Promessi sposi

T3 DA LODOVICO A CRISTOFORO Analisi Il ritratto di padre Cristoforo Il narratore si sofferma a ritrarre l aspetto fisico di fra Cristoforo, illuminando una serie di particolari che consentono presto al lettore di comprendere come si tratti di un religioso di tutt altro stampo rispetto al pavido don Abbondio. Intanto il movimento del capo, che lasciava trasparire un non so che d altero e d inquieto (rr. 3-4); poi la barba bianca e lunga (r. 5), che gli conferisce serietà e autorevolezza. Infine gli occhi, infossati, per lo più chinati a terra (r. 8), ma che a volte sfolgorano, mandando lampi, come cavalli che tendono a imbizzarrirsi, anche se saldamente tenuti a bada dal cocchiere. La similitudine rafforza l impressione di una personalità complessa, in cui la modestia e l umiltà debbono lottare per averla vinta su un carattere fiero e combattivo. La vergogna del mercante Il racconto della vita di Cristoforo, disteso in un ampio flashback, corrobora questa supposizione. Egli si chiamava un tempo Lodovico: era figlio di un agiato mercante, ritiratosi dai commerci per viver da signore (r. 16). Qui però erano iniziati i suoi guai, perché vendere e comprare nella società di stampo feudale spagnola passavano per attività volgari, da lasciare a gente di rango inferiore. Solo per le borghesie moderne il lavoro nobilita l uomo e l operosità è un valore del quale andare orgogliosi. Il padre di Lodovico ha accumulato fior di ricchezze con la fatica, l intelligenza, la tenacia, ma è disprezzato da chi vive di rendita grazie a terreni ereditati, nei quali sudano i contadini. Ecco dunque che prende a vergognarsi del suo stato sociale, a fare di tutto per lasciarlo nell ombra: è un ossessione, che trasforma ogni minimo episodio in un dramma. Come quando un commensale, invitato a un pranzo, dice di fare l orecchio del mercante (r. 30). un innocente modo di dire, ma il padrone di casa lo percepisce come un insulto bruciante. Lodovico protettor degli oppressi Dati questi presupposti, non sorprende che l ex mercante faccia educare il figlio nobilmente (r. 42), dandogli maestri di lettere e d esercizi cavallereschi (r. 44). Lodovico, che resta orfano già da ragazzo, adotta abitudini signorili ma è tenuto a distanza dai rampolli delle migliori famiglie locali. A questo atteggiamento reagisce ora con dispetto, ora con rammarico, ora con rancore. Finisce comunque con l allontanarsi, perché a voler esser della lor compagnia, come avrebbe desiderato, gli conveniva fare una nuova scuola di pazienza e di sommissione, star sempre al di sotto, e ingozzarne una, ogni momento (rr. 49-51). Gli sfoggi di magnificenza ai quali si abbandona non fanno che peggiorare la situazione, procurandogli inimicizie, invidie e ridicolo (r. 58). Il suo carattere, onesto da un lato, impulsivo dall altro, lo conduce a prendere sistematicamente in ogni conflitto le parti dei più deboli, e ad atteggiarsi a protettor degli oppressi (rr. 65-66), e vendicatore de torti (r. 66). La sete di giustizia, che da frate lo guiderà in ogni circostanza, è già presente: ma non è dettata tanto da una radicata convinzione etica quanto dal puntiglio, dal desiderio di distinguersi e acquistare valore agli occhi del ceto che lo respinge. I rischi che corre lo costringono a circondarsi di gentaglia: finisce così, paradossalmente, a dover vivere co birboni, per amore della giustizia (rr. 72-73). Ma la situazione è faticosa, e per uscirne comincia ad accarezzare il pensiero di farsi frate. Nulla più d una velleità, per il momento. Un duello sanguinoso Tutto precipita quando un giorno, per strada, si para dinanzi a Lodovico un nobile signore, altezzoso e sprezzante, che non intende cedergli il passo. I due camminano lungo un muro, che il giovane ha alla sua destra: secondo le regole cavalleresche dell epoca ha il diritto di procedere, ma l altro ritiene debba scostarsi in virtù della sua inferiorità sociale. La tensione monta, i rispettivi sgherri si preparano alla battaglia, i due protagonisti non arretrano di un passo, anzi ingaggiano uno scontro verbale che prelude all esplodere della violenza, commentato dal narratore con amara ironia. L orgoglio giunge a trasformare un sassolino in un masso. Il dramma si consuma in un attimo: quando il nobile trapassa il suo fedele servitore Cristoforo, che si è slanciato per salvargli la vita, Lodovico in preda al furore caccia la spada nel ventre (r. 132) dell avversario, riducendolo in fin di vita. Manzoni racconta la scena in modo rapido e asciutto: non c è niente di epico o glorioso nell uccidere. 67

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