Elsa Morante

LA VITA

UNA VOCAZIONE LETTERARIA PRECOCE

Elsa Morante nasce a Roma nel 1912. Di estrazione piccolo-borghese, è figlia di Irma Poggibonsi, una maestra modenese di origini ebraiche, e di Augusto Morante, un istitutore di riformatorio il quale, pur non essendo il padre naturale (che è invece un impiegato siciliano), riconosce la bambina e le assegna il suo cognome.
Dopo aver completato gli studi liceali si distacca dalla famiglia e, per mantenersi, incomincia a collaborare a giornali e riviste pubblicando poesie e racconti. La sua vocazione letteraria è dunque precocisissima e, per quanto la sua vena creativa sia ancora immatura, mostra già alcuni caratteri personali quali il piacere dell’invenzione letteraria, il gusto dell’avventura, il bisogno di evasione.
Nel 1936 Elsa incontra ▶ Alberto Moravia, romanziere già molto noto, con il quale inizia una relazione amorosa da subito complicata. Nel 1938 la giovane scrive, rivolgendosi a un’amica: «A. [Alberto] mi vuole bene ma ogni tanto scappa via verso i più lontani paesi. Poi dice che bisogna finirla e poi mi prega di non finirla per carità. Ecc. Ora poi ho scoperto che io non so stare al mondo e da quel momento siamo diventati una specie di favola perché in qualunque luogo e in mezzo a qualunque consesso rispettabile non finisce mai di farmi delle prediche e di arrabbiarsi a vuoto perché io al mondo non ci saprò mai stare. Vorrei, non so come dirti, fargli sentire delle parole bellissime, una musica tanto potente da riuscire a spiegargli che cosa è la vera bellezza della vita e del mondo».
Nonostante le difficoltà, i due si sposano nel 1941 con rito cattolico; lo stesso anno viene pubblicata la prima raccolta di racconti della scrittrice, Il gioco segretocui segue, nel 1942, la fiaba Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina.

TRA SUCCESSI E INQUIETUDINI

A causa dell’occupazione nazista, dal settembre del 1943 Elsa e il marito, antifascista e di origini ebraiche, si nascondono in Ciociaria: da lì tornano a Roma, dopo la liberazione della città, nell’estate del 1944. Nella capitale, l’autrice riprende il romanzo sospeso durante la guerra: nel 1948 esce così Menzogna e sortilegiocui fa seguito, nel 1957, L’isola di Arturo, che ottiene il ▶ premio Strega.
Il successo letterario, però, non cancella dall’animo di Elsa Morante l’ombra di inquietudini e malinconie, che il grigio matrimonio con Alberto Moravia non fa che accentuare ulteriormente. La scrittrice rinfaccia al marito di non amarla abbastanza: «Dio che solitudine. Toccare il fondo della solitudine, sì, è la parola – scrive in una pagina del suo diario – Un viso che sia un viso d’amore che dimentichi se stesso che ti guardi per un attimo almeno dimenticando se stesso ti guardi con amore Dio mio dove dove?… almeno potessi dormire… In cambio dell’amore ho avuto grettezza e gelo. Che finisca presto tutto che finisca che finisca…».

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IL CARATTERE

LE PASSIONI DI UNA DONNA RIBELLE AL PROPRIO TEMPO

Raramente si può dire come nel caso di Elsa Morante che l’opera letteraria rispecchi il temperamento di chi l’ha prodotta. Raramente – si può aggiungere – si trovano casi come il suo di fedeltà assoluta e di dedizione sconfinata alla scrittura: come se raccontare storie rappresentasse l’unica soluzione per sopravvivere alle difficoltà della vita e agli orrori del Novecento. La vita non le regalerà mai quella bellezza che, invece, lei era convinta di poter ricavare tra le pagine di un libro, letto o scritto, o tra i recessi più segreti del sogno e dell’immaginazione.
Un temperamento ombroso
Le testimonianze di chi ha conosciuto Elsa Morante si assomigliano tutte: quella donna affascinante e dal contegno severo, eppure improvvisamente acceso dalle passioni, covava gli stessi segreti turbamenti che complicavano le contorte psicologie dei suoi personaggi. Selvatica come i gatti che tanto amava, non è mai guarita da quell’insoddisfazione del quotidiano che anzi, con il passare degli anni, si è tramutata in vera disperazione. Né faceva alcunché per celare il proprio malessere: silenziosa, tagliente, spesso accigliata, non conosceva mezze misure nel rapportarsi con il prossimo.
Amava o odiava, venendo ricambiata con la stessa moneta. Per questo, gli altri scrittori ne temevano il giudizio: le stroncature che Elsa Morante riservava ai suoi colleghi non conoscevano alcun bon ton diplomatico. D’altro canto, non si può dire che fosse estranea alla vita dei salotti, a cui partecipava suo malgrado per compiacere il molto più mondano Moravia: le fotografie dei rotocalchi illustrati la immortalavano spesso in compagni di scrittori, pittori, registi, in occasione di feste, ricevimenti, premiazioni.
La solitudine come antidoto all’ipocrisia
Nel frivolo mondo della cultura romana si sentiva come un’emarginata: il temperamento anarchico la rendeva come un pesce fuor d’acqua, una donna poco incline ai convenevoli e alle ipocrisie di quell’universo in cui regnava l’affettazione. In questa scontrosità c’era inoltre un elemento di innata polemica antropologica e culturale. Elsa Morante infatti definiva sprezzantemente «letterati» tutti coloro che si occupavano di letteratura per mestiere, i critici, gli artefici delle tendenze alla moda, gli autori alla ricerca del successo: arrivò ad affermare che il suo ideale di scrittore «di tutto si interessa, fuorché di letteratura».
Si capisce dunque perché Elsa, così sorda alle richieste dell’editoria e del mercato, del tutto indisponibile a ogni forma di compromesso, sia artistico sia umano, finisse per allontanarsi da un mondo che le stava stretto.

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LE OMBRE DI UNA MATURITÀ INFELICE

Gli anni Sessanta inaugurano un periodo difficile per la scrittrice: nel 1962, si suicida un giovane pittore americano, Bill Morrow, con il quale aveva intrecciato nei mesi precedenti un’appassionata relazione amorosa; subito dopo, si separa da Moravia. Compie lunghi viaggi all’estero, che non mitigano una sempre più cupa crisi esistenziale.
A differenza di molti letterati a lei contemporanei, Elsa Morante non trova conforto o entusiasmo nell’impegno politico. Segue con iniziale adesione le proteste dei giovani del Sessantotto, ma ben presto se ne distacca denunciandone il settarismo e la deriva ideologica: a un giovane intellettuale, Goffredo Fofi, e ai suoi amici militanti del gruppo della sinistra extraparlamentare “Lotta continua” rinfaccia di essere «tutti fascisti».
L’unica consolazione è la scrittura. Nel 1974 esce presso Einaudi il romanzo La Storia, accolto con entusiasmo dal pubblico ma recensito negativamente da molti critici, che vi scorgono una componente populistica e una visione fatalisticamente pessimista, lontana dai dettami marxisti e leninisti imperanti presso una parte del mondo intellettuale dell’epoca. Alle polemiche si accompagna un ulteriore incupimento dello stato d’animo di Elsa Morante, come si può vedere anche nella sua ultima opera, il romanzo Aracoeli, edito nel 1982. L’anno successivo tenta il suicidio, si salva, ma non riesce a superare lo stato di profonda depressione. Muore d’infarto in una clinica a Roma nel 1985.

I luoghi di Morante

1. Roma
Nasce nel 1912, da una famiglia piccolo-borghese. Qui compie gli studi liceali e inizia a collaborare con riviste e giornali.
Nel 1941 sposa lo scrittore Alberto Moravia.

2. Ciociaria
Lascia la capitale per sfuggire all’occupazione nazista, nel 1943.

3. Roma
Dopo la Liberazione torna a Roma e nel 1948 pubblica il suo primo romanzo, per il quale ottiene il premio Viareggio.
Il successo letterario non la salva dalla depressione: nel 1982 tenta il suicidio. Muore nel 1985.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi