T3 - Italo Svevo, L’assassinio di via Belpoggio

Tipologia A PROSA Italo Svevo, L assassinio di via Belpoggio T 3 Drammi intimi L assassinio di via Belpoggio di Italo Svevo (Trieste 1861-Motta di Livenza 1928) è stato pubblicato la prima volta nel 1890 a puntate sul giornale L indipendente , diviso in tre sezioni. Il racconto narra i sentimenti e le manovre di un omicida, Giorgio, subito dopo un delitto compiuto in una via di Trieste (quella citata nel titolo) per appropriarsi dei soldi di un conoscente, Antonio, del quale non conosce nemmeno il cognome. Nella prima sezione si descrivono i momenti immediatamente successivi al delitto, avvenuto di notte. Giorgio ha ucciso per mera avidità, in un attimo: «Antonio lo aveva pregato di tenergli per un istante quel pacco di banconote. Poco dopo, quando Antonio gliene chiese la restituzione a lui balenò alla mente l idea che ben poca cosa lo divideva dalla proprietà assoluta di quel pacco: la vita di Antonio! Non ne aveva ancor ben concepita l idea che già l aveva posta ad esecuzione e si meravigliava che quella idea che ancora non era una risoluzione gli avesse dato l energia di menare quel colpo formidabile tale che dello sforzo si risentiva nei muscoli del braccio . Subito dopo il delitto, Giorgio pensa di scappare con un treno da Trieste a Udine, ma rinuncia al progetto convincendo sé stesso, con ragionamenti capziosi, che sia più sicuro rintanarsi in casa. Nella seconda parte, da cui è tratto il brano qui riportato (ambientato nella casa di Giorgio il mattino dopo l omicidio), viene presentato il protagonista, la sua storia, il suo carattere. In un crescendo di paura e di vile commiserazione di sé (dove non hanno spazio i sentimenti del rimorso e del pentimento), il protagonista nella terza parte del racconto finisce per lasciare indizi della sua colpevolezza e, infine, spalle al muro, si autodenuncia. Il movente del suo delitto è stato banale e squallido: è stato vinto «dalla tentazione di rendere suoi quei denari che lo salvavano dalla sua infelicissima vita . 5 10 15 Giorgio nella triste società nella quale viveva, veniva chiamato il signore. Non doveva questo nomignolo alle sue maniere che pur si tradivano superiori a quelle degli altri ma più al disprezzo ch egli dimostrava per le abitudini e i divertimenti dei suoi compagni. Costoro all osteria erano felici mentre Giorgio vi entrava svogliato, vi stava per lo più silenzioso, e quanto più beveva tanto più triste diveniva. Il volgo ha un gran rispetto per la gente che non si diverte e Giorgio accorgendosi dell impressione che produceva affettava1 maggior tristezza di quanto realmente sentisse. In fondo la sua storia era molto semplice e solita,2 né egli aveva il passato splendido che voleva far credere. Gli studi di cui si vantava erano stati fatti in due classi liceali a percorrere le quali aveva messo cinque anni. Poi aveva abbandonato le scuole e in brevissimo tempo aveva dilapidato3 lo scarso peculio della madre. Fece vari tentativi per conservarsi il posto di borghese colto a cui la madre aveva tentato di portarlo, ma invano, perché non trovò altro impiego che di facchino. Non potendola mantenere aveva abbandonato la madre e viveva in quella stalla con altro facchino, certo Giovanni, lavorando, quando era molto attivo, due o tre giorni per settimana. Era malcontento di sé e degli altri. Lavorava brontolando, brontolava quando riceveva la mercede4 e non sapeva quietarsi neppure nelle sue lunghe ore d ozio. 1 affettava: mostrava in modo forzato e 3 dilapidato: consumato senza criterio, innaturale, simulava. 2 solita: comune. dissipato. 4 mercede: compenso per il lavoro. 231

Palestra di scrittura
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