Promessi sposi

T11 DON RODRIGO APPESTATO PESTE E LETTERATURA La peste è una malattia epidemica, che per millenni si è abbattuta sull umanità senza che si riuscisse a trovare un rimedio. Le popolazioni, terrorizzate, hanno cercato in vario modo di spiegarsi le cause di un flagello così terribile, in grado di presentarsi all improvviso e spopolare intere regioni. Non sorprende perciò constatare quanto spesso essa compaia nella letteratura occidentale, a partire dal primo libro dell Iliade, quando Apollo punisce i Greci scatenando il morbo. Molti scrittori si sono soffermati sulle conseguenze non solo fisiche ma anche morali della peste, mostrando come il suo dilagare modifichi i costumi sociali e allenti le norme etiche: è ciò che rileva in epoca medievale Giovanni Boccaccio (1313-1375) nel Decameron, aperto da una vivida descrizione dell epidemia che devastò Firenze alla metà del XIV secolo, e in epoca moderna Alessandro Manzoni nei capitoli dei Promessi sposi incentrati sul degrado, sulle violenze e sulla paranoica caccia all untore in cui sprofondò Milano nel Seicento. Sono pagine che colpirono profondamente lo scrittore americano Edgar Allan Poe (1809-1849), che pochi anni più tardi al tema dedicò due racconti suggestivi, La maschera della morte rossa e Re peste, dove sfoga il suo gusto per il grottesco macabro. Meno movimentato, ma ben più profondo, è il romanzo del francese Albert Camus (1913-1960) intitolato Miniatura quattrocentesca che raffigura dei malati di peste. La peste, cronaca di un immaginaria epidemia che si scatena nella città algerina di Orano. Il bacillo diventa nell occasione allegoria della guerra e del male insito nella natura umana, che nessun medicinale potrà mai debellare del tutto e per sempre. Da questo punto di vista, a raccogliere il testimone da Camus in anni recenti è stato lo scrittore portoghese José Saramago (1922-2010), che in Cecità ha immaginato il progressivo diffondersi di un morbo che toglie la vista agli uomini: efficace metafora di un pianeta trasformato in un arena dove ognuno combatte per sé, senza vedere il dolore degli altri. Luigi Vacca, La peste del 1630, 1810. 127

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