T1 - Platone, Intorno allo stato primitivo

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Platone

Intorno allo stato primitivo

Nel passo del Protagora di Platone qui proposto, il sofista ricorre al mito di Prometeo per spiegare la centralità della dimensione politica per le comunità umane, che è quella a cui i sofisti facevano riferimento nella loro opera di insegnamento.

Vi fu un tempo in cui gli dèi esistevano, ma non esistevano le specie mortali. Quando anche per queste giunse il tempo predestinato alla nascita, gli dèi le modellarono dentro la terra, mescolando terra e fuoco e quanto con fuoco e terra si amalgama. Quando furono in procinto di condurle alla luce, ordinarono a Prometeo e a Epimeteo1 di regolare e distribuire facoltà in ciascuno, in modo conveniente.
Ma Epimeteo pregò Prometeo di poter fare lui da solo la distribuzione. “Una volta che io avrò fatto la distribuzione – disse – tu esaminerai”. […]
Tuttavia, Epimeteo, il cui nome vuol dire colui che pensa dopo, non fu molto accorto: infatti distribuì tutte le facoltà solo agli animali privi di ragione, lasciando disadorni gli esseri umani.
E mentre si trovava nell’incertezza, venne da lui Prometeo2 per esaminare la distribuzione, e vide gli altri animali armoniosamente provvisti di ogni cosa, l’uomo, invece, nudo, con i piedi non protetti, privo di copertura, senza armi. Ed era ormai prossimo il giorno fissato, in cui l’uomo doveva uscire dalla terra alla luce.
In preda al dubbio su quale mezzo di salvezza potesse trovare per l’uomo, Prometeo rubò la sapienza tecnica di Efesto e di Atena insieme con il fuoco – era infatti possibile che senza il fuoco questa potesse essere acquistata o utilizzata da qualcuno – e ne fece dono all’uomo.
L’uomo ebbe dunque in questo modo la sapienza relativa al vivere, ma non aveva la sapienza politica: questa si trovava infatti presso Zeus, e a Prometeo non era più permesso di penetrare nell’acropoli, dimora di Zeus3; penetrò invece di nascosto nell’officina comune di Atena e di Efesto, dove i due esercitavano la loro tecnica, e, rubata l’arte del fuoco di Efesto e l’altra, quella di Atena, le consegnò all’uomo.
In seguito a questo l’uomo ebbe abbondanza di risorse per la vita. […]
Quando l’uomo divenne partecipe di una sorte divina, in primo luogo, a causa del suo legame con la divinità, unico tra gli esseri viventi, cominciò a credere negli dèi, e si dedicò a innalzare loro altari e sacre immagini. Successivamente iniziò ben presto a utilizzare la voce e ad articolare le parole con tecnica, e inventò abitazioni, vestiti, calzari, coperte e gli alimenti che nascono dalla terra. Attrezzati in questo modo, gli uomini dapprincipio vivevano dispersi, e non vi erano città; venivano quindi uccisi dalle belve […] non possedevano ancora una tecnica politica, della quale la tecnica della guerra rappresenta una parte. Vollero allora fare il tentativo di riunirsi e di salvarsi fondando città. Ma una volta riunitisi continuavano a commettere ingiustizie reciproche, dal momento che non possedevano una tecnica politica, sicché, disperdendosi nuovamente, riprendevano ad essere uccisi. Zeus, temendo che la nostra specie andasse completamente distrutta, inviò allora Hermes per condurre tra gli uomini il rispetto e la giustizia, perché costituissero il fondamento dell’ordine della città e un legame unificante di amicizia.
Hermes domandò a Zeus in quale modo dovesse dare il rispetto e la giustizia agli uomini.
Devo forse distribuirle nello stesso modo in cui sono state distribuite le tecniche? Queste sono state suddivise così: uno che possieda l’arte medica è sufficiente per molti profani, e così anche gli artigiani. Devo dunque introdurre in questo modo, tra gli uomini, anche la giustizia e il rispetto, oppure devo dividerli tra tutti?
Tra tutti, rispose Zeus, e tutti ne siano partecipi: non potrebbero esistere città, se pochi avessero parte in essi come nelle altre tecniche. E poni pure una legge in mio nome: sopprimere, come un male per la città, chi non è in grado di rendersi partecipe del rispetto e della giustizia.

Rispondi

1. Secondo Protagora, per vivere assieme, in società, non bastano le competenze tecniche, ma servono rispetto e giustizia. Come si misura, secondo te, la giustizia? Viviamo in una società giusta?
2. Che cosa accade quando l’uomo diviene partecipe di una sorte divina? Come si trasforma il suo modo di vivere?
3. La pensi anche tu come Protagora, riguardo alla dimensione comunitaria della vita umana, o credi sia possibile vivere senza prendersi cura delle relazioni sociali? Esprimi e argomenta la tua opinione.

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|⇒ T2  Platone

L’arte maieutica

Il Teeteto è un dialogo platonico sul tema della conoscenza. Nel seguente brano Socrate illustra al giovane Teeteto, allievo del matematico Tolomeo di Cirene, la sua teoria dell’arte maiuetica.

Socrate – Oh, mio piacevole amico! e tu non hai sentito dire che io sono figliuolo d’una molto brava e vigorosa levatrice, di Fenàrete?
Teeteto – Questo sì, l’ho sentito dire.
Socrate – E che io esercito la stessa arte l’hai sentito dire?
Teeteto – No, mai!
Socrate – Sappi dunque che è così. Tu però non andarlo a dire agli altri. Non lo sanno, caro amico, che io possiedo quest’arte; e, non sapendolo, non dicono di me questo, bensì ch’io sono il più stravagante degli uomini e che non faccio che seminar dubbi. Anche questo l’avrai sentito dire, è vero?
Teeteto – Sì.
Socrate – E vuoi che te ne dica la ragione?
Teeteto – Volentieri.
Socrate – Vedi di intendere bene che cosa è questo mestiere della levatrice, e capirai più facilmente che cosa voglio dire. Tu sai che nessuna donna, finché sia ella in stato di concepire e di generare, fa da levatrice alle altre donne; ma quelle soltanto che generare non possono più.
Teeteto – Sta bene.
Socrate – La causa di ciò dicono sia stata Artèmide1, che ebbe in sorte di presiedere ai parti benché vergine. Ella dunque a donne sterili non concedette di fare da levatrici, essendo la natura umana troppo debole perché possa chiunque acquistare un’arte di cui non abbia avuto esperienza; ma assegnò questo ufficio a quelle donne che per l’età loro non potevano più generare, onorando in tal modo la somiglianza che esse avevano con lei.
Teeteto – Naturale.
Socrate – E non è anche naturale e anzi necessario che siano le levatrici a riconoscere meglio d’ogni altro se una donna è incinta oppure no?
Teeteto – Certamente.
Socrate – E non sono le levatrici che, somministrando farmaci e facendo incantesimi, possono svegliare i dolori o renderli piú miti se vogliono; e facilitare il parto a quelle che stentano;
e anche far abortire, se credono di fare abortire, quando il feto è ancora immaturo?
Teeteto – È vero.
Socrate – E non hai mai osservato di costoro anche questo, che sono abilissime a combinar matrimoni, esperte come sono a conoscere quale uomo e quale donna si hanno da congiungere insieme per generare i figliuoli migliori?
Teeteto – Non sapevo questo.
Socrate – E allora sappi che di questa lor arte esse menano più vanto2 assai che del taglio dell’ombelico. Pensa un poco: credi tu che sia la medesima arte o siano due arti diverse il raccogliere con ogni cura i frutti della terra, e il riconoscere in quale terra qual pianta vada piantata e qual seme seminato?
Teeteto – La medesima arte, credo.
Socrate – E quanto alla donna, credi tu che altra sia l’arte del seminare e altra quella del raccogliere?
Teeteto – No, non mi pare.
Socrate – Non è infatti. Se non che, a cagione di3 quell’accoppiare, contro legge e contro natura, uomo con donna, a cui si dà nome di ruffianesimo4, le levatrici, che badano alla loro onorabilità, si astengono anche dal combinar matrimoni onesti, per paura, facendo codesto, di incorrere appunto in quell’accusa; mentre soltanto alle levatrici vere e proprie si converrebbe, io credo, combinar matrimoni come si deve.
Teeteto – Mi pare.
Socrate – Questo dunque è l’ufficio delle levatrici, ed è grande; ma pur minore di quello che fo io. Difatti alle donne non accade di partorire ora fantasmi e ora esseri reali, e che ciò sia difficile a distinguere: ché se codesto accadesse, grandissimo e bellissimo ufficio sarebbe per le levatrici distinguere il vero e il non vero; non ti pare?
Teeteto – Sì, mi pare.
Socrate – Ora, la mia arte di ostetrico, in tutto il rimanente rassomiglia a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo, che opera sugli uomini e non sulle donne, e provvede alle anime partorienti e non ai corpi. E la più grande capacità sua è ch’io riesco, per essa, a discernere sicuramente se fantasma e menzogna partorisce l’anima del giovane, oppure se cosa vitale e reale. Poiché questo ho di comune con le levatrici, che anch’io sono sterile... di sapienza; e il biasimo che già tanti mi hanno fatto, che interrogo sì gli altri, ma non manifesto mai io stesso su nessuna questione il mio pensiero, ignorante come sono, è verissimo biasimo. E la ragione è appunto questa, che il dio mi costringe a fare da ostetrico, ma mi vietò di generare. Io sono dunque, in me, tutt’altro che sapiente, né da me è venuta fuori alcuna sapiente scoperta che sia generazione del mio animo; quelli invece che amano stare con me, se pur da principio appariscano, alcuni di loro, del tutto ignoranti, tutti quanti poi, seguitando a frequentare la mia compagnia, ne ricavano, purché il dio glielo permetta, straordinario profitto: come vedono essi medesimi e gli altri. Ed è chiaro che da me non hanno imparato nulla, bensì proprio e solo da se stessi molte cose e belle hanno trovato e generato;
ma d’averli aiutati a generare, questo sì, il merito spetta al dio e a me.
[…]. Ora, quelli che si congiungono meco5anche in questo patiscono le stesse pene delle donne partorienti: ché hanno le doglie, e giorno e notte sono pieni di inquietudine assai più delle donne. E la mia arte ha il potere appunto di suscitare e al tempo stesso di calmare i loro dolori. Così è dunque di costoro. Ce n’è poi altri, o Teeteto, che non mi sembrano gravidi; e allora codesti, conoscendo che di me non hanno bisogno, mi do premura di collocarli altrove; e, diciamo pure, con l’aiuto di dio6, riesco assai facilmente a trovare con chi possano congiungersi e trovar giovamento. E così molti ne maritai a Pròdico7, e molti ad altri sapienti e divini uomini. Ebbene, mio eccellente amico, tutta questa storia io l’ho tirata in lungo proprio per questo, perché ho il sospetto che tu, e lo pensi tu stesso, sia gravido e abbia le doglie del parto. E dunque affidati a me, che sono figliolo di levatrice e ostetrico io stesso; e a quel che ti domando vedi di rispondere nel miglior modo che sai. Che se poi, esaminando le tue risposte, io trovi che alcuna di esse è fantasma e non verità, e te la strappo di dosso e te la butto via, tu non sdegnarti meco come fanno per i lor figliuoli le donne di primo parto. Già molti, amico mio, hanno verso di me questo malanimo, tanto che sono pronti addirittura a mordermi se io cerco strappar loro di dosso qualche scempiaggine8; e non pensano che per benevolenza io faccio codesto, lontani come sono dal sapere che nessun dio è malevolo ad uomini;
né in verità per malevolenza io faccio mai cosa simile, ma solo perché accettare il falso non mi reputo lecito, né oscurare la verità.

Rispondi

1. Quali sono le doti di una levatrice, secondo Socrate?
2. A che cosa allude Socrate quando si definisce sterile?
3. In che senso Socrate compara la sua arte a quella di una ostetrica?

 >> pagina 154 

|⇒ T3  Senofonte

Amministrare la casa: la donna ape

Nell’Economico viene riportato un dialogo intercorso tra il ricco proprietario terriero Iscomaco e la moglie. Quando la donna chiede al marito che cosa possa fare per accrescere insieme a lui i beni della casa, Iscomaco così risponde.

“Io penso che non sono cose di poco conto1, a meno che l’ape che è a capo nell’alveare non sovrintenda a lavori di poco conto. Mi sembra che gli dèi, o moglie, dopo una lunga riflessione hanno formato questa coppia che si chiama femmina e maschio perché fosse più utile possibile a se stessa in vista della vita in comune.
[…] Gli uomini, se vogliono avere qualche cosa da introdurre al chiuso, hanno bisogno di chi svolge le attività a cielo aperto. […] Poiché questi due tipi di occupazioni, quelle che si svolgono dentro e quelle che si svolgono fuori, hanno bisogno di lavoro e di impegno, il dio dispose subito, come mi sembra, la natura della donna per i lavori e le incombenze di dentro, quella dell’uomo per i lavori e le incombenze di fuori. […] Sapendo che alla donna ordinò, in base alle sue disposizioni naturali, di allevare i neonati, le assegnò anche un amore per i piccoli maggiore che al maschio. Poiché alla donna ordinò pure di custodire i beni introdotti, il dio, sapendo che per custodire non è male che l’anima sia paurosa, assegnò alla donna anche una parte di paura maggiore che all’uomo. […] Visto che bisogna che tutti e due diano e ricevano, dispensò in egual misura a entrambi la memoria e l’impegno, in modo che non saresti in grado di distinguere quale dei due sessi, il maschile o il femminile, ne sia più fornito. […] Visto che entrambi per natura non sono volti alle stesse cose, essi hanno ancora più bisogno l’uno dell’altro, e la coppia è di fatto a se stessa più utile perché dove uno non ci arriva, può l’altro. […] Tu dovrai rimanere dentro casa e fare uscire tutti i servi che hanno il lavoro fuori, sovrintendere invece su quelli che hanno da lavorare dentro. Devi ricevere quanto viene introdotto, distribuire quello che si deve spendere, prevedere quello che si deve avanzare, stando attenta che la spesa fissata per un anno non si esaurisca nel giro di un mese. E quando ti si introduce della lana, ti devi impegnare perché abbiano i vestiti quelli che ne hanno bisogno. Devi pure impegnarti perché il grano essiccato resti commestibile.
[…] ti devi impegnare perché vengano curati tutti quei servi che si ammalino. […] Ci sono poi altre occupazioni che ti sono proprie, o moglie, e piacevoli: quando, prendendo una che non conosce l’arte del tessere, tu la renda esperta ed essa ti venga a valere il doppio;
quando prendendo presso di te una che non conosce il mestiere della dispensiera e della servitrice tu la renda esperta, fidata, capace di servire e ti venga a valere molto; quando ti sia possibile far del bene alle persone sagge e utili alla tua casa e ti sia possibile punire chi invece si mostri malvagio. Ma la cosa più piacevole di tutte è se ti mostri migliore di me, mi renda tuo servitore e non debba tu temere, con il passare degli anni, di essere meno onorata nella casa.”

Rispondi

1. Come e in base a che cosa vengono disposte le diverse occupazioni fra uomo e donna?
2. In base a quali elementi la relazione coniugale rappresentata in questo brano si può definire una relazione basata su principi pedagogici?
3. Quale visione del matrimonio emerge nel brano? Su quali valori si fonda la coppia?

 >> pagina 155 

|⇒ T4  Isocrate

I principi della scuola di Isocrate

In questa orazione Isocrate difende la sua scuola e ne espone i principi. Il quadro dell’apologia è fittizio: si immagina che Lisimaco accusi Isocrate di corrompere la gioventù e di arricchirsi vendendo la propria arte retorica.

[…] vi esporrò il programma che presento a chi vuole diventare mio allievo. Gli dico che deve eccellere nell’eloquenza, nell’azione o negli altri campi, in primo luogo deve avere buone disposizioni naturali per l’attività che ha scelto; poi che deve essere istruito e ricevere le cognizioni relative a quella singola attività; in terzo luogo che deve familiarizzarsi ed esercitarsi al loro uso e alla loro pratica; per questa via si diventa perfetti e molto superiori agli altri in tutti i campi. In questo processo gli uni e gli altri, i maestri e i discepoli, hanno un compito particolare: gli uni di apportare nello studio le doti naturali necessarie, gli altri di saper istruire allievi così ben dotati; e un compito comune: l’esercitazione pratica, perché gli uni devono dirigere con cura gli allievi, gli altri devono attenersi rigorosamente ai precetti.
Questi sono gli avvertimenti che do per tutte le discipline; ma se qualcuno, prescindendo dal resto, mi domandasse quale di questi requisiti ha la massima importanza per l’educazione oratoria, risponderei che l’elemento impareggiabile e di gran lunga superiore a tutti è la disposizione naturale: chi ha uno spirito capace di inventare, di apprendere, di studiare e di ricordare, e una voce e una chiarezza di direzione tali da persuadere l’uditorio non solo con le parole ma con il loro armonico accordo e inoltre quell’ardire, che non è segno di imprudenza ma che, accompagnandosi alla misura, dispone lo spirito a non avere minore fiducia nel parlare davanti a tutti i cittadini che meditando tra sé, chi non sa che un uomo di tal genere, pur avendo ricevuto una educazione non accurata, ma superficiale e comune a tutti, diventerebbe un oratore come non so se ve ne siano altri nell’Ellade1? D’altronde, e lo sappiamo bene, anche coloro che hanno qualità naturali inferiori a quelle dei precedenti, ma eccellono negli esercizi di applicazione pratica, riescono non solo a migliorare se stessi ma anche
a superare chi, ben dotato naturalmente, si è troppo trascurato.
Quindi ognuno di questi due requisiti può rendere abile a parlare e ad agire, e tutte e due riuniti nella stessa persona possono farne un oratore impareggiabile.

Rispondi

1. Quali sono i requisiti fondamentali per accedere al sapere, secondo Isocrate?
2. In che relazione stanno le qualità naturali e l’esercizio?
3. Quale importanza rivestono le disposizioni naturali nel programma educativo di Isocrate?

 >> pagina 156 

|⇒ T5  Aristotele

Per il bene della comunità

La presenza di una virtù al femminile è una necessità politico-sociale legata al mantenimento del bene della comunità, il cui stato di salute dipende da quello delle sue parti.

Intorno a tali problemi ecco il nostro punto di vista: riguardo poi al marito e alla moglie, ai figli e al padre, alla virtù di ciascuno di essi e alle loro reciproche relazioni, quale è giusta, quale non è giusta, in che modo bisogna cercare il bene e fuggire il male, è necessario esaminarlo nei discorsi sulle forme di costituzione. Poiché, siccome ogni famiglia è parte dello Stato e le persone di cui si parla sono parte della famiglia e siccome si deve considerare l’eccellenza della parte in rapporto all’eccellenza del tutto, bisogna educare figli e mogli tenendo d’occhio la forma di costituzione, se è vero che ha importanza per la perfezione dello stato che i ragazzi e le donne siano moralmente perfetti. E, in realtà, deve avere importanza perché le donne sono la metà degli esseri liberi e dai ragazzi vengono su quelli che parteciperanno alla vita politica.

Rispondi

1. Che ruolo gioca l’educazione dei fanciulli e delle donne nella vita della pólis?
2. Per Aristotele che cosa ha importanza per la perfezione dello Stato?
3. Perché, secondo Aristotele, bisogna educare «tenendo d’occhio la forma di costituzione»?

I colori della Pedagogia - volume 1
I colori della Pedagogia - volume 1
L'educazione dal mondo antico all’alto Medioevo - Primo biennio del liceo delle Scienze umane