GLI SPUNTI DELLA CRITICA - Roberto Alonge - Ma è Ridolfo, e non Don Marzio, il vero maldicente

GLI SPUNTI DELLA CRITICA

Roberto Alonge

Ma è Ridolfo, e non Don Marzio, il vero maldicente

Roberto Alonge (n. 1942) offre una lettura della Bottega del caffè alternativa a quella consueta. Nel suo saggio, di cui riportiamo alcuni tra i passi più significativi, il critico mostra come Ridolfo, tradizionalmente considerato il personaggio virtuoso e riservato, non sia in realtà molto diverso dal maldicente Don Marzio, cui lo legherebbe una certa complicità.

La commedia è stata letta (a torto) come incentrata sul personaggio di Don Marzio, il maldicente, cui si contrapporrebbe l’eroe positivo, il caffettiere Ridolfo. Don Marzio «siede al caffè, guardando la pellegrina coll’occhialetto». È curioso il paradosso di questo voyeur che è miope, che ha bisogno di guardare con l’occhialetto per compensare un manco di visus1 (è lo stesso personaggio a riconoscerlo: «È vero, che ho corta vista, ma la memoria mi serve»).2 E in realtà il voyeur è sempre, per definizione, di corta vista, può persino essere cieco. Perché è chiaro che guarda con l’occhio della mente, ossessionato innanzitutto dai propri fantasmi interiori. Ma, al di là di questa piccola e geniale invenzione del voyeur-miope, Don Marzio resta figura schematica, che funziona semmai – più suggestivamente – quale capro espiatorio di un’intera comunità, colta in termini critici, che non risparmiano nessuno, e tanto meno il caffettiere Ridolfo.

Accostiamoci con attenzione all’inizio della commedia. Atto primo, scena prima. Inizia a parlare il protagonista, Ridolfo: «Animo, figliuoli, portatevi bene; siate lesti, e pronti a servir gli avventori, con civiltà, con proprietà: perché tante volte dipende il credito d’una bottega, dalla buona maniera di quei che servono». Fa tutto lui, l’animatore, il coordinatore, con giusto piglio paternalistico («figliuoli»). Il paternalismo tempera comandi e imperativi («portatevi bene; siate lesti»). Il moralismo di cui Ridolfo ha piene le tasche distilla la prima sentenza che chiude con forte impressività la battuta introduttiva: «tante volte dipende il credito d’una bottega, dalla buona maniera di quei che servono». […]

S’intende che Ridolfo è anche il portavoce di un mondo industrioso, fatto di dinamismo, di lavoro, di viaggi («A buon’ora vengono quelli che hanno da far viaggio, i lavoranti, i barcaruoli, i marinai, tutta gente che si alza di buon mattino»). C’è in lui una moralità di fondo sana, l’orgoglio di fare un mestiere pulito, socialmente utile, deontologicamente corretto (si rifiuta di fare il caffè con gli avanzi del giorno prima). Ma il punto interessante è che in Ridolfo emergono risvolti più ambigui. Trappola osserva che nella bisca «hanno fatto nottata», e Ridolfo commenta pungentemente: «Buono. A messer Pandolfo averà fruttato bene». Trappola compatisce Eugenio, attaccando il biscazziere Pandolfo («Quel povero signor Eugenio! Lo ha precipitato»), ma Ridolfo attacca la vittima di Pandolfo: «Guardate anche quello, che poco giudizio! Ha moglie, una giovane di garbo, e di proposito, e corre dietro a tutte le donne, e poi di più giuoca da disperato». E si noti che critica Eugenio non solo in quanto giocatore, frequentatore della bisca, ma anche in quanto donnaiolo: che è una aggiunta di maldicenza non pertinente e non richiesta (che è poi proprio la caratteristica della maldicenza). Si è sempre insistito sulla malignità di Don Marzio, ma non si è visto che c’è una malignità di Ridolfo. […]

Insomma, a ben ragionare, Ridolfo ha in sé una dose di moralità che nasconde poi, in definitiva, una solida pratica di calcolo. Pandolfo pretende un caffè gratis per i clienti che indirizza alla bottega, ma Ridolfo vuole i clienti e vuole anche il caffè pagato da Pandolfo. Preferisce la sua bottega del caffè alla bottega del gioco d’azzardo, ma unicamente per un attento bilanciamento dei vantaggi e degli svantaggi: «No, no, caffè, caffè; giacché col caffè si guadagna il cinquanta per cento, che cosa vogliamo cercar di più?». Il cinquanta per cento di profitto in un commercio pulito è meglio di un profitto maggiore in un commercio pericoloso, che può portare a finire in carcere.

Ma c’è di più. Non possiamo nemmeno fermarci a questa impressione di un Ridolfo pronto al dialogo quotidiano con Pandolfo per puro interesse professionale, al fine di garantirsi la clientela della bisca. Basta registrare la martellante sequela di punti interrogativi lanciati instancabilmente da Ridolfo, uno dopo l’altro, sin da 1, 2 («Giocano ancora in bottega? [...] Così presto? [...] A che giuoco? [...] E come va? [...] Vi siete divertito anche voi a giuocare? [...] Il signor Eugenio ha giuocato questa notte? [...] Quanto avrà perduto? […] Con chi giuoca? [...] Con quello sì fatto? [...] E con chi altri?»), per capire che c’è in Ridolfo una curiosità pungente e pettegola, che sta bene alla pari di quella di Don Marzio. Diciamola in modo svelto e un po’ provocatorio: Don Marzio è il maldicente, ma la sua maldicenza si alimenta alla bottega del caffè, che è lo spazio istituzionale che fa circolare ogni pettegolezzo. Don Marzio è solo il bouc émissaire di un clima e di una complicità collettivi.

Con la scena seguente, 1, 3, fa finalmente il suo ingresso Don Marzio, il protagonista cattivo. Ma basta sentirlo parlare in duetto con Ridolfo per comprendere una volta di più che c’è un maldicente più maldicente di Don Marzio. «Sarà in casa a carezzare la moglie. [...] Sempre moglie, sempre moglie», dice quest’ultimo di Eugenio, «bevendo il caffè», e Ridolfo in pronta risposta: «Altro che moglie! È stato tutta la notte a giuocare qui da messer Pandolfo». La bottega del caffè è davvero il luogo geometrico da cui si dipartono le indiscrezioni. Insieme al caffè Don Marzio beve le ultime notizie, ed è Ridolfo a propalarle, anche se naturalmente occulta la sua vocazione alla malignità sotto l’apparenza della riservatezza. Ha appena finito di regalare a Don Marzio la novità di Eugenio che ha passato la notte a giocare, che subito si mostra scandalizzato perché Don Marzio racconta di aver prestato dieci zecchini allo stesso Eugenio («Tutti gli uomini sono soggetti ad avere qualche volta bisogno; ma non hanno piacere poi che si sappia, e per questo sarà venuto da lei, sicuro che non dirà niente a nessuno»). Don Marzio non deve dire niente a nessuno di Eugenio, ma Ridolfo è libero di dire a Don Marzio di Eugenio. In verità Ridolfo ripete troppo spesso «Voglio badare a’ fatti miei» perché non si comprenda facilmente che la sua ossessione personale è di occuparsi troppo dei fatti degli altri.


(Roberto Alonge, Goldoni. Dalla commedia dell’arte al dramma borghese, Garzanti, Milano 2004)

COMPRENDERE IL PENSIERO CRITICO

1 Perché Don Marzio viene definito un voyeur?


2 Quali difetti di Ridolfo vengono notati da Alonge?

Il magnifico viaggio - volume 3
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento