2. La globalizzazione

2. La globalizzazione

2.1 Che cos’è la globalizzazione

Quando parliamo di globalizzazione ci riferiamo a un fenomeno caratterizzato dall’intensificazione degli scambi economici, sociali e culturali fra tutti i paesi del mondo, diventato evidente a partire dalla fine del XX secolo e che ha prodotto una serie di trasformazioni di rilevanza mondiale.

La globalizzazione è caratterizzata da molteplici processi tra loro intrecciati che in termini storici hanno un’origine lontana. Come fenomeno sociale nasce in Occidente e, in qualche modo, trova terreno fertile nel passato coloniale di molti paesi europei. A partire dal XV secolo si ha un primo grande movimento e rimescolamento su scala globale di persone, culture, risorse e intensità di relazioni. Un processo analogo avviene tra il XVIII e il XX secolo e, in questo caso, oltre alla colonizzazione di altri paesi orientali e africani, vengono introdotte anche nuove tecnologie: per esempio, la macchina a vapore, che dà un impulso all’economia paragonabile a quello apportato oggi dalle tecnologie informatiche e digitali.

La globalizzazione, così come è intesa nel vocabolario contemporaneo, è un processo che prende forma a partire dagli anni Ottanta del Novecento e che mette insieme cambiamenti che riguardano tanto gli assetti economici a livello mondiale, quanto la cultura, le relazioni e l’identità degli individui contemporanei.

David Held (1951-2019), uno dei più importanti politologi ed esperti di fenomeni politici globali, ha definito la globalizzazione come l’ampliamento, l’approfondimento e la velocizzazione dell’interconnessione mondiale in tutti gli aspetti della vita sociale contemporanea. Il fenomeno della globalizzazione è dunque il risultato di una serie di cambiamenti che hanno a che vedere con l’economia e il capitalismo, lo sviluppo delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione, così come con le trasformazioni delle identità degli individui che vivono tali processi.

Uno degli aspetti più evidenti e riscontrabili nella vita di tutti i giorni che la globalizzazione ha prodotto è sicuramente l’annullamento delle distanze o, meglio, la percezione di riduzione delle distanze fisiche e di una sempre maggiore interconnessione tra le varie società del mondo. Ciò non dipende dal fatto che le distanze geografiche fra diversi paesi si siano veramente accorciate, ma dallo sviluppo delle tecnologie della comunicazione (quali i computer, gli smartphone e Internet), dal miglioramento dei trasporti e dall’aumento degli scambi commerciali e del turismo su scala globale APPROFONDIAMO |. L’insieme di tutti questi fattori ci dà l’impressione di essere facilmente in contatto con parti del mondo che ritenevamo prima molto lontane.

esempio: grazie a Internet possiamo acquistare un paio di jeans di buona marca fabbricati in Cina da un negozio online con sede legale in Irlanda nello stesso istante in cui un cittadino australiano sta acquistando, tramite la stessa piattaforma online, degli occhiali griffati confezionati in Italia.

approfondiamo  Il turismo nell’era della globalizzazione

Uno degli aspetti in cui i meccanismi della globalizzazione sono diventati più evidenti nella vita quotidiana è l’espansione del turismo: fenomeno dato dal fatto che le persone hanno iniziato a viaggiare non solo per lavoro e necessità, ma anche per piacere e per conoscere cose nuove nel mondo. Non a caso, il turismo non solo è un fenomeno sviluppatosi con la modernità, con il benessere e con la facilità dei trasporti, ma è rimasto per molti anni confinato a ristrette fasce della popolazione, in grado di spendere per viaggiare a scopo ricreativo.

Negli ultimi due decenni, la globalizzazione ha trasformato profondamente il turismo, sia in termini quantitativi sia per quanto riguarda le distanze dei viaggi, che sono diventati sempre più internazionali. Si pensi che i viaggi turistici internazionali sono passati dai circa 560 milioni nel 1996 a 1 miliardo e 300 nel 2017 e la tendenza è quella di un continuo aumento. Nel 2017, in Italia sono arrivati dall’estero 58,7 milioni di viaggiatori stranieri, ovvero quasi uno per ogni residente stabile sul territorio nazionale.

Questo aumento del turismo internazionale ha prodotto numerosi vantaggi, ma anche alcuni problemi. Da un lato, i turisti portano evidenti vantaggi economici, acquistando beni e usufruendo di servizi locali (alberghi, ristoranti, negozi, attività culturali). Dall’altro, spesso sono poco rispettosi dei contesti dove soggiornano, creando problemi ai ritmi quotidiani dei luoghi dove arrivano in gran numero o contribuendo all’aumento dei prezzi delle case e dei beni di consumo per i residenti stessi. Molti si lamentano del fatto che l’arrivo di grandi masse di turisti abbia contribuito a rendere meno vivibili le principali città italiane mete di questi flussi, come Venezia, Roma o Firenze. Peraltro, il turismo a volte altera anche drammaticamente l’identità dei luoghi e la struttura del paesaggio, come per esempio a Mykonos, una piccola isola greca dove d’inverno vivono circa 1000 persone e d’estate transitano 6 milioni di turisti.

Infine, il turismo ha abbracciato anche la dimensione alimentare, al punto che si può oggi parlare di geogastronomia: i territori si riconoscono in funzione dei cibi che li identificano e non più per la geopolitica.

2.2 Globalizzazione e trasformazioni sociali

Lo stato di connettività complessa, così com’è stato definito da vari esperti, ci dà l’impressione di vivere in uno spazio sociale non più nazionale, ma globale. Tale connettività pone le basi per una società globale e quindi mette in discussione la medesima nozione di “società”. Se il concetto di società in origine era strettamente legato a una nazione, come possiamo oggigiorno ripensare l’idea di società in una dimensione globalizzata?

Da un lato, vi sono una connessione e un’interdipendenza tra varie zone del pianeta, che quindi tendono sempre di più a somigliarsi a vicenda: per quanto possa sembrare strano, all’uscita della metropolitana del Duomo a Milano si trovano esattamente le stesse catene commerciali che s’incontrano all’uscita della stazione di Camden Road della metropolitana di Londra. Per un altro verso, l’organizzazione della vita sociale dei vari paesi è cambiata solo in parte e tende comunque a rispondere alle caratteristiche locali. Insomma, sebbene noi italiani siamo sempre più a contatto con persone e culture differenti dalla nostra, le nostre abitudini rimangono comunque diverse, in relazione per esempio all’alimentazione o all’organizzazione dei tempi di vita e di lavoro.

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2.3 La globalizzazione della cultura

La globalizzazione della cultura riguarda la tendenza all’uniformazione dei consumi, degli stili di vita, dei simboli e, in generale, delle pratiche culturali, come il mangiare o le attività legate al divertimento e al tempo libero. Ma esiste davvero una cultura globale, ovvero un insieme di modelli e valori di riferimento che guidano la vita degli individui di tutto il mondo nello stesso identico modo? In altre parole, quali sono dunque le conseguenze che le trasformazioni dell’economia, insieme alle nuove tecnologie dell’informazione, hanno sulla cultura e sulle attività a essa legate?

L’“americanizzazione”

Per rispondere a queste domande sono state elaborate varie teorie. Una delle prime e più diffuse letture delle conseguenze culturali della globalizzazione è la teoria dell’“americanizzazione” o dell’imperialismo culturale, in cui la globalizzazione viene vista soprattutto come l’esportazione su scala mondiale del modello culturale statunitense. Questa interpretazione pone l’accento sull’omogeneizzazione dei simboli, delle pratiche culturali e degli stili di vita a partire dal modello statunitense, veicolato per decenni attraverso film e musica prodotti negli Usa o grazie alla diffusione di prodotti di consumo di massa diventati popolari in Nord America (basti pensare ai jeans, divenuti caratteristici negli Usa e poi diffusisi in tutto il mondo).

I sostenitori di questa prospettiva denunciano che i valori esportati dall’imperialismo culturale americano sono soprattutto quelli legati al consumismo e, più in generale, a un modello economico basato sul potere delle multinazionali. Marchi globali come la Coca Cola e McDonald’s, infatti, hanno invaso il mondo anche per la capacità di proporre una serie di simboli semplificati e omogenei capaci di stimolare l’identificazione da parte dei consumatori e offrire così l’accesso a un vero e proprio modello di vita “universale”  APPROFONDIAMO |. Grazie alla pubblicità, e quindi ai mezzi di comunicazione di massa, queste aziende sono state in grado di rendersi visibili in diverse parti del pianeta e di presentare ovunque lo stesso identico messaggio: è necessario e sufficiente mangiare, bere e vestirsi tutti allo stesso modo per essere “tutti uguali”, avere pari dignità e raggiungere la felicità.

Anche l’industria cinematografica si è resa protagonista di questo processo, esportando una serie di modelli culturali, nati in origine negli Stati Uniti, ma divenuti presto caratteristici della cultura globale. Pensiamo per esempio al successo di personaggi di fantasia come Topolino o come i supereroi della Marvel che, prima attraverso i fumetti e poi i film, sono diventati riferimenti culturali onnipresenti in tutto il globo. Ma lo stesso si potrebbe dire della musica. Da questo punto di vista, si è parlato dell’esportazione da parte degli Usa di una vera e propria american way of life, cioè di uno stile di vita tipicamente statunitense poi eretto a modello culturale a cui conformarsi in tutti i luoghi del mondo.

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L’“ibridazione culturale”

Una lettura differente del processo di globalizzazione della cultura afferma invece che oggigiorno è in atto una sorta di ibridazione culturale, in cui elementi culturali esportati dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali si fondono con simboli e tradizioni locali, dando vita a differenti declinazioni di una cultura globalizzata. Queste idee sono raccolte nella teoria della “glocalizzazione”, che si basa proprio sul presupposto che le diverse culture nazionali, regionali o locali si intreccino con i modelli proposti dalla globalizzazione, mescolando così locale e globale.

È un fatto che McDonald’s stesso abbia pensato di offrire, per garantire una maggiore presa sul mercato, “aggiustamenti” gastronomici per adattarsi alla cultura locale dei vari paesi in cui si è diffuso. In Italia, per esempio, nel menu è stata inserita l’insalata, che non viene offerta nei punti vendita americani; in Francia è stata introdotta la McBaguette, che si ispira al tipico pane francese; in India, sono stati aperti punti vendita esclusivamente vegetariani, per andare incontro alla tradizione alimentare prevalente in questo paese.

Uno dei settori in cui l’ibridazione culturale è più evidente è quello dell’arte e della musica, dove la possibilità di connessione tra differenti culture e tradizioni ha dato impulso a forme di contaminazione culturale prima inimmaginabili. Nella musica di oggi, infatti, assistiamo al continuo mescolarsi di generi musicali e sonorità provenienti da luoghi e storie tra loro diversissimi. È il caso della world music e, più in generale, di tutte le contaminazioni che, per esempio, il rap, l’hip hop e la musica elettronica hanno avuto con ritmi e strumenti tipici africani, sudamericani o asiatici.

Insomma, se è vero che la globalizzazione è stata caratterizzata dall’esportazione di modelli statunitensi o occidentali in tutte le regioni del mondo, questi modelli hanno dovuto contaminarsi e “localizzarsi”, andando incontro ai gusti e alle pratiche delle diverse culture.

approfondiamo  Il marchio McDonald’s

Uno degli esempi per antonomasia dei processi di globalizzazione è la catena di fast food McDonald’s. Nati negli anni Trenta del Novecento negli Stati Uniti, i punti vendita di McDonald’s si sono concentrati sulla vendita di un prodotto alimentare percepito come tipicamente statunitense: panino con hamburger di carne e patatine fritte. A partire dagli anni Settanta, McDonald’s ha cominciato ad aprire negozi in tutto il mondo, esportando così su scala globale non solo il proprio marchio, ma anche una particolare cultura alimentare, quella statunitense, senza dubbio molto differente, per esempio, dalla cultura alimentare italiana o francese.

Nel giro di alcuni anni, McDonald’s è così riuscito a espandere il proprio modello di consumo alimentare in più di cento paesi in tutto il mondo, diventando un emblema del processo di globalizzazione, come ha raccontato il sociologo statunitense George Ritzer (n. 1940). Uno degli aspetti interessanti dei ristoranti McDonald’s è che la loro diffusione globale ha mescolato, da un lato, processi propriamente economici, relativi all’espansione di un’azienda, e dall’altro questioni propriamente culturali, legate sia a un nuovo stile di alimentazione, sia alla capacità di McDonald’s di diventare un simbolo globale, riconoscibile facilmente da tutti in giro per il mondo.

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2.4 La globalizzazione dell’economia

Il fenomeno della globalizzazione nasce da trasformazioni che hanno riguardato in primo luogo l’economia, i flussi finanziari e gli scambi commerciali, per poi ripercuotersi in altri settori della società. La competitività delle imprese su scala mondiale, l’apertura di nuove rotte commerciali e la dematerializzazione dei mercati finanziari (sempre più gestiti attraverso sistemi informatici che permettono uno scambio immediato, in qualsiasi parte del globo, di grandi somme di denaro) ha portato alla globalizzazione dei mercati. Si è così prodotta una dinamica di interdipendenza economica mondiale mai esistita prima, che ha preso la forma di flussi globali di denaro, di merci e di servizi che non devono più sottostare ai vincoli posti dai confini e dalle leggi dei singoli Stati.

Gli attori più importanti di questa trasformazione sono senza dubbio le aziende multinazionali o transnazionali. Si tratta di due termini introdotti per rendere l’idea di come alcune grandi aziende, pur avendo la propria sede legale in un determinato paese, operino oramai su scala globale, con le conseguenti difficoltà per gli Stati nazionali di poter controllare il loro operato. Esempio emblematico di questo tipo di situazioni sono alcune compagnie aeree low cost (come Ryanair) o alcune piattaforme digitali (come Amazon) che, pur operando su scala globale, pagano le tasse in base alle regole del paese in cui sono registrate.

In molti settori, poi, come per esempio quello dell’agricoltura, siamo di fronte a fenomeni di oligopolio globale, ovvero situazioni in cui un ristretto numero di aziende ha oramai il dominio incontrastato all’interno di alcuni settori. Pensiamo, per esempio, alla produzione mondiale di cacao controllata da tre grandi multinazionali: Ferrero, Nestlé e Mars.

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La finanziarizzazione

La globalizzazione dell’economia e dei mercati è facilitata dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che hanno permesso la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia, ovvero un tipo di economia in cui le principali merci scambiate non sono più prodotti agricoli o industriali, ma azioni di borsa e pacchetti finanziari, cioè titoli che ne rappresentano delle quote ma che sono allo stesso tempo beni immateriali che generano un mercato a sé. Tale processo ha favorito forme di speculazione e, dunque, l’innescarsi tra il 2007 e il 2008 di una delle più gravi crisi economiche dell’ultimo secolo (la precedente era avvenuta nel 1929, conosciuta come “Grande depressione”).

La delocalizzazione

Oggigiorno, gli scambi mondiali di merci sono dieci volte superiori rispetto a quelli degli anni Cinquanta del secolo scorso. Tutte le economie nazionali si sono aperte nei confronti delle merci provenienti dall’estero ed è aumentato il peso di importazioni ed esportazioni sul  prodotto interno lordo (PIL) dei paesi. Buona parte di quello che ognuno di noi può acquistare nei negozi vicino a casa propria viene probabilmente prodotto altrove, in particolare in Cina. In questo paese, così come in India, Ecuador, Turchia, Vietnam e Bangladesh, il costo della manodopera (ovvero quanto viene pagato un lavoratore per svolgere un determinato lavoro) è molto più basso rispetto ai paesi occidentali. Grazie alla facilità di scambio, trasporto e comunicazione prodotta dalla globalizzazione, molte delle aziende che hanno la propria sede in paesi europei o nordamericani hanno deciso di delocalizzare in paesi lontani i loro processi di produzione. Così la maggior parte delle magliette, delle scarpe o degli accessori di vestiario che tutti noi utilizziamo ogni giorno viene ideata da aziende occidentali, ma prodotta in paesi asiatici o sudamericani e, successivamente, commercializzata con il marchio di aziende europee o statunitensi. Lo stesso vale per le tecnologie che utilizziamo costantemente, a cominciare da smartphone, tablet e computer: tutti i prodotti Apple, per esempio, sono “disegnati” in California, ma fabbricati in Cina.

Tuttavia, sempre più spesso, paesi come la Cina non si limitano solamente a produrre per conto delle aziende occidentali, ma acquisiscono direttamente i marchi di note aziende europee o statunitensi. È questo il caso dell’azienda di automobili svedese Volvo, inglobata nel 2010 all’interno di una multinazionale cinese; oppure dell’azienda di personal computer statunitense IBM, che nel 2005 è stata acquisita da Lenovo, il principale produttore cinese di computer. Stiamo quindi assistendo a uno spostamento di baricentro dell’economia mondiale dagli Stati Uniti e dall’Europa verso paesi che fino a qualche decennio fa erano considerati come territori ancora in via di sviluppo.

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2.5 Le critiche alla globalizzazione

Con il passare degli anni, l’evolversi del processo di globalizzazione è stato sempre più spesso oggetto di critiche da parte della società civile, della politica e degli studiosi di scienze sociali. Sono infatti emersi in modo evidente alcuni effetti collaterali della globalizzazione. Non solo, come abbiamo visto, è stato riconosciuto un rischio di omologazione delle culture e degli stili di vita; si è anche osservato che gli aspetti positivi e i benefici introdotti dalla globalizzazione nella vita delle persone (come la possibilità di viaggiare o di accedere facilmente a conoscenze e informazioni) sono andati ad arricchire l’esperienza soltanto di una parte ristretta della popolazione mondiale, escludendo sistematicamente i cittadini delle aree più svantaggiate del pianeta.

Zygmunt Bauman (1925-2017), uno dei più noti sociologi europei contemporanei, ha messo in luce come la globalizzazione sia un processo che, promettendo l’uguaglianza e le pari opportunità tra tutti i cittadini del pianeta, nei fatti riproduce e rafforza differenti forme di disuguaglianza su scala globale. Secondo Bauman, infatti, l’impatto della globalizzazione renderebbe ancora più ampio il divario tra quella parte di popolazione mondiale che ha accesso ai beni, ai servizi e ai profitti offerti da un mercato sempre più globale e quella parte che invece ne rimane esclusa.

La globalizzazione, inoltre, accentua ulteriormente le diseguaglianze tra i lavoratori dei vari paesi del mondo, poiché nei paesi più poveri essa favorisce lo sfruttamento della forza lavoro a basso costo, impiegata dalle multinazionali nel tentativo di risparmiare sui costi di produzione. Peraltro, proprio attraverso queste forme di delocalizzazione della produzione, la globalizzazione induce una perdita dei posti di lavoro nei paesi occidentali.

Queste riflessioni sono solo una piccola parte delle critiche espresse dal movimento no global APPROFONDIAMO, p. 310 |, che, a partire dalla fine del ventesimo secolo, sia attraverso libri, come il noto volume No Logo, pubblicato nel 2000 dalla giornalista Naomi Klein L’AUTRicE |, sia attraverso manifestazioni e cortei di protesta vuole porre all’attenzione di tutti il problema dell’aumento delle diseguaglianze su scala globale e delle conseguenze della globalizzazione sull’ambiente e sulle comunità locali.

l’autrice  Naomi Klein

Scrittrice e giornalista canadese nata a Montreal nel 1970, Naomi Klein diventa famosa in tutto il mondo a seguito della pubblicazione nel 2000 di No Logo, considerato il manifesto del movimento di opposizione alla globalizzazione. Secondo la tesi espressa in questo testo, all’interno di un’economia di mercato globale, il brand, ovvero la marca, diventa molto più importante della merce stessa. Inoltre, il controllo del commercio mondiale da parte delle multinazionali aumenta lo sfruttamento di alcune aree del pianeta e peggiora la vita di milioni di lavoratori in tutto il mondo. Qualche anno dopo la pubblicazione di No Logo, Klein si schiera apertamente contro l’amministrazione statunitense, accusandola di aver causato la guerra in Afghanistan e Iraq allo scopo di portare nel paese il proprio dominio economico. Negli ultimi anni pubblica testi contro le politiche economiche protezioniste di Trump e si concentra sullo studio di specifici movimenti sociali.

 >> pagina 310 

approfondiamo  Il movimento no global

Alla fine degli anni Novanta negli Stati Uniti nasce un movimento di protesta conosciuto come il movimento no global, che in breve tempo coinvolge giovani e attivisti nella maggior parte dei paesi del mondo occidentale. Nel 2001, centinaia di migliaia di manifestanti da tutto il mondo si ritrovarono a Genova durante il G8 (forum politico tenutosi dal 1997 al 2014, che riunisce i capi di Stato delle otto nazioni più potenti del mondo, ovvero Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) per affermare che “un altro mondo è possibile” (come recitava il principale slogan del movimento). Infatti, in occasione del summit, si sarebbe dovuto discutere di politiche economiche globali, della sorte dei paesi in via di sviluppo e dell’ambiente, questioni di grande rilevanza per tutti gli abitanti della Terra. Proprio per questo, una delle rivendicazioni del movimento riguardava l’assurdità di momenti decisionali come quelli in cui una decina di individui prendevano accordi, quasi “in privato”, a proposito della vita di miliardi di persone. Il movimento no global chiedeva forme di sviluppo più sostenibili, diritti per i migranti e la possibilità di accedere con più facilità a diritti fondamentali quali il diritto alla casa, all’informazione, alla salute e alla mobilità. Nel corso delle manifestazioni oceaniche che attraversarono il capoluogo ligure nei giorni del 19-20-21 luglio 2001, a seguito di scontri violentissimi tra polizia e manifestanti, perse la vita, ucciso da un agente dei carabinieri, il ventitreenne Carlo Giuliani. Dopo l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 e la successiva guerra condotta in Afghanistan da parte degli Stati Uniti e altre nazioni europee (tra cui anche l’Italia), il movimento no global è confluito in un più ampio movimento pacifista e si ritrova ogni anno a Porto Alegre, in Brasile, per il Forum sociale mondiale.

per lo studio

1. Prova a identificare, tra gli oggetti che possiedi, uno di quelli che dal tuo punto di vista rappresenta meglio il fenomeno della globalizzazione.

2. Quali pensi siano gli effetti della globalizzazione nel tuo contesto locale?


  Per discutere INSIEME 

Cerca, leggi e porta in classe un articolo di giornale che tratta di un problema globale. Confronta la tua scelta con quelle dei tuoi compagni e discutete di quali siano i principali problemi globali e delle loro possibili soluzioni.

I colori della Sociologia
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Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane