno storico molto peculiare. Gli anni successivi lo vedono combattere al servizio degli spartani prima in Asia Minore contro i persiani, poi, nel 394, a Coronea (città della Beozia, in Grecia), contro i suoi stessi concittadini. In cambio dell’appoggio ricevuto, gli spartani gli assegnano una proprietà a Scillunte, vicino a Olimpia, dove rimane dal 390 circa al 370, anno in cui si trasferisce a Corinto. Muore intorno al 354.

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Greci e persiani al tempo di Senofonte

Il temporaneo predominio spartano in Grecia, impostosi con la definitiva sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso (404 a.C.), nascondeva un importante fattore di debolezza. Per vincere la guerra Sparta era ricorsa all’aiuto finanziario dei persiani, ma ora si trovava nella difficile condizione di dover fare i conti con la vittoria, perché il suo nuovo ruolo di “protettrice” del mondo greco le imponeva di liberare le città greche dell’Asia Minore da quel dominio persiano che essa stessa aveva negoziato in cambio dell’alleanza contro Atene. Nel 404, alla morte del re persiano Dario II, si aprì nell’Impero persiano una contesa dinastica tra i due discendenti: Ciro il Giovane e il legittimo successore al trono Artaserse II. Nel 401 a.C., favorendo la partenza di un contingente di mercenari, al quale partecipò anche Senofonte, gli spartani sostennero Ciro, che però rimase ucciso in battaglia. In questa spedizione Senofonte svolse un ruolo di primo piano: pur non essendo un generale, assunse con successo il comando dei diecimila mercenari greci sopravvissuti e rimasti senza guida e riuscì a portare in salvo la spedizione guidandoli attraverso le montagne dell’Armenia fino al Mar Nero. Dopo la sconfitta di Ciro, i rapporti tra Sparta e la Persia si lacerarono e lo scontro divenne inevitabile.
Tutte le missioni spartane in Asia fallirono e nel 386 a.C. Artaserse II impose un accordo di pace che ribadiva il controllo persiano sulle città greche dell’Asia Minore e vincolava l’intera Grecia, Sparta inclusa, alla volontà della Persia.

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3.2 L’EDUCAZIONE GRECA VERSO UN IDEALE PANELLENICO

L’instabilità politica del mondo greco, flagellato da continue guerre intestine, e la minaccia dell’Impero persiano favorirono l’entrata in scena del regno di Macedonia, che sotto il governo di Filippo II, salito al potere nel 360/359 a.C., diede inizio a una campagna di conquista della Grecia. Ad Atene la politica di Filippo innescò un acceso dibattito politico: il partito filomacedone, che aveva tra i suoi sostenitori l’oratore Isocrate, identificava nei persiani il principale nemico da combattere e sosteneva che solo un solido potere monarchico esterno avrebbe posto fine alle guerre tra le póleis e creato le condizioni per una grande coalizione in grado di sconfiggerli; il partito antimacedonecapeggiato da Demostene, vedeva al contrario nell’avanzata dei macedoni un rischio per la libertà dei greci.
Combinando forza militare e abilità diplomatiche, Filippo II riuscì a creare una confederazione ▶ panellenica di cui assunse l’egemonia: con la fondazione della Lega di Corinto (337 a.C.), le póleis si impegnarono a non dichiararsi guerra l’un l’altra e a rispettare l’autorità del sovrano macedone, in vista dell’obiettivo comune di liberare le città greche dell’Asia Minore dal dominio persiano.
Anche se con Filippo II le póleis continuavano ad esistere, a livello culturale il loro orizzonte si allargava, orientandosi verso un ideale di ▶ cosmopolitismo che caratterizzerà la storia dell’⇒ età ellenistica, il cui inizio è convenzionalmente fatto coincidere con la morte di Alessandro Magno, avvenuta nel 323 a.C.
La produzione intellettuale, prima incentrata sul ruolo del cittadino e sulla vita collettiva della pólis, ora si focalizza gradualmente sulla persona umana, sul suo comportamento morale, sulle sue possibilità di vivere virtuosamente e di conquistare la felicità. La paidéia non è più solo un metodo per accompagnare i giovani all’età adulta, ma diventa una forma di perfezionamento per il pieno sviluppo della personalità del singolo. È in nome di questo ideale di educazione che è possibile costruire l’unità dei greci.

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3.3 LA PAIDÉIA PANELLENICA DI ISOCRATE

Prima logografo, cioè redattore a pagamento di discorsi giudiziari, poi professore di eloquenza, il longevo Isocrate (visse quasi un secolo, dal 436 al 338 a.C.) è considerato il più celebre maestro di oratoria e di educazione letteraria del mondo greco.
Ispirandosi a Gorgia, di cui fu discepolo, Isocrate diede continuità all’attività dei sofisti aprendo ad Atene, intorno al 390 a.C., una scuola di eloquenza fondata sulla retorica. Essa godette di grande fama e prestigio ed entrò presto in concorrenza con l’Accademia di Platone, fondata sull’insegnamento della filosofia. Era una scuola a pagamento aperta a tutti, della durata di quattro anni. Frequentata da un numero ridotto di alunni (non più di nove alla volta), aveva come finalità la formazione di professionisti che con saggezza ed esperienza sapessero affrontare l’attività politica e condurre affari pubblici e privati.
In linea con la sofistica e contro Platone, Isocrate nega la possibilità per l’uomo di una conoscenza assoluta, di valicare i confini della dóxa, “l’opinione”; screditando l’impostazione filosofica astratta del mondo delle idee di Platone, identifica la sapienza nel saper stare nell’esperienza, nell’efficacia pratica e nell’agire in modo giusto nel quotidiano.
D’altra parte, egli prende anche le distanze dal relativismo etico dei sofisti: la padronanza della parola e dell’argomentazione non si traduce in un mero strumento di persuasione e affermazione di sé. L’eloquenza, per Isocrate, non si limita all’efficacia e al successo nelle assemblee o nei tribunali, ma si nutre di un sistema di valori civici e patriottici. «Nulla di ciò che è fatto con saggezza viene fatto senza l’aiuto della parola», scrive nell’orazione A Nicocle.
Egli attribuisce alla retorica un ruolo etico, specialmente nell’educazione dei giovani: solo chi è correttamente educato a parlare bene sa assumere un comportamento giusto nella vita quotidiana e politica.
Il bravo oratore, secondo Isocrate, doveva godere, tra i cittadini, di fama, prestigio e buona reputazione e possedere competenze letterarie e filosofiche. Isocrate rivendica pertanto la superiorità della cultura umanistica rispetto a quella scientifica.
Come avveniva l’insegnamento della retorica nella sua scuola? Fondamentali erano la pratica e lo sviluppo delle qualità innate, come la voce, la buona memoria, la creatività, la disinvoltura, la dedizione al lavoro. L’insegnamento della disciplina prendeva il via con un’esposizione dei principi generali di composizione ed eloquenza. Dopodiché ogni alunno metteva in pratica le teorie studiate, attraverso lo studio e il commento dei modelli proposti, che erano le orazioni composte da Isocrate stesso. Il tirocinio si basava essenzialmente sull’esempio e sull’imitazione, di modo che ogni allievo potesse partecipare al processo creativo.
Dal punto di vista politico il progetto pedagogico di Isocrate si fonda su un forte sentimento di unità tra i greci. Essere greci non significa appartenere alla medesima etnia, ma partecipare della medesima cultura e avere una concezione condivisa dell’uomo. Superando l’orizzonte limitato della pólisquesto sentimento comune doveva portare alla formazione di una coalizione antipersiana all’insegna di una paidéia panellenica. «Chiamiamo greci coloro che hanno in comune con noi la cultura, piuttosto che coloro che hanno lo stesso sangue», scrive Isocrate nell’orazione intitolata Panegirico (380 a.C. circa), dove auspica che l’unione dei greci avvenga sotto l’egemonia culturale di Atene, «la scuola della Grecia». La cultura era ciò che univa la storia delle póleis greche, il fondamento della loro comune identità e lo strumento per impedire i conflitti interni.

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3.4 LA PEDAGOGIA DI ARISTOTELE

Allievo di Platone, attivo ad Atene ma legato alla corte dei macedoni, Aristotele | ▶ L’AUTORE, p. 140 | elabora una visione pedagogica che riflette la tensione del momento storico in cui vive.
In bilico tra la dimensione collettiva che caratterizza la pólis, ormai in pieno declino, e quella più personale del cittadino-suddito, che egli sperimenta vivendo per alcuni anni alla corte dei sovrani macedoni, il filosofo immagina un progetto educativo che sviluppi le qualità del buon cittadino inserendolo in un ampio contesto di relazioni che sono però strettamente congiunte a una pratica virtuosa a livello individuale, con uno sguardo sempre ben ancorato alla realtà dei fatti.
Il filosofo che fonda il liceo
Quando, nel 335 a.C., Aristotele si trasferisce ad Atene con l’intenzione di fondarvi una scuola, essendo egli straniero e non potendo perciò possedere terreni, utilizza un ⇒ ginnasio pubblico dedicato ad Apollo Licio, il Liceo, dove si trovavano un fabbricato e un giardino.
La scuola prese anch’essa il nome di Liceo. All’interno del giardino vi era il Peripato (dal greco perípatos, “passeggiata”, cioè “luogo di passeggio”), dove il filosofo teneva le sue lezioni e dove lui e i suoi allievi pare fossero soliti meditare e discutere camminando (da cui il nome di “peripatetici” attribuito ai membri della scuola). Aristotele teneva corsi propri, ma nella scuola prestavano servizio di insegnamento anche altri studiosi, che egli aveva chiamato a collaborare al proprio fianco.
Mentre nell’Accademia il metodo di insegnamento si fondava prevalentemente sul dialogo tra maestro e allievo, nel Liceo lo strumento di trasmissione del sapere era il libro. Nella scuola aristotelica fu perciò creata una biblioteca che raccoglieva diverse centinaia di manoscritti e che divenne probabilmente modello per la futura biblioteca di Alessandria.
La vita si svolgeva in comune e la reggenza era affidata, a turno, a un membro della scuola. Gli ambiti del sapere presi in esame erano diversi e numerosi, tutti improntati però alla ricerca, all’osservazione, allo studio generale e dei singoli casi, secondo metodologie differenti e adatte a ogni disciplina.
Dell’intensa attività del Liceo possediamo oggi solamente gli scritti esotericiquelli cioè destinati alla circolazione interna alla scuola, mentre nulla abbiamo delle opere essoteriche, destinate invece alla circolazione esterna e a un pubblico più ampio.

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L'AUTORE  Aristotele

Aristotele nasce nel 384 a.C. a Stagira, una piccola città della penisola calcidica, nella Grecia nordorientale. Il padre Nicomaco, che era il medico personale del re macedone Aminta II, lo avvia fin da giovane all'interesse per la medicina e la biologia, che lo accompagneranno nelle sue ricerche per tutta la vita.
Rimasto presto orfano, all’età di diciassette anni si trasferisce ad Atene per diventare allievo di Platone all’Accademia e vi rimane per vent’anni, godendo di grande stima da parte del maestro. Nel 343/342 è chiamato dal re Filippo II in persona come precettore del figlio Alessandro. Non sappiamo molto dell’educazione che, per due o tre anni, impartì al giovane Alessandro, se non che essa era centrata sui poemi omerici, patrimonio pedagogico della grecità tutta, e sulle riflessioni politiche connesse ai suoi doveri di futuro monarca.
Nel 335, a un anno dalla morte di Filippo II e dall’ascesa al trono del giovane Alessandro, Aristotele, che aveva già lasciato da alcuni anni la corte macedone, ritorna ad Atene per fondarvi una propria scuola, il Liceo.
Alla morte di Alessandro Magno, nel 323, ad Atene si scatena una violenta reazione antimacedone. Aristotele, che viveva lì da dodici anni e aveva dato vita a una scuola la cui vastità di indagine e il cui sforzo intellettuale rappresentano qualcosa di unico per la storia dell’umanità, è costretto ad abbandonare la città. Ritiratosi a Calcide, nell’isola di Eubea, muore l’anno successivo, a causa di una malattia di cui soffriva da tempo.
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Una visione in bilico tra comunità e individuo
Nel pensiero di Aristotele la riflessione pedagogica è strettamente collegata al tema della virtù e alla dimensione etico-politica.
Il periodo storico in cui Aristotele vive è quello del tramonto della pólis classica, in cui le città-Stato della Grecia vengono inglobate nel regno macedone, diventando parte di un mondo dai confini più vasti e, di conseguenza, più insicuro. Nel pensiero di Aristotele è possibile leggere le tracce di questa delicata transizione. Le sue riflessioni teoriche sul tema dell’educazione si collocano infatti in una posizione intermedia tra la valorizzazione della comunità e il ridimensionamento della stessa a vantaggio della sfera individuale.
Secondo Aristotele ogni uomo è prima di tutto un  animale politico, vale a dire è portato naturalmente a vivere in comunità e in relazione con gli altri, a differenza degli dèi o degli esseri mostruosi, che non mostrano nessun bisogno della vita associativa. L’uomo è anche un animale razionale, dotato cioè di ragione, facoltà che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi.
In campo morale, agire secondo ragione significa stabilire un dialogo tra questa e i sensi, in modo che la razionalità prevalga. Non si tratta di reprimere i propri istinti naturali, ma di farsi guidare da principi razionali che educhino a raggiungere un equilibrio tra estremi opposti. Così facendo, ognuno potrà trovare il proprio posto all’interno della comunità e vivere bene in relazione con gli altri, e potrà anche realizzare appieno se stesso.
L’opera di Aristotele più ricca di spunti pedagogici è la Politica, dedicata alle diverse forme di governo esistenti. Altrettanto importante è l’Etica nicomacheadove l’educazione alla virtù, individuale e politica, viene indicata come la vera strada da seguire in ogni insegnamento.
Affinché la pólis goda di buona salute bisogna che i suoi cittadini siano educati al bene fin da giovanissimi. Aristotele ritiene, infatti, che la bontà di una comunità derivi dalla somma della bontà dei suoi componenti. Educando e migliorando se stessi, ci si prende cura dell’individuo e della comunità al tempo stesso. La virtù è una disposizione attraverso cui l’uomo diventa buono e compie bene la propria funzione razionale, che si esplicita anche nella relazione con gli altri. Non si tratta, però, di una facoltà naturale, bensì di un’acquisizione che prevede un lungo esercizio ai buoni comportamenti fin dalla più tenera età.

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L’autorità di Aristotele

Il dipinto fa parte di una serie comprendente 28 ritratti di uomini illustri del passato e del presente che decoravano lo studiolo di Federico da Montefeltro nel palazzo Ducale di Urbino.
Questo e altri dipinti della serie furono realizzati dal pittore fiammingo Giusto di Gand (1430 ca.-1480 ca.) in collaborazione con il pittore spagnolo Pedro Berruguete (1450 ca.-1504 ca.). La filosofia di Aristotele ha avuto una notevole influenza sul pensiero occidentale dall’antichità all’età moderna. Sul piano pedagogico, a lui risale l’idea dell’educazione come azione rivolta al singolo, inteso come individuo con le sue specificità ma inserito in un più ampio contesto di relazioni.

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L’educazione è compito dello Stato
Aristotele afferma che il programma pedagogico deve svolgersi all’insegna di tre principi: il giusto mezzo, il possibile e il conveniente. I capisaldi dell’educazione quindi sono:
  • la moderazione;
  • l’attinenza con il reale;
  • la formazione dell’uomo virtuoso, che non agisce mai in modo sconveniente per se stesso e per gli altri.
Se l’educazione è un addestramento individuale alla virtù in vista del buon funzionamento della comunità, sarà compito non del singolo ma dello Stato farsene garante, in maniera adeguata e previdente e in modo conforme ai principi su cui lo Stato si fonda.
Anche se il fine comune dell’educazione è la virtù, non esiste un tipo di educazione ideale che sia valida per ogni situazione, ma ci saranno differenti percorsi educativi, quante sono le forme costituzionali esistenti. A ogni forma di governo, secondo Aristotele, deve dunque corrispondere una specifica visione pedagogica; ogni Stato, a seconda della propria costituzione, dovrà avviare un percorso educativo che abbia come scopo il buon funzionamento dei propri ordinamenti. Non può essere la stessa, infatti, l’educazione necessaria al mantenimento di una comunità di stampo aristocratico e quella funzionale alla democrazia: per quanto entrambe le forme di governo perseguano lo stesso scopo, e cioè la creazione del buon cittadino e del buon individuo, ciascuna dovrà farlo in modo differente.

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Le tappe del processo educativo: la prima infanzia
L’educazione dei giovani, interamente diretta al corretto esercizio della ragione, deve essere scandita per tappe e ambiti diversi, legati alle differenti età. Nei primi anni di vita, quando ancora l’impulso, la volontà e il desiderio sovrastano il ragionamento e il corretto utilizzo dell’intelletto, sarà per lo più la famiglia a farsi carico di educare i fanciulli. In questa fase, secondo Aristotele, la cura del corpo è prioritaria rispetto a quella dell’anima, la quale, per i primi tempi, deve essere ammaestrata più con le buone abitudini che con il ragionamento.
In primo luogo, il corpo dei bambini ha bisogno di essere sottoposto a un moderato allenamento, in modo che essi acquisiscano una certa resistenza fisica e siano in grado di combattere la naturale tendenza all’inerzia. Oltre all’esercizio fisico, e in concomitanza con esso, sarà fondamentale il gioco.
Ogni attività ludica deve necessariamente svolgersi secondo modalità appropriate alla condizione sociale dell’uomo libero e sono da bandire tutte le attività eccessivamente stancanti e sfrenate. In questa fase, accanto ai familiari, il progetto aristotelico include la presenza dei pedonomi, magistrati preposti alla sorveglianza del corretto svolgersi dei giochi infantili. Il loro compito, in particolare, è quello di vigilare sui racconti e i discorsi uditi dai bambini, sulle persone con cui vengono a contatto e su ciò che essi osservano in casa. Ognuno di questi aspetti deve essere improntato al decoro e scevro da scurrilità o atteggiamenti servili. L’educazione alla temperanza viene praticata, dunque, fin dalla tenera età.
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Dalla fanciullezza all’età adulta
Il programma aristotelico prevede che dai sette anni fino alla pubertà, e dalla pubertà fino ai ventuno anni, lo Stato si prenda cura dell’educazione dei futuri cittadini. Il percorso formativo verterà sull’insegnamento delle seguenti discipline: scrittura, ginnastica, musica disegno, ciascuna con un’importanza particolare e con scopi specifici.
La scrittura serve per apprendere e amministrare; il disegno per poter meglio giudicare le opere degli artisti e per rappresentare le figure geometriche e i confini; la ginnastica per esercitare il corpo e forgiare il coraggio dell’anima, purché sia praticata con moderazione: infatti l’attività fisica, se supera un certo limite, corre il rischio di “imbestialire” i corpi e le menti. Tutte e tre le discipline hanno una motivazione pratica; lo scopo della musicainvece, è quello di formare gli animi. L’insegnamento della musica penetra nella mente dei ragazzi in modo più efficace di ogni altro mezzo, contribuisce a rendere, secondo Aristotele, «gli animi entusiastici, e l’entusiasmo è un’affezione dell’anima di rilevanza morale». I giovani devono ricevere un’educazione musicale e anche strumentale, quindi acquisire l’abilità di suonare degli strumenti. Si avrà cura però di scegliere solamente gli strumenti che contribuiscano a renderli ascoltatori intelligenti, mentre saranno messi al bando quelli utilizzati dai professionisti, come la cetra e il flauto, che richiedono virtuosismi e fatiche eccessive e quindi non si addicono all’uomo libero. Il flauto, in particolare, va evitato perché impedisce l’uso della parola.
Ogni materia appresa, anche quelle “utili” (scrittura, ginnastica, disegno), ha come fine ultimo la libertà del pensiero da ogni vincolo pratico, un sapere perseguito per puro amore di conoscenza. A questo deve tendere, in ultima istanza, l’educazione dei giovani, e in ciò è possibile cogliere l’altro aspetto fondamentale della filosofia di Aristotele, quello legato cioè alla felicità dell’individuo, che coincide con la pura contemplazione intellettuale.
Uomini e donne: differenti virtù, differenti percorsi educativi
A differenza degli uomini, secondo Aristotele, le donne non possiedono appieno la facoltà della deliberazione, ossia la capacità di compiere scelte in modo autonomo, pertanto non sono in grado di partecipare alla vita politica e associativa al pari dei loro padri e mariti.
La riflessione etica aristotelica sembra del tutto rivolta alla comunità maschile: le virtù discusse da Aristotele, il modo di perseguire il bene e la felicità sono tutte questioni che riguardano la vita degli uomini. Se tuttavia le donne costituiscono la metà dei soggetti liberi all’interno della città, affinché la pólis goda di ottima salute occorre che anch’esse siano virtuose, ma in un modo differente.
Inadatte per natura a effettuare delle scelte, secondo Aristotele le donne sono altrettanto naturalmente portate all’obbedienza, così come, al contrario, gli uomini sono nati per comandare. Non sarà la stessa, allora, la temperanza della donna e dell’uomo, e neppure il coraggio: in un caso si tratta del coraggio di chi comanda e nell’altro di quello di chi obbedisce, e altrettanto vale per le altre virtù. Il contributo femminile alla comunità, allora, non riguarda la vita pubblica, ma è interamente rivolto alla dimensione domestica e familiare, ed è in questa direzione che deve procedere l’educazione delle donne.
Fin dai primi anni di vita, il percorso pedagogico di ogni giovane fanciulla deve essere orientato alla pratica della temperanza e alla preparazione alle nozze. Un matrimonio in giovane età la consegna alla custodia di un marito tutore, sotto l’auspicio di una prole numerosa e maschile. Per prepararsi al ruolo riproduttivo che la società assegna loro, le fanciulle devono imparare a esercitare una moderata attività fisica, diversa da quella degli atleti e degna del loro status sociale. Un esercizio fisico troppo intenso risulterebbe sconveniente, mentre un esercizio moderato è ritenuto necessario per giungere al parto con fianchi sufficientemente forti e il respiro allenato, per affrontare un «travaglio meno laborioso».
Una volta che le donne sono affidate alla custodia del marito, il percorso pedagogico sulla strada della temperanza non cessa, ma continua anche attraverso i numerosi parti che, secondo Aristotele, contribuiscono a insegnare la moderazione alle giovani donne dalla natura troppo esuberante. La maternità, che infonde equilibrio, contribuisce infatti a esercitarle a una corretta temperanza amorosa.
Mentre i giovani maschi diventeranno un giorno adulti e autonomi, le femmine, al contrario, non cessano mai di vivere sotto tutela e, quindi, di dover essere educate. Soltanto in un ambito, quello dell’amministrazione domestica, la donna esercita interamente la propria autorità e qualunque intervento maschile risulta come una prevaricazione.

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La difficile educazione del corpo femminile

Questa opera inaugura la stagione cubista di Picasso. Le cinque figure femminili sono raffigurate ignorando qualsiasi legge anatomica: si tratta di corpi che appaiono, allo sguardo maschile, giunonici, nudi e plastici, quasi in movimento.
Il corpo femminile è al centro del programma educativo riservato alle donne da Aristotele: prive della capacità di deliberare, dotate di un’anatomia destinata alla riproduzione, esse seguiranno un percorso pedagogico che le indirizzi alla vita domestica e ne addomestichi le passioni.

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3.5 LA PAIDÉIA ALESSANDRINA

Alessandro Magno, nella sua breve vita, in soli tredici anni riuscì a fondare un impero che comprendeva la Grecia e il Vicino Oriente fino all’attuale India. Alla sua morte, nel 323 a.C., l’impero macedone si divise in alcuni grandi regni.
Il peso politico ed economico delle antiche póleis diminuì: la forma politica della città-Stato aveva esaurito la sua funzione storica e culturale. Sorsero organismi più ampi ed emersero altri centri urbani, spesso di nuova fondazione, che conobbero un’intensa fioritura grazie soprattutto ai traffici commerciali con l’Oriente. Le nuove metropoli ellenistiche, come Pergamo, Antiochia, Alessandria d’Egitto, pur avendo alcune caratteristiche proprie della città greca (ginnasi, teatri, santuari), erano abitate da una popolazione mista, composta da greco-macedoni e popolazioni locali, e la distinzione tra cittadini e stranieri non era più tenuta in considerazione a livello legislativo.
Il greco, la lingua dei dominanti, si diffuse in tutti i regni, dando origine a una comunità internazionale di intellettuali.
I sovrani ellenistici legavano il proprio potere anche alla promozione delle attività culturali e presto le loro corti divennero dei veri e propri laboratori di cultura, con intellettuali che prestavano servizio all’interno di istituzioni finanziate o protette dal potere politico. All’inizio del III secolo a.C. la dinastia dei Tolomei promosse la costruzione, ad Alessandria d’Egitto, del Museo (un centro di ricerca consacrato alle Muse, aperto alle più diverse discipline) e della Biblioteca: un luogo di consultazione e catalogazione dove schiere di grammatici e ▶ filologi si occupavano di commentare, correggere, copiare, autenticare e catalogare le opere degli scrittori greci, nonché di tradurre opere scritte in altre lingue. Raccolsero così tutto il patrimonio letterario e scientifico dei greci, contenuto in migliaia e migliaia di volumi scritti su papiro.
La Biblioteca era ubicata all’interno del Museo; un’altra biblioteca più piccola fu allestita all’interno del Serapeo, il tempio del dio Serapide. Il Museo non era soltanto un luogo di ricerca ma anche un polo didatticodove studiosi provenienti da ogni dove, sovvenzionati dallo Stato, tenevano lezioni per chi volesse ricevere un insegnamento superiore. Gli edifici del Museo accolsero gli studiosi più rinomati dell’epoca e vi fiorirono le scuole letterarie, filologiche, mediche e matematiche più prestigiose, dotate di strutture di ricerca all’avanguardia, come l’osservatorio astronomico, il giardino zoologico, l’orto botanico. Funzionari stipendiati provvedevano alle necessità materiali degli studiosi, che potevano così dedicarsi completamente alle loro ricerche.
Quali modelli educativi e quali ▶ curricoli di studio sono stati elaborati nel mondo ellenistico a partire dall’età alessandrina?
Il declino politico della pólis muta profondamente il rapporto tra cittadino e società: prima partecipe della vita collettiva e della sua organizzazione, ora l’uomo greco è un semplice suddito inserito in uno spazio sociale contraddistinto da una varietà di popoli.
Dal punto di vista culturale ed educativo, in questa epoca avvengono alcune trasformazioni rilevanti:
  • la filosofia pone al centro della sua riflessione non più il cittadino ma l’individuo;
  • la letteratura diventa un prodotto artistico, cui non viene necessariamente demandata, come in epoca arcaica e classica, la trasmissione di valori fondanti la comunità;
  • si verifica la scissione tra letteratura colta, destinata a una élite, e cultura popolare, destinata all’intrattenimento di massa;
  • si assiste al passaggio da una cultura orale, destinata a essere fruita da un pubblico ristretto e presente all’esecuzione, alla cultura del libro, che diviene lo strumento fondamentale per la trasmissione culturale in seno a una comunità più ampia e dispersa, cosmopolita.
A partire dall’età alessandrina e per tutto il periodo ellenistico, il modello educativo che si afferma nel Mediterraneo orientale è quello della enkýklios paidéia (letteralmente “educazione circolare, complessiva”), ossia di una cultura generale che abbraccia molteplici discipline, quali: educazione fisica, educazione artistica, conoscenze basilari (alfabeto, sillabe, parole, recitazione, scrittura, computo), letteratura (studio e interpretazione delle opere classiche), studi scientifici specialistici (geometria, aritmetica, musica, astronomia) e insegnamenti superiori (medicina, retorica, filosofia).
L’istruzione ellenistica si articolava in primaria, dai 7 ai 12 anni, e secondariafino a 19-20 anni, età a partire dalla quale era possibile ricevere un’istruzione superiore incentrata sulla retorica, la filosofia e la medicina.
L’educazione fisica, pur continuando a essere parte integrante della formazione, subisce la competizione dell’atletismo e della professionalizzazione;
un declino simile colpisce la danza, che viene relegata a forma di spettacolo, e la musica: queste discipline, che in epoca arcaica e classica erano state centrali nell’educazione, cedono il passo agli studi letterari in pieno progresso.
Si afferma inoltre il predominio della cultura umanistica sugli studi scientificiche tendono a essere appannaggio di specialisti e ad avere un ruolo minore negli studi secondari.

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SONO COMPETENTE Scrivere un dialogo

In questa unità abbiamo imparato che il dialogo può essere sia un metodo filosofico sia uno strumento pedagogico. Nei dialoghi platonici queste due potenzialità sono ben espresse: la forma dialogica filosofica si rivela essere la più adeguata alla costruzione del sapere maieutico socratico e all’esercizio della conoscenza di sé.
In questo senso, la ricerca della verità si fonda su un susseguirsi di domande allo scopo di originare un sapere nascosto che diventa trasformativo di se stessi e dei contesti in cui si vive.
Anche l’insegnamento nell’Accademia si basava sul dialogo a partire da temi di ricerca condivisi.
Alla luce di questo, esercitatevi nella produzione di un elaborato scritto a partire da una riflessione condivisa.
In gruppi di tre, scrivete un dialogo sulla scuola e le sue regole. Partite dalla vostra esperienza per portare argomentazioni a favore e contro:
  • la gratuità dell’insegnamento;
  • la valutazione attraverso i voti;
  • le regole specifiche della vostra scuola.

per lo studio

1. Su che cosa si basa il modello educativo persiano descritto e apprezzato da Senofonte?
2. In che cosa consiste l’ideale panellenico di Isocrate?
3. Qual è il fine dell’educazione nella visione pedagogica di Aristotele?
4. Che cosa si intende per enkýklios paidéia e quali discipline ne fanno parte?


  Per discutere INSIEME 

Sia nelle opere di Aristotele sia in quelle di Senofonte il sapere della donna è legato alla sfera dell’amministrazione domestica. Rifletti e poi discuti con i compagni sui modelli attuali di distribuzione dei compiti in famiglia. Quali competenze sono riconosciute, e a chi? Viene valorizzato o sottovalutato il lavoro di cura quotidiano (prendersi cura degli spazi, delle persone e del loro benessere)?

I colori della Pedagogia - volume 1
I colori della Pedagogia - volume 1
L'educazione dal mondo antico all’alto Medioevo - Primo biennio del liceo delle Scienze umane