Tua vivit imago - volume 3

L autore Lucano 30 non tu, Pyrrhe ferox, nec tantis cladibus auctor Poenus erit; nulli penitus descendere ferro contigit; alta sedent civilis vulnera dextrae. tu, o feroce Pirro, né il Cartaginese; a nessuno è toccato in sorte di penetrare così internamente con il ferro: le ferite inferte dalla guerra civile sono le più profonde e inguaribili. (trad. R. Badalì) non tu Poenus erit: Lucano fa riferimento a due dei più acerrimi nemici di Roma, Pirro re dell Epiro e Annibale, indicato per antonomasia* come Poenus, il Cartaginese . nulli contigit: intendi: nulli ( a nessuno ) contigit ( toccò , nel senso di toccare in sorte ) descendere ( di penetrare ) ferro ( con il ferro , cioè con le armi) penitus ( profondamente , sott. così, a tal punto ); cioè: nessun nemico esterno di Roma riuscì a infliggerle ferite così profonde come quelle inflittele dalle guerre civili. Analisi del testo La dichiarazione dell argomento dell opera I primi sette versi contengono la propositio, cioè l esposizione dell argomento del poema: soggetto del canto saranno le cognatae acies, la guerra tra consanguinei. La scelta di collocare il sostantivo bella in prima posizione, in apertura del poema, è considerata dalla critica una ripresa (con variazione e differente prospettiva ideologica) delle parole Arma virumque cano con le quali si apre l Eneide di Virgilio. L immagine di Roma che volge le armi contro le proprie viscere (v. 3) è introdotta da Lucano come chiave di lettura e interpretazione dell opera, accanto al tema del commune nefas (cui sono dedicati in particolare i vv. 5-7). L accorata condanna delle guerre civili Con il v. 8 si apre invece un apostrofe* del poeta al suo pubblico, ai concittadini e al popolo romano (o cives), con lo scopo di introdurre una lettura morale degli eventi e la netta condanna degli orrori della guerra civile e delle sue conseguenze. Nel verso compaiono anche due parole fortemente connotate da un punto di vista semantico: furor e licentia che descrivono la mancanza di controllo totale, la dismisura delle passioni e della violenza, l assenza di freni, la follia che domina lo scontro. Nei versi successivi (vv. 9-24) campeggia il motivo della grandezza di Roma che, dopo aver rivolto le armi verso popoli e nemici stranieri, è ora rivolta contro sé stessa, vittima del proprio potere e della volontà di dominio. L immagine con la quale si conclude questa prima parte del proemio assume i toni di una funesta profezia: le ferite aperte dalla guerra tra Cesare e Pompeo sono il presupposto per la rovina di Roma. Lo stile del brano (e un aneddoto medievale) Il passo mostra una concentrazione di accorgimenti e strategie retoriche che contraddistinguono, nella combinazione d insieme, lo stile di Lucano: iperbati* (per Emathios campos, v. 1; in sua viscera, v. 3), allitterazioni* (civilia campos, v. 1; populumque potentem, v. 2; potuit pelagique parari, v. 13), poliptoti* (pila pilis, v. 7), anche in enjambement* (signis / signa, vv. 6-7), inserimento di interrogative retoriche (vv. 8-12: Quis furor, o cives ) e di esclamazioni (vv. 13-20: Heu, quantum terrae ), che innalzano il tono e amplificano il pàthos della narrazione. Una curiosa notizia riguarda questo proemio: secondo una Vita di Lucano, contenuta in un codice del poema datato al X secolo, i primi sette versi di questo libro (dunque fino a pila minantia pilis) sarebbero stati aggiunti dallo zio di Lucano, Seneca, per levigare la durezza di quello che sarebbe stato, nella versione di Lucano, un inizio ex abrupto: Quis furor, o cives, quae tanta licentia ferri à Il proemio della Pharsalia in un manoscritto del XV-XVI secolo. 195

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Tua vivit imago - volume 3
Età imperiale