CONSONANZE CONTEMPORANEE - Diego De Silva - Crescere ai margini

CONSONANZE CONTEMPORANEE

Diego De Silva

CRESCERE AI MARGINI

Personaggi per molti versi simili ai “ragazzi di vita” pasoliniani ricompaiono, quasi mezzo secolo dopo, ma più violenti e incattiviti, nel romanzo Certi bambini (2001) del napoletano Diego De Silva (n. 1964). I bambini ai quali si fa riferimento nel titolo sono Rosario e i suoi amici. Rosario ha undici anni, vive in un quartiere degradato di una grande città del Sud (Napoli, anche se non viene detto), e all’inizio del romanzo lo troviamo rievocare il furto di un motorino, mentre ora è intento ai preparativi per un’azione ben più grave: quello che sarà il suo primo omicidio, commissionatogli da un boss della malavita locale. Per il resto, la sua vita potrebbe essere uguale a quella dei suoi coetanei, a parte il fatto di dover assistere la nonna malata, una circostanza che lo rende precocemente maturo. Nei comportamenti di Rosario colpisce la compresenza di bontà, di delicatezza (l’attenzione alla nonna, un’attenzione tutto sommato affettuosa, anche se in apparenza leggermente infastidita) e di spregiudicatezza (il crimine efferato che si accinge a compiere).

Sotto il cavalcavia per il quartiere popolare nuovo c’è una breve galleria con una madonnina in fondo. È comoda, ma la gente la fa poco per via dei tossici. Quello è il posto. Rosario lo conosce benissimo, come potrebbe dimenticarlo. Era con Marcello e Vito1 quella volta. Lui e Marcello avevano cominciato subito a correre, Vito, che era finalmente riuscito a far saltare il lucchetto, aveva tentato di mettere in moto la vespa ma quella non si era accesa. Allora l’aveva buttata a terra e aveva cercato di scappare a piedi, ma era già tardi. Lo presero proprio nella galleria, e quasi lo ammazzarono.

Ancora oggi, se ci pensa, Rosario si contorce dalla collera. Lo sa che qualche volta va e qualche volta no. Ma questa cosa qui non gli è mai scesa. Tutti quei calci con gli stivali con la punta. Tutti quei pugni in faccia. Rosario vorrebbe tanto ricordarsi quegli stronzi,2 ma non li ha visti bene. In quel momento riusciva solo a correre. Correva con tutto quello che aveva, non soltanto con le gambe.

Non passa giorno senza che Rosario si sforzi di ritrovare un profilo, una voce, un dettaglio su cui azzardare una sagoma sufficientemente riconoscibile; ma tutto quello che vede è il grigio della strada che gli scompare e riappare davanti e la madonnina incassata nell’archetto sudicio alla fine del sottopassaggio.

Rosario pensa che Marcello potrebbe ricordarsi, di sicuro ha anche lui lo stesso veleno in corpo, ma sanno tutti e due di essere scappati mentre quelli massacravano il loro amico e così tengono il segreto.

Magari ne riconoscesse uno per strada. Magari la madonna gli facesse questa grazia.


Rosario si sveglia. Nella prima luce che gli abitua l’occhio attraverso le fessure dell’imposta, inizia a distinguere i contorni della stanza. C’è qualcosa di diverso in casa, lo capisce immediatamente. Ha voglia di cominciare, e i pensieri pulitissimi. Capisce un sacco di cose. Quello che è successo ieri, e anche l’altro ieri; quello che gli è successo un anno fa, quello che è successo agli altri. Si sente tutta una scienza. Non sa da dove viene, ma gli pare che è sua. Forse è così che funziona, si mette da parte un po’ alla volta e quella arriva tutta assieme.

E lui che si sentiva quasi male al pensiero di alzarsi stamattina... Più ancora del lavoro, lo spaventava il tempo libero davanti. Il risveglio, i passi della famiglia di sopra che andava e veniva dal bagno, il conto delle gocce per la nonna, l’aspetto innocuo delle cose.

Rosario mantiene la prudenza. Sa che la paura può tornare, e pigliarselo come niente.

A dispetto della voce che da dentro gli parla come un complice che vuol convincerti a scappare prima che torni il padrone di casa, Rosario si alza procurandosi uno sbadiglio, spalanca la finestra, solleva pazientemente la persiana, si appoggia coi gomiti sul davanzale e apre gli occhi sul cortile.

Il bianco cancellato del condominio di fronte, l’odore di famiglie con figli, le finestre mezze aperte da cui si indovinano gli adesivi dei formaggini sugli sportelli delle cucine, il pastore3 dell’ammezzato che abbaia in continuazione perché i padroni sono usciti e lo hanno lasciato di guardia sul balcone anche se nel balcone ci entra appena.

Due piani più sopra, il segretario della scuola elementare, Scannapieco, sta litigando con le sorelle. Maria, la più grande, manda bestemmie alla giornata. L’altra aspetta che Maria finisca di parlare, e poi ripete. Scannapieco esce sul balcone, brontola al volume giusto perché Maria distingua ogni parola e poi colpisce forte la ringhiera con la mano aperta. Il colpo scatena una vibrazione che si trasmette alla ringhiera del piano di sotto e lascia in attesa.

Scannapieco si ottura la bocca aperta con il pugno. Rosario riconosce ugualmente la bestemmia. Poi i suoi passi offesi che calpestano la casa in orizzontale. Poi la porta che sbatte. Poi gli stessi passi per le scale. [...]


– Sariù, – fa nonna Lilina dal letto mentre Rosario passa davanti alla sua stanza. Rosario affaccia la mano dentro e dà due colpetti all’infisso della porta.

– Tam-zò... – farfuglia nonna Lilina ancora rimbambita dal sonnifero mentre Rosario s’avvia verso la cucina. – Eeeh. Aspe’, – risponde Rosario tendendo l’orecchio all’indietro per capire se era una richiesta.

Nonna Lilina prende mezza Roipnol4 dopo cena però è fissata per Maurizio Costanzo5 e si sforza di stare sveglia fino alla fine della trasmissione, così poi la mattina se non sono almeno le undici-undici e mezza non capisce; verso le nove si alza, se ne va in giro per casa, fa un servizio, se le chiedi una cosa ti risponde, però dorme, non ti segue, s’inventa i termini, comincia a dire una parola e poi si scoccia di continuare.

Una parola che ripete sempre, con cui comincia le frasi e le scandisce, è Tam-zò. La pronuncia lasciando una sottilissima distanza fra le sillabe, dovuta allo sbattere delle consonanti che sembrano ribellarsi a quella combinazione irreale.

Rosario non ha mai capito esattamente che significa.

Probabilmente è un rumore che le serve. Vero è che la diceva pure quando stava bene. Per un po’ si era convinto che volesse intendere «N’zò», cioè «Non so» (anche se rimaneva il mistero sulla t; vada per la m, che poteva, unita al , essere presa, nella fluidità della pronuncia, per n; ma la t, soprattutto con quella a che seguiva, diventava praticamente intraducibile: era quel Tam tutto intero che sembrava una parola a sé, con un significato proprio); e non era una cattiva idea, a giudicare da come la nonna la usava per respirare tra le frasi. Poi ha visto che la ficcava ovunque, e si è abituato a interpretarla ogni volta, ascoltando la nonna torno torno e guardandole le mani e certi piccoli movimenti delle spalle.

– Sariù, – ripete la nonna. Rosario si arrende e torna indietro. Nonna Lilina è a letto, mezza seduta e mezza scoperta. La sottoveste si confonde con le lenzuola. È una di quelle vecchie che, pure da vestite, sanno sempre di borsa calda e di bicchiere d’acqua sul comodino. Tiene una gamba fuori, stesa. Ha ancora i calzini. Manda un odore dolciastro, di quelli che ci si abitua a sopportare.

– Che è?

– Oggi Vitina viene?

Rosario gira intorno al letto, solleva poco poco le coperte, le prende la gamba e gliela infila sotto. Poi le sistema il cuscino dietro la testa.

– Mò non fare che ti alzi e ti metti a passiare6 per casa. Prima mangi, poi ti pigli la medicina e ti stai.

Nonna Lilina, che le è entrato da una parte e le è uscito dall’altra, lo chiama con la mano, sul braccio. Bussa due volte.

– Oggi Vitina viene?

– La finisci o no? Non viene Vitina, non viene più Vitina. È morta, Vitina. Hai capito che è morta Vitina?

Quando nonna Lilina gli risponde parla ancora col boccone in bocca7 per via del Roipnol, ma butta fuori una frase lucidissima.

– Eh, aggio capito. È morta Vitina. Senza che strilli.

Rosario lascia cadere le spalle. Poi si volta a sollevare la serranda, e gli viene da ridere.

– Sariù.

– Eeeh, – risponde. A bassa voce, però.

– Che or’è?

– È presto. Statti.8


(Diego De Silva, Certi bambini, Mondadori, Milano 2001)

Educazione CIVICA – PER SCRIVERNE

Leggiamo a un certo punto nel romanzo di De Silva: «Rosario va a uccidere con la testa piena di ordini e una specie di ignoranza. Sente tutta la responsabilità delle istruzioni ma non del risultato che ne verrà. Si è addestrato all’ubbidienza fino a sviluppare come un disinteresse per quello che dovrà succedere, fino a pensare all’uomo che ammazzerà come a una conseguenza meccanica delle istruzioni, a un fatto, una cosa che lo riguarda solo in quanto prova morente dell’esecuzione». Il tema è quello della criminalità organizzata, che recluta le sue truppe anche tra giovani e giovanissimi. Che cosa fa lo Stato per contrastare questo fenomeno? Che cosa si potrebbe fare di più? Documentati e discutine in classe.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
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