Gli altri romanzi
L’esclusa
Il primo romanzo, scritto nel 1893 con il titolo Marta Ajala, viene pubblicato a puntate nel 1901 sul quotidiano romano “La Tribuna” e poi rivisto e stampato in volume nel 1927. L’influenza di Luigi Capuana è particolarmente evidente nella denuncia di un ambiente sociale avvelenato da convenzioni arcaiche e provinciali, che fa da sfondo alla figura della giovane protagonista, Marta, una donna intelligente e sensibile accusata ingiustamente di tradimento. Il meccanicismo deterministico che governa i fatti nel racconto naturalista, tuttavia, è qui già messo in dubbio: la causa motrice della narrazione, infatti, è qualcosa di irreale – una colpa inesistente – che ha però conseguenze reali. Al principio di causa-effetto si sostituiscono cioè la fatalità e l’assurdità del caso, l’amara constatazione che le azioni umane hanno esiti imprevedibili e che la menzogna vale più della verità. Fino alla conclusione spiazzante: Marta è perdonata proprio quando diviene davvero un’adultera.
Il turno
Il secondo breve romanzo, scritto nel 1895, viene pubblicato nel 1902. Pirandello abbandona del tutto l’ambientazione naturalista, concentrandosi ancor più sull’idea che sia il caso a dominare le vicende umane. Vi si narra la storia di un giovane pretendente che aspetta il suo “turno” per sposare la donna amata. Smantellando uno dei capisaldi del Naturalismo – l’impersonalità – Pirandello rende visibile la presenza del narratore, come ad avvertire il lettore che qualcuno sta inventando ciò che viene raccontato, e che questa è la “sua” visione delle cose, la “sua” verità. L’oggettività dei fatti è così negata in favore di una visione del reale irriducibilmente soggettiva.
I vecchi e i giovani
Pubblicato in parte nel 1909 e poi in modo completo nel 1913, I vecchi e i giovani rappresenta per certi versi un passo indietro nel percorso pirandelliano di rinnovamento del genere romanzesco. L’autore sceglie infatti la narrazione eterodiegetica, quella cioè in cui il narratore non è un personaggio della storia (un’opzione privilegiata anche nel romanzo successivo Suo marito), per tracciare un quadro storico delineato entro precise coordinate spazio-temporali. Nella Sicilia post-risorgimentale, sullo sfondo della rivolta popolare dei Fasci siciliani (1891-1894) e dello scandalo politico-finanziario della Banca Romana (uno dei più importanti istituti di credito del tempo, cardine dei fenomeni di corruzione che accompagnano il disordinato sviluppo edilizio della capitale fin dagli anni Ottanta dell’Ottocento), si svolgono le vicende della famiglia Laurentano e di una fitta serie di personaggi secondari.
Il conflitto generazionale, suggerito dal titolo, tra i vecchi protagonisti del Risorgimento e i giovani corrotti della nuova realtà unitaria viene filtrato da ricordi personali, che compongono una sorta di autobiografia pubblica da cui emerge una lucida analisi della crisi di fine secolo. L’impianto narrativo, che ricorda i Viceré di De Roberto e, più da lontano, il modello manzoniano, lascia parlare la Storia come se fosse essa stessa un personaggio carico di esperienze variamente distribuite tra la folla delle comparse. Si tratta dell’unico esempio di romanzo storico pirandelliano, dall’autore definito «amarissimo e popoloso romanzo, ov’è racchiuso il dramma della mia generazione».
Suo marito
Pubblicato nel 1911 e poi ripreso per una riedizione rimasta incompiuta, il romanzo è ambientato a Roma e racconta la storia di una scrittrice, Silvia Roncella (dietro la quale molti hanno voluto riconoscere la figura di Grazia Deledda), che ribalta i tradizionali equilibri della famiglia borghese, relegando il devoto e mediocre marito alla gestione materiale dei propri impegni e successi editoriali. Sullo sfondo emerge la vita letteraria romana, delineata con intenzioni caricaturali come regno della maldicenza e della vacuità.
Quaderni di Serafino Gubbio operatore
Edito nel 1915 con il titolo Si gira…, il romanzo verrà poi rivisto e ripubblicato nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. L’operatore cinematografico Serafino Gubbio racconta in prima persona, in un diario costituito da sette quaderni, la straniante esperienza vissuta dietro la macchina da presa. Ne risulta una testimonianza, problematica e disincantata, di un’aperta diffidenza verso i congegni omologanti della modernità, della quale Serafino-Pirandello dà un’interpretazione lucida e inquietante.
Uno, nessuno e centomila
Dopo una pausa decennale in cui Pirandello si dedica prevalentemente al teatro, nel 1926 esce il suo romanzo “testamentario” («c’è la sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e che farò», dice l’autore), che conclude e insieme inaugura una forma narrativa ormai totalmente “frantumata”.
La vicenda prende avvio da un episodio di estrema banalità di cui è protagonista Vitangelo Moscarda: una mattina, mentre si guarda allo specchio, scopre, per un’osservazione della moglie, che il suo naso non è dritto, come egli aveva sempre creduto che fosse, ma pende leggermente a destra. Il fatto, di per sé privo di importanza, dà luogo a una vera e propria crisi d’identità del personaggio, che si rende conto di non essere “uno”, ma “centomila” – e quindi in definitiva “nessuno” – a seconda della prospettiva da cui lo osservano gli altri.
Da una semplice constatazione, in altre parole, scaturisce una crisi esistenziale che porta Vitangelo a compiere gesti folli, volti a cancellare ricordi, esperienze e persino il nome che lo identifica. Dopo aver liquidato i suoi beni ed essere stato abbandonato dalla moglie, egli finisce con il vivere in un ospizio, senza più un nome né un’identità definita. Considerato pazzo dagli altri, si sente in realtà finalmente felice: abbandonata la civiltà, con le sue forme e le sue convenzioni, si trova per la prima volta immerso nel fluire continuo della vita e nella natura.
T9
Una mano che gira una manovella
Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Quaderno primo
Il passo che segue costituisce l’incipit del romanzo. Si tratta di una sorta di presentazione dell’ambiente del cinema e del mestiere dell’operatore, in cui sono evidenziati i temi fondamentali dell’opera, sviluppati poi più ampiamente nel corso della narrazione.
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
Il gesto di annotare su alcuni quaderni le sue considerazioni sulla realtà rappresenta, per l’operatore cinematografico Serafino Gubbio, il tentativo di sfuggire all’alienazione di un lavoro puramente meccanico. L’incipit del romanzo (Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni, r. 1) rivela subito una caratteristica fondamentale dell’opera: la presenza di un narratore dotato di una vocazione filosofica. Non ci si deve pertanto aspettare un racconto coerente e compiuto, ma un saggio-studio in cui le vicende narrate sono condizionate dalla voce narrante. Questo personaggio, che appare persino privo di una precisa fisionomia, diviene quasi puro pensiero, proprio in conseguenza del fatto che la sua fisicità è stata ridotta ad appendice pseudovivente di una macchina da presa, a “protesi” umana di un congegno meccanico.
Abituato, per la sua professione, a tenere sotto controllo passioni e sentimenti (l’operatore non deve partecipare all’azione, ma solo registrarla fedelmente), Serafino sceglie come narratore di indossare consapevolmente la «maschera dell’impassibilità», non per denunciare la corruzione e i difetti di una specifica realtà – come avrebbe fatto uno scrittore naturalista o verista – ma per rivelare che uno «studio senza passione» è forse l’unica vera salvezza rimasta all’individuo alienato della modernità; solo in questo modo, infatti, egli può recidere ogni legame con la falsa realtà in cui è immerso.
Il suo sguardo è freddo e distaccato, ma non ha più le prerogative del classico narratore esterno e onnisciente, anzi è voce interna per eccellenza, e la sua conoscenza degli uomini e delle cose non gli è data a priori, per statuto narrativo, ma è una conquista della sua osservazione disincantata e della sua riflessione filosofica. Egli spia da dietro le quinte, nell’anonimato della macchina da presa, la strana mescolanza di verità e finzione che travolge gli attori (le cui vicende si sovrappongono a quelle rappresentate nel film), scopre risvolti inediti nelle esistenze che gli scorrono davanti, comprendendo sentimenti e dinamiche relazionali invisibili agli occhi degli attori stessi. Proprio perché si rifiuta di partecipare emotivamente alla vita falsa che è costretto a registrare, egli può guardarsi intorno inosservato e dipingere così ritratti grotteschi di quello che vede.
Le scelte stilistiche
L’uso del tempo presente, fin dall’inizio del romanzo, non indica alcuna contemporaneità fra storia e racconto, ma inscrive la dimensione del testo nella fredda impassibilità di un lavoro scientifico o teorico, in un presente quasi atemporale proprio della riflessione filosofica.
La prosa pirandelliana è comunque, come sempre, molto vicina alla realtà delle cose: dialoghi immaginari, monologhi, confessioni e riflessioni spezzano il discorso, scandendo un ritmo vario e incalzante, che rispecchia da vicino il pensiero tormentato della voce narrante.
A rendere lo stile ancora più concreto e vicino al reale contribuiscono gli inserti specifici del lessico cinematografico. L’attenzione minuziosa agli aspetti gergali dell’ambiente in cui si svolge la vicenda dà al lettore la sensazione di essere condotto per mano alla scoperta di un mondo nuovo. Il treppiedi a gambe rientranti su cui si colloca la macchina da presa, gli apparatori, il tappeto, la piattaforma, il lapis turchino con cui si segna il campo (rr. 49-53); e poi ancora le indicazioni tecniche sulla quantità di pellicola necessaria per girare una scena, la funzione del direttore e molti altri particolari costituiscono la materia prima di un romanzo che si può leggere anche come uno spaccato storico sul cinema nel 1915. L’intento di Pirandello, forse, è stato anche quello di dare testimonianza delle caratteristiche di un’arte ancora alle prime armi, cogliendola all’origine di un percorso che giunge fino ai nostri giorni.
VERSO LE COMPETENZE
Comprendere
1 Quali sono le conseguenze, secondo il protagonista, di una vita che di giorno in giorno sempre più si còmplica e s’accèlera (r. 37)?
2 In quali termini Serafino Gubbio parla della reificazione e della produzione in serie, quando si chiede: E come volete che ce le ridiano, l’anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine? (rr. 109-110).
ANALIZZARE
3 All’inizio del brano Serafino Gubbio parla del congegno esterno, vorrei dir meccanico della vita che fragorosamente e vertiginosamente ci affaccenda senza requie (rr. 15-16). Come si manifesta, nelle righe successive, questa frenesia della vita moderna?
4 Trova ed evidenzia il passo in cui vengono denunciate apertamente la stupidità delle macchine e la loro trasformazione da “strumenti” a “padroni” dell’uomo.
5 Cerca nel testo la frase in cui Pirandello usa la metafora del ronzio del calabrone per riferirsi al rumore che accompagna la quotidianità nel mondo moderno.
INTERPRETARE
6 Perché, nell’alienazione della civiltà moderna, gli svaghi sembrano a volte Più faticosi e complicati del lavoro (r. 30)?
7 Per quale ragione Serafino Gubbio afferma che nella sua mansione di operatore non è rimasto nulla dell’originario significato del verbo operare?
scrivere per...
argomentare
8 Qual è l’atteggiamento di Serafino Gubbio – e, dietro di lui, di Pirandello – nei confronti della civiltà delle macchine che si afferma all’inizio del Novecento? Prova a spiegarlo in un testo argomentativo di 30 righe a partire da un commento alla seguente frase: La macchinetta – anche questa macchinetta, come tante altre macchinette – girerà da sé. Ma che cosa poi farà l’uomo quando tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro signore, resta ancora da vedere (rr. 87-90).
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento