Promessi sposi

T7 LA MONACA DI MONZA La prima impressione, d insieme, è quella di un indubbia bellezza, ma sbattuta, sfiorita, e scomposta (r. 10). I tre participi, legati dall allitterazione, offrono un primo indizio sulla tormentata interiorità della donna. Convivono in lei aspetti in clamorosa contraddizione: è monaca ma anche complice di crimini gravissimi, come si vedrà. A ciò rimanda l insistenza sul contrasto cromatico, che privilegia gli opposti, ovvero il bianco e il nero, i due colori dell abito delle benedettine: candide la benda e il sottogola, pallidissime le gote e la fronte; bruni il velo, il saio, le sopracciglia e soprattutto gli occhi, esaminati con minuzia, così da notare come vi baleni ora la superbia, ora l odio, ora la disperazione, ora la solitudine. Anche nel portamento c è qualcosa di ambiguo, che si manifesta in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute (rr. 30-31). L ossimoro è la figura retorica che meglio si presta alla sua descrizione: lo si vede anche dalla maniera di vestire, nella quale si coglie qua e là qualcosa di studiato o di negletto (r. 32), come la vita attillata (r. 33) con cura, e la maliziosa ciocchettina (r. 34) di capelli neri che fa capolino su una tempia, in contrasto con la regola monacale. Come Lucia, anche il lettore resta esitante dinanzi a un ritratto così ricco di chiaroscuri, nel quale si specchia una condotta morale tutt altro che immacolata. Il dramma della «signora La monaca di Monza è stata costretta a prendere i voti dal principe padre che, per non disperdere il patrimonio di famiglia, preferisce destinare tutto al primogenito. In un lungo flashback nei capitoli IX e X Manzoni racconta le violenze psicologiche subite da Gertrude, educata fin da piccola nel monastero, costretta a giocare con bambole vestite da suora, nella speranza che si abitui a un idea che non la attira. Ma la volontà di una ragazza che non ha alcuna vocazione religiosa, agli occhi della nobiltà del XVII secolo, non conta nulla. Il suo tentativo di ribellarsi raccoglie solo stupore e disprezzo. Gertrude decide infine di piegarsi, ma una volta vestito l abito vive con disagio la condizione di monaca, abbandonandosi a cattiverie e capricci. Il convento resta per lei una prigione, come suggerisce la prima visione che ne abbiamo, ritta (r. 8) dietro due grosse e fitte grate di ferro (r. 7). Lo scellerato Egidio Sola, annoiata, infelice, Gertrude viene sedotta da uno scellerato (r. 39), Egidio, che la nota da una finestra e giunge a rivolgerle la parola. La sventurata rispose (rr. 45-46). Il narratore non aggiunge altro: preferisce celare dietro questa reticenza una storia torbida (raccontata nel Fermo e Lucia), che il lettore può facilmente immaginare da sé. Gertrude, va notato, è una sventurata, responsabile delle sue azioni riprovevoli, ma anche vittima di una situazione sociale ingiusta e perciò meritevole, se non di comprensione, almeno di pietà. Da crudele, nervosa, volubile sembra farsi tranquilla, carezzevole e manierosa (r. 53), per via della contentezza (r. 47) infusa dalla scoperta dell amore. Ma non è che un velo di ipocrisia, una mano di vernice passata sopra le antiche magagne (r. 56) per nascondere l accaduto. Presto tornano le bizze, stavolta accompagnate da un linguaggio sboccato, appreso alla cattiva scuola dell amante. La coscienza dei rischi corsi la porta a cercare di camuffare i malumori a forza di moine e buone parole (r. 62). Ma la verità è come l olio nell acqua: viene presto a galla. La monaca scomparsa Entrata in convento senza un autentica vocazione, la «signora scivola dal peccato al delitto. Una monaca, durante un litigio, si lascia sfuggire una parola di troppo, che lascia comprendere come sappia della tresca con Egidio. Di lì a poco misteriosamente scompare, senza un motivo apparente. Si fanno molte ricerche, e molte ipotesi: la più accreditata è che sia andata chissà dove, forse in Olanda, passando per un buco nel muro di cinta. Forse, commenta il narratore, se ne sarebbe potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato vicino (rr. 78-79). Non viene detto esplicitamente, ma è chiaro che la suora è stata uccisa e seppellita. Gertrude con le sorelle evita di dire la propria su un argomento per lei troppo delicato. La triplice anafora di Quante volte (rr. 88, 89, 92) sottolinea appunto l ossessione che la strazia, tramite il fantasma della morta che torna ogni giorno e ogni notte a ricordarle la sua colpa, con un insistenza infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe mai! (rr. 95-96). Ma ciò non impedirà alla «signora di favorire il rapimento di Lucia, per mano del suo amante Egidio. 93

Promessi sposi
Promessi sposi
Percorsi di lettura