Tua vivit imago - volume 3

L autore Seneca Analisi del testo Una punizione commisurata al delitto Nel teatro antico, si incontra di frequente un personaggio che parla con sé stesso, e si interroga sul da farsi. Questa circostanza, però, è particolarmente drammatica: dipo non si interroga sull eventualità di compiere la sua vendetta (come Medea) o di soddisfare la sua empia passione (come Fedra), ma sulla modalità adeguata per punire sé stesso. Il responso è finalmente chiaro: il responsabile della morte del re Laio, e della peste scoppiata a Tebe, è lui. La punizione è necessaria, ma di qui il dilemma deve anche essere commisurata al delitto. E, poiché dipo ha commesso due delitti, parricidio e incesto, la morte non è sufficiente: ne espierebbe uno solo. La presentazione di dipo fatta dal nunzio è molto significativa: lo paragona a un leone furente, con la schiuma alla bocca. Una similitudine* che corrisponde perfettamente con quelle presentate da Seneca nel De ira come corrispondenti all aspetto dell irato (à T3): in questo caso, come è stato notato dagli studiosi, il comportamento di dipo corrisponde alla fase del parossismo dell ira, quello in cui l irato si rivolge contro sé stesso. Il re fa un elenco di possibili pene di morte (uccisione di spada, con il fuoco o le pietre, con le belve feroci), ma nessuna gli sembra adeguata: sarebbe sufficiente per il parricidio, ma non per l incesto; e inoltre, sarebbe un modo per fuggire al suo avverso destino. Per espiare la sua pena in modo adeguato dipo dovrebbe morire e rinascere più volte, in modo da essere più volte condannato. Poiché non è possibile, chiama a sé il suo ingegno, al fine di escogitare una lunga morte che lo renda estraneo ai vivi ma anche al regno dei morti. In questo, dipo si riallaccia alla maledizione scagliatagli dal fantasma di suo padre, che gli aveva augurato di essere escluso dal novero dei vivi e anche dagli Inferi. Egli vorrebbe trasformarsi in una sorta di morto vivente. Improvvisamente, si mette a piangere: di qui l idea di strapparsi gli occhi, che quasi sembrano farsi incontro alla loro sorte (anch essi, si potrebbe dire, stoicamente volonterosi nell accettare il destino). Una scena raccapricciante La scena è particolarmente ricca di dettagli raccapriccianti, dall incrudelire delle mani adunche come artigli nelle orbite ai fiotti di sangue che sostituiscono le lacrime: si tratta di un elemento caratteristico dell età neroniana, che si ritrova, per esempio, in Lucano. Evidente la distanza con il modello sofocleo, in cui dipo si limitava a pungersi gli occhi con la fibbia della cintura di Giocasta, dunque ascriveva in qualche modo a sua madre la propria punizione. In Seneca, invece, dipo fa tutto da sé, insistentemente. Si priva della luce, chiaro simbolo della vita, lasciandosi l esistenza: trova dunque un perfetto modo di realizzare una condizione di vita simile alla morte, una lunga morte . Terminata l opera, si considera soddisfatto, e prega gli dèi di risparmiare la sua città, dal momento che egli ha pagato la pena dovuta. Laboratorio sul testo COMPRENSIONE 1. Qual è la funzione che svolgono il nunzio e le sue parole? 2. Le parole del nunzio riportano un soliloquio nel quale appare il delirio del protagonista. Come si articola il discorso che dipo rivolge a sé stesso? 3. Perché dipo si definisce un «debitore insolvente ? Louis Bouwmeester interpreta dipo in una rappresentazione del 1899. Fotografia di Albert Greiner. 157

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Età imperiale