Giacomo Leopardi

I GRANDI TEMI

1 Tra Classicismo e Romanticismo: una poetica originale

Collocato al confine tra due epoche, tra la fine del secolo dei lumi e il dilagare impetuoso delle idee romantiche, Leopardi matura sin da giovane un orientamento poetico di grande originalità, in opposizione alle opinioni dominanti ma ponendosi in fecondo rapporto dialettico con esse. Con l’ardore di un appassionato militante, egli supera gli angusti confini del proprio ambiente per intervenire nell’accesa disputa tra Classicisti e Romantici e confrontarsi senza timidezza con i fautori dell’una e dell’altra posizione.

La critica al Romanticismo La sua riflessione è contenuta nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica , uno scritto inviato nel 1818 all’editore Stella in risposta alle Osservazioni sulla poesia moderna di uno dei massimi sostenitori italiani delle teorie romantiche, Ludovico di Breme. L’intervento di Leopardi non viene pubblicato, e quindi non può incidere sullo svolgimento del dibattito, ma costituisce in ogni caso un documento di grande spessore della sua elaborazione teorica, contenendo i presupposti della sua poetica e preparandone lo svolgimento. L’autore infatti esprime una posizione fortemente critica nei confronti del Romanticismo, accusato di voler spegnere ogni fantasia e cancellare la naturalezza degli stati d’animo dell’io, che invece si coglie nella poesia degli antichi. Mentre gli scrittori classici sapevano nutrirsi dell’immaginazione, suscitando illusioni e diletto grazie al rapporto armonioso che intercorreva tra essi e la natura, quelli moderni sono incapaci di conseguire questa finalità perché l’avanzare del progresso ha inaridito gli istinti e le facoltà creative.

Il conflitto tra poesia e ragione Secondo Leopardi, la poesia deve mantenere un rapporto essenziale con il mondo dei sensi, riattingere al fervore fantastico della condizione infantile e non cedere al dominio dell’intelletto e della logica, come a suo giudizio vorrebbero i Romantici. Essa non può rinunciare al benefico «delirio dell’immaginazione»: mentre ciò accadeva nella condizione primitiva, oggi è però assai difficile conservare un legame autentico con la natura, che viene esplorata in modo artificioso e fittizio. Da tale premessa deriva la critica degli eccessi, delle stravaganze e della ricerca dell’esotico e del patetico, di contro alla semplicità e alla spontaneità delle descrizioni naturali presenti nelle opere antiche.

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La poetica del vago e dell’indefinito D’altra parte rinunciare all’immaginazione comporta per l’uomo l’impossibilità di produrre effetti capaci di superare e compensare una realtà di dolore e infelicità. Come Leopardi mette in evidenza in molte pagine dello Zibaldone, l’aspirazione al piacere può essere concretizzata proprio dalle sensazioni e dalle impressioni stimolate dalla fantasia mediante le suggestioni magiche e indeterminate che solo la poesia può comunicare. Le immagini in grado di evocare e produrre tali processi psicologici saranno caratterizzate pertanto da vaghezza e infinitezza, suggeriranno un’impressione di lontananza remota nel tempo e nello spazio, evocheranno sensazioni (grazie alle «parole») ma non descriveranno in modo definito e circoscritto (come invece fanno i «termini»), riproporranno alla mente le parole, i luoghi e le cose del passato per mezzo della «rimembranza», cioè del ricordo, anch’esso sfumato, del passato.

L’immaginazione contro il vero Ben diversa, invece, appare a Leopardi la poetica romantica, ingabbiata dal canone del vero, che obbliga il letterato ad attenersi al resoconto dell’esperienza reale. Allo stesso tempo, mentre polemizza contro la ricerca dell’attualità e dell’oggettività, che si traduce, soprattutto in Italia, nei generi narrativi, il poeta censura anche la tendenza, frequente nella letteratura europea, a voler stupire e impressionare il pubblico con il gusto dell’orrido e dello strano, da cui nascono trame fantastiche e avventurose, orrori e misfatti. Né è possibile definire tale produzione «sentimentale», come fanno gli scrittori d’oltralpe: l’autentica poesia sentimentale è nella natura, che i poeti antichi imitavano, e nell’espressione dell’interiorità più profonda, mentre la sensibilità romantica è per Leopardi il risultato patetico di letture romanzesche infarcite di lacrime e sospiri, «un miscuglio o una filza di rimembranze di storie di novelle di massime di sentenze di detti di frasi lette o sentite».

L’originale posizione leopardiana La riproposizione dei classici come modello e il rifiuto di questo repertorio non implicano d’altro canto la difesa dell’immobile e mitologico classicismo settecentesco (quello di Vincenzo Monti, nei confronti del quale Leopardi non risparmia critiche), quanto piuttosto la volontà di contestare la falsa ispirazione di una poesia intellettualistica che non nasce come una spontanea e naturale esigenza dello spirito. Nei classici, infatti, Leopardi non vede esempi di fredda razionalità, bensì l’espressione degli impulsi più autentici dell’anima poetica.

Il suo quindi è un classicismo dalle coloriture romantiche, che privilegia la lirica come manifestazione immediata dell’io, sottolinea una tensione inesausta verso l’infinito, si interroga sul senso dell’esistenza, riflette sul tragico squilibrio tra l’ideale e il reale e rigetta l’imitazione acritica delle regole, dei temi e delle immagini del passato, prime fra tutte quelle della mitologia antica, quegli elementi cioè che attestano un’ispirazione libresca e artefatta.

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2 All’origine dell’infelicità

Scrivere di sé Quale fu il rapporto di Leopardi con l’ambiente familiare? In che modo esso influì sullo sviluppo del suo pensiero? E quali nessi si possono individuare tra la sua sofferenza fisica e la formazione della sua personalità e della sua visione dell’individuo? Per molto tempo si è creduto di poter accedere all’universo poetico di questo autore, rivelandone le origini e la prima ispirazione, solo rispondendo a queste tre domande. In effetti, è impossibile negare il carattere autobiografico della scrittura di Leopardi: i colori e i suoni del paesaggio recanatese, la solitudine nel «natio borgo selvaggio», l’eco delle esperienze realmente vissute, il ricordo delle sensazioni e delle immaginazioni giovanili rivivono nei suoi versi come testimoni, trasfigurati in poesia, del rapporto, tipicamente romantico, tra arte e vita.

Il rapporto problematico con i genitori Non c’è dubbio che anche la relazione con i genitori influì – e non poco – sulla sensibilità e sulla vita emotiva del giovane intellettuale. Il padre Monaldo, opprimente e dispotico, ma non privo di umanità, intrattenne con Giacomo fino all’ultimo, anche a distanza, un rapporto di scambio culturale e di affetto, costituendo una figura di profonda ambivalenza: egli è per Leopardi il simbolo, da un lato, di un «luogo protetto dell’affettività e della rassicurazione» e, dall’altro, di un «luogo dell’opposizione, dell’estraneità, della castrazione» (Bellucci). Decisamente più univoca è l’immagine della madre Adelaide, fredda e bigotta, troppo impegnata a curare l’amministrazione del patrimonio familiare per riservare al figlio tenerezza e calore materno.

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Dalla soggettività all’oggettività Tuttavia, sarebbe profondamente sbagliato risolvere e spiegare il percorso letterario e filosofico del poeta soltanto alla luce della sua difficile esistenza, poiché rischieremmo di semplificare il suo pensiero, negandogli il carattere universale che indubbiamente ha e riducendolo all’effetto di una situazione patologica o affettiva personale. Lo stesso Leopardi disapprovava senza mezze misure quanti ponevano in una relazione di causa ed effetto la sua infermità fisica con il suo pensiero, considerando dunque le sue «opinioni filosofiche come il risultato delle [sue] sofferenze particolari»: «Prima di morire protesterò contro questa invenzione della debolezza e della volgarità, e pregherò i miei lettori di impegnarsi a confutare le mie osservazioni e i miei ragionamenti piuttosto che a mettere in risalto le mie malattie» (dalla lettera al filologo svizzero Luigi de Sinner, 24 maggio 1832).

Il dolore personale come esperienza conoscitiva Piuttosto possiamo evidenziare come le angosce della sua vita, in primo luogo dovute alla malattia, abbiano rappresentato per lui una sorta di spinta propulsiva a indagare la condizione di tutti gli esseri viventi in modo radicale e mai consolatorio. Come ha scritto il critico e filologo Sebastiano Timpanaro, la sofferenza «dette al Leopardi una coscienza particolarmente precoce ed acuta del pesante condizionamento che la natura esercita sull’uomo, dell’infelicità dell’uomo come essere fisico». Pessimista non perché gobbo, dunque, ma perché capace di rendere il proprio dolore uno straordinario strumento di conoscenza, quasi (e paradossalmente) un privilegio per demistificare i facili miti con cui l’uomo conforta sé stesso e nasconde la realtà del proprio destino.

Classe di letteratura - Giacomo Leopardi
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