5.1 UNA LENTA RIPRESA E UNA NUOVA IDENTITÀ

LEZIONE 5.1 – Una lenta ripresa e una nuova identità

La ripresa economica

Dopo il Medioevo ellenico, in Grecia emersero nuove opportunità di sviluppo economico con la diffusione della lavorazione del ferro, che dal XII secolo a.C. cominciò a interessare anche l’Europa orientale grazie ai contatti con il Vicino Oriente. La disponibilità di strumenti più resistenti, come gli aratri con il vomere di ferro, permise il dissodamento di nuovi terreni incrementando la produttività dei campi. La coltivazione dell’ulivo e della vite si estese anche in zone più impervie, consentendo l’accumulazione di un surplus agricolo che portò alla ripresa delle esportazioni di olio e vino. Il cambiamento degli assetti politici e strategici del Mediterraneo, con la fine dell’egemonia delle civiltà palaziali, fu la premessa per la nascita di scambi commerciali non più rigidamente controllati dall’organizzazione gerarchica dei palazzi, ma basati sulla libera iniziativa di artigiani e mercanti, sull’esempio dell’espansione commerciale che aveva caratterizzato le colonie fenicie. L’indipendenza delle comunità costiere diede nuovo impulso ai traffici marittimi nel Mediterraneo: anche i marinai dei piccoli centri urbani potevano ora attraversare il mare più liberamente ed estendere le proprie rotte commerciali.

Il grande mercato del Mediterraneo

Furono questi i presupposti per la creazione di un grande mercato mediterraneo, di cui la Grecia, all’inizio del I millennio a.C., divenne il centro.

I mercanti greci delle città costiere esportavano soprattutto il vino, molto richiesto in Egitto e nel Vicino Oriente, dove non si era diffusa la vite. Mentre il commercio di carne era abbastanza limitato, il pesce conservato sotto sale costituiva uno degli alimenti più esportati dalle zone costiere. Particolarmente fiorente era anche il commercio del silfio, una pianta medicinale molto ricercata in tutto il Mediterraneo, che fu all’origine della prosperità economica della città di Cirene (sulle coste della Libia), dove i mercanti greci avevano stabilito un emporio. Tra le materie prime esportate, infine, figurava il marmo proveniente dalle isole di Paro e di Nasso, molto apprezzato dai sovrani orientali per la costruzione degli edifici reali. Tra i beni importati dai mercanti greci, invece, vi erano soprattutto i cereali, che arrivavano dall’Egitto, dalla Sicilia e dalle coste del mar Nero; il legname delle foreste della Macedonia; i metalli, in particolare l’oro proveniente dalle regioni settentrionali della Grecia e dalle coste anatoliche della Ionia. I metalli venivano lavorati nelle botteghe degli artigiani per essere poi in gran parte riesportati: le opere degli artisti greci, soprattutto le statue di bronzo, divennero presto oggetti di lusso molto apprezzati in tutto il Mediterraneo. Tra i beni artigianali esportati, un ruolo rilevante ebbe anche la ceramica: i prodotti dei vasai greci raggiunsero tutte le coste affacciate sul Mediterraneo, entrando in forte concorrenza con la produzione del vetro, molto sviluppata in Egitto, in Fenicia e sull’isola di Rodi.

Piuttosto intenso era anche il commercio degli schiavi, generalmente prigionieri di guerra o ostaggi dei pirati che solcavano le acque del Mediterraneo, scambiati nei mercati alla stessa stregua delle altre merci.

L’espansione dei commerci nel Mediterraneo portò all’apertura di nuove vie di comunicazione anche con l’India e la Cina. Da questi territori venivano importati avorio, spezie, profumi, pietre preziose e tessuti pregiati. Entrò infine a far parte della rete commerciale creata dai mercanti greci anche l’entroterra europeo: dalle miniere del continente proveniva in particolare il sale, utilizzato per la conservazione dei cibi, e alcuni metalli, come il ferro e lo stagno.

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L’introduzione della moneta

Dal VII secolo a.C. l’espansione delle attività commerciali nel Mediterraneo fu sostenuta e stimolata dalla diffusione della moneta, che sostituì la pratica del baratto, ossia lo scambio diretto di merci su cui si erano basati i rapporti commerciali fino ad allora. In particolare, la moneta si diffuse a partire da alcune città dell’Asia Minore (Efeso, Mileto) nel VII secolo (probabilmente grazie al contatto con la vicina Lidia dove sono comparsi i primi esemplari di moneta), e in Grecia continentale nel VI, dove a coniare furono in particolare l’isola di Egina, Atene e Corinto. La moneta era caratterizzata da un’immagine (tipo) e da una iscrizione (legenda) che indicava il nome della città.

Le monete favorirono gli scambi perché si deterioravano meno facilmente di altre merci, essendo realizzate con metalli resistenti all’usura, e soprattutto in quanto costituivano una misura del valore delle merci universalmente riconosciuta. A garanzia della loro validità, infatti, si diffuse la consuetudine di imprimere su entrambe le facce delle monete un marchio che ne certificava la regolarità; questa prassi, detta coniazione, era attuata dalle autorità statali che avevano emesso le monete e assicurava il loro valore economico senza bisogno di verificarne ogni volta peso e dimensioni. Ogni mercante aveva così la certezza che le monete ricevute in cambio della sua merce fossero valide e che avrebbe potuto servirsene per comprare altri prodotti.

Il passaggio dal baratto all’economia monetaria comportò anche importanti cambiamenti a livello sociale. La ricchezza, fino a quel momento calcolata solo in base alla quantità di terra che si possedeva, ora si fondava anche sui patrimoni monetari accumulati: fu così che mercanti e artigiani videro aumentare la loro influenza economica e sociale.

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Mercanti e pirati

L’attività dei mercanti non era comunque priva di difficoltà. Le rotte marittime erano insicure, se non si disponeva della scorta di navi militari dotate di equipaggi armati. Molti commercianti, assaliti e fatti prigionieri dai pirati, finivano così per alimentare il fiorente mercato di schiavi con il Vicino Oriente. Il confine stesso tra le attività commerciali e la pirateria, del resto, era abbastanza labile: le navi da guerra potevano servire a difendere le rotte così come a depredare i carichi navali stranieri, e l’attività mercantile sfociava facilmente nella rapina, quando per esempio la qualità delle merci non si rivelava adeguata al prezzo pattuito o la trattativa si trasformava in scontro violento.

Tra crisi e trasformazione

Durante il Medioevo ellenico le condizioni di vita nella penisola ellenica peggiorarono drasticamente e la popolazione subì una netta diminuzione. Tuttavia, questo periodo non fu privo di importanti novità, che avrebbero svolto un ruolo fondamentale per la successiva rinascita economica, sociale e politica della Grecia. Fu in questi secoli che si sviluppò l’autonomia politica dei piccoli centri urbani, non più sottomessi al controllo di città più grandi e ormai capaci, in virtù della diffusione delle armi in ferro, di organizzarsi militarmente in modo efficace. Inoltre, gli stanziamenti territoriali delle varie etnie presenti in Grecia assunsero un assetto definitivo, che avrebbe caratterizzato la storia della penisola nei secoli successivi. Nell’ambito del flusso migratorio definito prima colonizzazione greca, i Dori (che provenivano dal Nord della penisola balcanica) occuparono le regioni settentrionali e il Peloponneso e, in seguito, le isole ad esso prospicienti (soprattutto Creta), spingendosi fino a Rodi e alle coste meridionali dell’Asia Minore. Durante queste migrazioni si mescolarono alle popolazioni già presenti sul territorio: gli Ioni (che occupavano l’Attica, l’Eubea e le coste centrali dell’Asia Minore) e gli Eoli (stanziati in Beozia, nella parte settentrionale dell’Asia Minore e in alcune isole del mar Egeo). I gruppi che si stabilirono sulle coste dell’Anatolia furono i primi protagonisti della ripresa economica e culturale, grazie ai contatti con i prosperi regni del Vicino Oriente.

La forza dei regni orientali, in questo periodo, non arrivò a minacciare l’Egeo, garantendo alle varie stirpi elleniche la possibilità di estendere la propria influenza politica e commerciale in tutto il Mediterraneo, ormai libero da una potenza marittima egemone. Questa situazione contribuì in modo decisivo al progresso economico e civile dei popoli ellenici e all’affermazione di una loro identità autonoma, fondata sulle caratteristiche culturali che li distinguevano dalle altre popolazioni.

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La nascita dell’identità greca

Il nome “Greci” deriva dai Graikói, un popolo anticamente stanziato nell’Epiro (una regione nordoccidentale della penisola ellenica), attraverso il quale i Romani stabilirono i primi contatti con il mondo greco. Il termine con cui i Greci definivano sé stessi, invece, era Ellèni, derivante probabilmente dal nome dei sacerdoti (Hélloi) dell’antico culto rivolto a Zeus nel santuario di Dodona. In seguito all’invasione dei Dori, come abbiamo visto, le tribù di Elleni si dispersero in varie regioni del Mediterraneo orientale, ma l’esistenza di una lingua condivisa – pur distinta nelle varianti regionali dei dialetti dorico, ionico-attico, arcadico ed eolico – contribuì a mantenere la loro identità comune, tanto che esse continuarono a riconoscersi come parte di un unico popolo.

Con la fine del Medioevo ellenico e l’inizio della rinascita economica, sociale e politica della Grecia, l’identità culturale che accomunava queste etnie si rafforzò. Anche in questo caso l’elemento di coesione determinante era quello linguistico: gli Elleni definivano tutti gli stranieri, indistintamente, barbari, termine che derivava dal suono onomatopeico barbar, usato per indicare la persona balbuziente e, per estensione, chiunque si esprimesse in una lingua diversa dalla propria e dunque incomprensibile.

POPOLI E LINGUE 

I dialetti della Grecia antica

Dopo secoli di assenza della scrittura, durante il cosiddetto Medioevo ellenico, l’età arcaica della storia greca (secoli VIII-VI a.C.) vide la diffusione di vari dialetti greci, sicuramente già presenti nei secoli precedenti ma di cui abbiamo testimonianza solo a partire da questo periodo. Secondo i linguisti, tali dialetti discenderebbero tutti da un’unica, ipotetica protolingua, il cosiddetto protogreco, di origine indoeuropea.

Del periodo miceneo conserviamo le tavolette in scrittura sillabica lineare B, cotte dagli incendi, che ci hanno trasmesso la lingua della burocrazia e degli scambi commerciali, certamente diversa da quella parlata dalla gente comune e che non conserva le varianti regionali che, sin da allora, dovevano caratterizzare la lingua usata in Grecia. Alcuni elementi dell’antico miceneo ritornano, secoli dopo, in alcuni dei dialetti della Grecia arcaica e poi classica (secoli V-IV a.C.), in particolare nel dorico e nell’eolico.

Il dialetto dorico era quello parlato nel sud del Peloponneso, a Creta, a Rodi, nelle Cicladi e in alcune colonie nell’Asia Minore; l’eolico era invece utilizzato in Tessaglia, in Beozia e in molte isole del mar Egeo, fra cui Lesbo, patria dei poeti Saffo e Alceo. A questi due si aggiungevano il dialetto ionico-attico, parlato in Attica (la regione di Atene), in Eubea e nelle colonie ioniche sulle coste dell’Asia Minore, il dialetto del greco nord-occidentale e il dialetto arcado-cipriota. Un discorso a parte va invece fatto per la lingua usata nei poemi omerici: era la lingua della poesia epica, mai effettivamente parlata dalla popolazione e basata sul mescolamento di elementi di vari dialetti, incluso l’antico miceneo.

Le principali opere della letteratura greca, soprattutto quelle in prosa (opere storiografiche, di filosofia e medicina), sono scritte in dialetto ionico-attico, anche in conseguenza del crescente potere della città di Atene. I dialetti eolico e dorico sono invece prevalenti nella poesia lirica. Caratteristica è la commistione di dialetti nella tragedia e nella commedia, in cui le parti dialogate sono in dialetto ionico-attico, mentre le parti corali (cioè cantate dal coro) sono in dorico, in omaggio alla tradizione dei poeti lirici.

I caratteri distintivi dei popoli greci

Oltre alla lingua, le caratteristiche culturali comuni ai popoli che si definivano Elleni in contrapposizione ai barbari riguardavano altri aspetti:

  • le tradizioni mitologiche e letterarie risalenti all’epoca micenea e raccolte nei poemi epici, soprattutto l’Iliade e l’Odissea, che contribuivano a radicare la consapevolezza delle comuni radici storiche della popolazione ellenica;
  • le affinità nelle usanze quotidiane e nelle tradizioni popolari, per esempio nelle forme che regolavano le relazioni di parentela, nelle norme sull’eredità dei patrimoni familiari e nelle tipologie delle feste e delle celebrazioni;
  • la diffusione di culti religiosi comuni, ulteriore elemento di identità che si esprimeva nei santuari ▶ panellenici (dal greco pân, “tutto”, ed hellenikón, “greco”), cioè appartenenti a tutte le popolazioni greche, dove si stipulavano anche accordi militari o commerciali tra i centri urbani.

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L’oligarchia dei proprietari terrieri

La caduta della civiltà micenea aveva determinato una profonda trasformazione nelle gerarchie sociali: al sovrano acheo, che accentrava nelle proprie mani il potere politico e il controllo di ogni attività economica, subentrarono i nobili guerrieri di stirpe dorica. Con la forza delle armi, essi si erano appropriati delle terre occupate, assumendo un ruolo dominante e costringendo le popolazioni sottomesse a lavorare in condizioni servili. Grazie al monopolio dell’uso delle armi, essi difendevano da invasioni straniere le piccole comunità agricolo-pastorali, ma allo stesso tempo impedivano qualsiasi velleità di rivolta della popolazione contadina. Fin quando l’alfabeto non conobbe un’ampia diffusione, inoltre, i nobili continuarono a far valere le consuetudini non scritte e le tradizioni giuridiche stabilite e applicate a loro esclusivo vantaggio.

Quella del Medioevo ellenico e della prima età arcaica era dunque una società ▶ aristocratica (dal greco áristoi, “migliori”, e kratéo, “comandare”) in cui i nobili, forti del possesso della terra e delle armi, si autolegittimavano a detenere il potere in quanto “migliori” e più adatti al governo. Poiché i governi aristocratici erano costituiti da un gruppo ristretto di persone, sono spesso definiti anche ▶ oligarchici (dal greco olígoi, “pochi”, e árkho, “governare”), per indicare come essi fossero l’espressione di un’esigua minoranza che coincideva con l’▶ élite della società.

Le fratrie aristocratiche

L’ordinamento aristocratico che caratterizzava le comunità greche nei primi decenni dell’età arcaica era basato sulla fratrìa (dal greco phráter, “fratello”), l’insieme delle famiglie nobili discendenti da un antenato comune e perciò “affratellate”, cioè strette da un vincolo di parentela. Al loro interno le fratrìe erano suddivise in ghéne (“stirpi”, gruppi parentali meno estesi e paragonabili ai clan tipici dell’organizzazione sociale di alcune popolazioni dell’Europa settentrionale) formati da più famiglie aristocratiche. Presentandosi come discendente di un dio o di un eroe leggendario, ogni famiglia nobile rafforzava il proprio diritto a detenere il potere trovando legittimazione nel mito o nella religione.

Il resto della società

Ogni fratrìa governava una comunità autosufficiente e tendenzialmente ▶ autarchica, che produceva i beni necessari al sostentamento di tutti i suoi membri e rimaneva isolata dalle altre, con scambi commerciali e culturali assai ridotti. A capo della comunità c’era solitamente un re, il basiléus, affiancato dal consiglio degli anziani, i gérontes, che si occupavano principalmente di questioni giuridiche e diplomatiche.

Le fratrìe costituivano una minoranza della popolazione; il resto della comunità, il popolo (démos), lavorava al servizio degli aristocratici ed era composto da contadini, piccoli proprietari terrieri, pastori, artigiani, mercanti e marinai. Il démos poteva riunirsi in assemblea per deliberare su faccende riguardanti la collettività, ma le decisioni prese non erano assolutamente vincolanti per il basiléus e i gérontes. Costretti a lavorare per vivere, costoro non potevano partecipare alla vita politica né alla difesa militare dei loro territori, un compito che solo i nobili potevano svolgere in quanto erano gli unici a potersi permettere l’elevato investimento necessario per l’acquisto delle armi e per il mantenimento dei cavalli.

All’ultimo gradino della scala sociale si trovavano gli schiavi, che erano generalmente nemici catturati in guerra o contadini impoveriti dalle carestie e dallo sfruttamento imposto dai proprietari terrieri ai quali spesso, per sopravvivere, erano costretti a cedere i propri beni e persino la propria persona.

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IN SINTESI

Il grande mercato del Mediterraneo

  • Esportazione di vino, pesce, silfio, marmo, ceramica
  • Importazione di cereali, legname, metalli
  • Intenso commercio di schiavi
  • Introduzione della moneta
  • Presenza della pirateria

L’identità greca

  • Lingua comune, ma distinta in diversi dialetti (dorico, ionico-attico, arcadico, eolico)
  • Tradizioni mitologiche e letterarie comuni, raccolte nei poemi epici Iliade e Odissea
  • Usi e tradizioni comuni
  • Culti religiosi comuni celebrati nei santuari panellenici

La società greca arcaica

  • Società aristocratico-oligarchica basata sulla fratrìa, cioè l’insieme di famiglie nobili discendenti da un antenato comune
  • Fratrìe divise in ghéne
  • La fratrìa governa una comunità autosufficiente composta da:
    – un re, il basiléus
    – un consiglio di anziani, i gérontes
    – il popolo, il démos
    – gli schiavi

GUIDA ALLO STUDIO
  • Quali fattori favorirono la ripresa dello sviluppo economico in Grecia nel XII secolo a.C.?
  • Per quali motivi si verificò il passaggio dal baratto all’utilizzo della moneta?
  • Quale ruolo ebbe la diffusione della moneta nell’espansione dei commerci?
  • Quali fattori minacciavano la sicurezza delle rotte marine?
  • In che modo il cosiddetto “Medioevo ellenico” influenzò la vita politica, sociale ed economica della Grecia?
  • Quali elementi definivano l’identità dei popoli greci?
  • Come era organizzata la società greca arcaica?

Tempo, spazio, storia - volume 1
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Dalla Preistoria alla crisi di Roma repubblicana