INTRECCI LETTERATURE CLASSICHE - Le unità aristoteliche

intrecci LETTERATURE CLASSICHE

Le unità aristoteliche

Sulla scorta di un passo della Poetica di Aristotele, a partire dal Cinquecento viene fissata per la tragedia la regola delle cosiddette tre unità di tempo, luogo e azione. Il filosofo greco aveva sostenuto che la favola, ovvero il testo teatrale, dovesse avere una forma «compiuta e perfetta» e presentare un’azione più contenuta rispetto a quella dell’epopea «perché la tragedia fa tutto il possibile per svolgersi in un giro di sole o poco più, mentre l’epopea è illimitata nel tempo». Queste indicazioni, che in realtà si limitavano a descrivere uno stato di fatto del teatro greco (e in particolare quanto avviene nell’Edipo re di Sofocle), vengono rese vincolanti dai critici e dagli autori italiani rinascimentali (Giovan Battista Giraldi Cinzio, Francesco Robertello, Gian Giorgio Trissino, Giulio Cesare Scaligero) e quindi concepite come un blocco indissolubile da Vincenzo Maggi (1498-1564), che nel trattato In Aristotelis librum “De poetica” communes explanationes (Contro le spiegazioni comuni dei Libri della Poetica di Aristotele, 1550) stabilisce il canone delle tre unità, a cui si adeguerà il teatro italiano del Seicento e del Settecento. L’unità di tempo prescrive la norma che il dramma debba svolgersi nell’arco di una sola giornata; l’unità di luogo limita lo svolgimento dell’azione a un ambiente; l’unità di azione impone che l’argomento debba limitarsi a un unico avvenimento, sviluppato coerentemente dalla situazione iniziale a quella finale senza l’interferenza di vicende accessorie.

T3

Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti

Adelchi, coro dell’atto III

Posto alla fine del terzo atto, è il primo dei due cori della tragedia. I Franchi invadono la Pianura padana, mettendo in fuga i Longobardi, che da tempo vi spadroneggiavano. Le popolazioni italiche assistono ansiose nella speranza che la sconfitta degli antichi oppressori si traduca nella loro emancipazione. Ma la voce del coro si incarica di dissipare le illusioni: un padrone sostituisce l’altro e la libertà non può arrivare per mano straniera.

Composto in pochi giorni, nel gennaio del 1822, il testo è sottoposto a un lungo lavoro di correzione, per eliminare i riferimenti troppo espliciti alle strategie politiche della Restaurazione, che non avrebbero passato il vaglio della censura austriaca.


Metro 11 strofe di doppi senari, rimati AABCCB (la rima in B è sempre tronca).

Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,

dai boschi, dall’arse fucine stridenti,

dai solchi bagnati di servo sudor,

un volgo disperso repente si desta;

5      intende l’orecchio, solleva la testa

percosso da novo crescente romor.

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,

qual raggio di sole da nuvoli folti,

traluce de’ padri la fiera virtù:

10    ne’ guardi, ne’ volti confuso ed incerto

si mesce e discorda lo spregio sofferto

col misero orgoglio d’un tempo che fu.

S’aduna voglioso, si sperde tremante

per torti sentieri, con passo vagante,

15    fra tema e desire, s’avanza e ristà;

e adocchia e rimira scorata e confusa

de’ crudi signori la turba diffusa,

che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai ▶ trepide fere,

20    irsuti per tema le fulve criniere,

le note latebre del covo cercar;

e quivi, deposta l’usata minaccia,

le donne superbe, con pallida faccia,

i figli pensosi pensose guatar.

25    E sopra i fuggenti, con avido brando,

quai cani disciolti, correndo, frugando,

da ritta, da manca, guerrieri venir:

li vede, e rapito d’ignoto contento,

con l’agile speme precorre l’evento,

30    e sogna la fine del duro servir.

Udite! quei forti che tengono il campo,

che ai vostri tiranni precludon lo scampo,

son giunti da lunge, per aspri sentier:

sospeser le gioie dei prandi festosi,

35    assursero in fretta dai blandi riposi,

chiamati repente da squillo guerrier.

Lasciâr nelle sale del tetto natio

le donne accorate, tornanti all’addio,

a preghi e consigli che il pianto troncò:

40    han carca la fronte de’ pesti cimieri,

han poste le selle sui bruni corsieri,

volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,

cantando giulive canzoni di guerra,

45    ma i dolci castelli pensando nel cor:

per valli petrose, per balzi dirotti,

vegliaron nell’arme le gelide notti,

membrando i fidati colloqui d’amor.

Gli oscuri perigli di stanze incresciose,

50    per greppi senz’orma le corse affannose,

il rigido impero, le fami durâr:

si vider le lance calate sui petti,

a canto agli scudi, rasente agli elmetti,

udiron le frecce fischiando volar.

55    E il premio sperato, promesso a quei forti,

sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,

d’un volgo straniero por fine al dolor?

Tornate alle vostre superbe ruine,

all’opere imbelli dell’arse officine,

60    ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vinto nemico,

col novo signore rimane l’antico;

l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.

Dividono i servi, dividon gli armenti;

65    si posano insieme sui campi cruenti

d’un volgo disperso che nome non ha.

 >> pagina 278 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Come spiega nella prefazione al Conte di Carmagnola, Manzoni nelle sue tragedie riprende dai modelli classici l’espediente dei cori, piegandoli però ad assumere una diversa funzione: ne fa dei «cantucci» che si riserva per commentare le vicende, sostituendo la propria voce a quella dei personaggi. In questa occasione, interrotta l’azione nel momento in cui i Franchi trionfano, il poeta non propone in partenza una meditazione personale, ma ripercorre gli eventi adottando il punto di vista di una terza componente rimasta sinora nell’ombra, ovvero i popoli italici che assistono sbigottiti alla sconfitta dei loro signori longobardi (vv. 1-30).

In armonia con lo spirito evangelico, Manzoni concentra la propria attenzione sugli umili, in opposizione alla prospettiva della tragedia classica, per la quale si dovrebbero ritenere degne d’interesse soltanto le gesta di eroi e grandi personaggi. Egli realizza così, allo stesso tempo, gli obiettivi delineati nella lettera a Chauvet e nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica: completa cioè il nudo referto dei documenti storici integrandoli con i sentimenti di una massa di uomini passati sulla terra senza lasciare traccia. Il volgo disperso (vv. 4 e 66), le «genti meccaniche» che nell’Adelchi restano relegate nel coro del terzo atto balzeranno in primo piano nei Promessi sposi, in tutta la loro vitale individualità.

 >> pagina 279 

Agli Italici, che fanno da spettatori al corso della Storia, il poeta indirizza una fremente apostrofe (vv. 31-66). In primo luogo propone un flash back sulle rinunce, sulle fatiche e sui rischi affrontati dai Franchi nel corso della campagna militare. Nel descrivere gli invasori giunti da Oltralpe, Manzoni a tratti sembra cedere al fascino della saga barbarica, ma in realtà l’insistenza sul loro coraggio e vigore risulta funzionale al passaggio successivo, in quanto essa alimenta l’interrogativo retorico rivolto agli Italici: perché illudersi? A che pro sperare che un esercito straniero intervenga gratuitamente per restituire la libertà a un popolo che ha dimenticato le antiche glorie, ormai ridotto a volgo disperso in stato di schiavitù?

Incapaci di agire, gli Italici non possono che assistere agli avvenimenti, con il cuore in tumulto. Ma questa è già una sconfitta: ancora una volta gli autentici vinti, al di là delle apparenze, sono loro. I Longobardi, che non si sono mai fusi con le popolazioni locali (ma la storiografia moderna ha poi smussato questa tesi troppo netta), troveranno presto un accordo con i nuovi oppressori: col novo signore rimane l’antico; / l’un popolo e l’altro sul collo vi sta (vv. 62-63).

In tal modo Manzoni lancia un evidente monito ai patrioti a lui contemporanei, che – un millennio più tardi – si trovavano a fronteggiare situazioni non troppo dissimili. Tramontato il Regno d’Italia, satellite della Francia napoleonica, il ritorno degli Asburgo aveva dissipato molti generosi sogni d’autonomia. L’Adelchi, scritto all’indomani della repressione violenta con cui l’Austria aveva reagito ai moti del 1821, risente fortemente del clima di tensione che allora si respirava a Milano.

Le conseguenze politiche della Restaurazione e il dominio repressivo dell’Austria insegnano come libertà e rispetto si debbano conquistare con le proprie forze, ma non solo: le sconfitte dei carbonari sono le sconfitte di un progetto elitario, che non aveva cercato né trovato vasta condivisione popolare. Manzoni, indifferente al mito romantico dell’eroe solitario, ritiene invece che sia fondamentale suscitare il più possibile la volontà del popolo intorno all’idea di nazione. Il rinnovamento della società italiana e la conquista dell’indipendenza devono essere perseguiti da tutti gli italiani, non solo dagli intellettuali, ai quali pure spetta il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica.

 >> pagina 280 

Le scelte stilistiche

L’uso di versi parisillabi quali i doppi senari, in cui gli accenti sono fissi, conferisce al coro cadenze regolari e incalzanti, molto adatte a scene belliche e di folla. Questo ritmo, che mima l’andamento di una poesia popolare, ricalca i caratteri della ballata romantica. Se il lessico si mantiene su un registro elevato, con abbondante presenza di aulicismi (tema, desire, brandi, latebre, speme), scarseggiano tuttavia le perifrasi auliche, e soprattutto la sintassi appare molto lontana dalla tendenza all’uso delle subordinate secondo il costrutto latino tipica di poeti come Parini o Monti.

Alla semplicità della metrica fa riscontro infatti la semplicità della sintassi, in cui prevalgono le proposizioni coordinate per asindeto (si desta; / intende l’orecchio, solleva la testa, vv. 4-5), mai troppo estese: nessun periodo oltrepassa la misura della strofa. Insieme alle numerose figure della ripetizione (inaugurate dall’insistita anafora dei primi tre versi), sono questi i mattoni su cui Manzoni costruisce i continui crescendo che danno al lettore l’impressione complessiva di una drammatica concitazione.

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 Sintetizza in 10-15 righe il contenuto informativo del testo.

Analizzare

2 Individua gli aggettivi e le espressioni utilizzate per descrivere i tre diversi popoli. Quali atteggiamenti e caratteristiche di ciascuno emergono?


Italici

Franchi

Longobardi

 






   


3 Quale similitudine viene usata nella quarta e quinta strofa per descrivere la fuga dei Longobardi inseguiti dai Franchi? Che effetto produce?


4 Quali elementi ricordano la passata gloria e grandezza dei popoli italici? A quale periodo storico si allude?


5 A chi si rivolge, in realtà, l’autore ai vv. 31 e 58?

Interpretare

6 Quale giudizio complessivo sulle popolazioni italiche emerge dal testo?


Confronta la situazione storica descritta nel brano con quella in cui scrive Manzoni: quali analogie e quali differenze cogli?

Il magnifico viaggio - volume 4
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Il primo Ottocento