Si tratta dei rischi che corre la lettura. Ci sono d’altra parte i rischi che corre chi
legge, soprattutto chi legge letteratura, filosofia e storia, in particolare quelle scritte
in Europa e in America negli ultimi due secoli. Da quando esiste qualcosa che chiamiamo
35 modernità – cioè la cultura dell’indipendenza individuale, del pensiero
critico, della libertà di coscienza, dell’uguaglianza e della giustizia sociali, dell’organizzazione
e della produttività, nonché del loro rifiuto politico e utopico – da
allora leggere fa correre dei rischi. È un atto socialmente, culturalmente ambiguo:
permette e incrementa la socializzazione degli individui, ma d’altra parte mette a
40 rischio la stessa volontà individuale di entrare nella rete dei vincoli sociali rinunciando
a una quota della propria autonomia e singolarità.
Società e individuo, autonomia personale e benessere pubblico sono due finalità
non sempre conciliabili, a volte antagonistiche, fra cui oscilla la nostra cultura.
Non possiamo fare a meno di dare il nostro assenso al bisogno di uguaglianza e
45 al bisogno di singolarità. Ma questo duplice assenso crea un conflitto di desideri e
di doveri, quando viviamo la nostra quotidianità personale e quando riflettiamo
politicamente e scegliamo dei governi.
Ma è rischiosa anche la lettura dei classici premoderni, quelli che precedono,
per intenderci, Shakespeare, Cervantes, Montaigne,1 che hanno reinventato generi
50 letterari fondamentali come la prosa di pensiero, l’epica, il teatro. I problemi e i
valori che caratterizzano la modernità occidentale, cioè libertà, creatività, rivolta e
angoscia, si manifestano con chiarezza soprattutto con l’inizio del Seicento e cresceranno
fino a travolgere distruttivamente la tradizione precedente, greco-latina e
medievale. Un lettore attento e libero commentatore di classici antichi come Montaigne
55 si dichiara provocatoriamente, con una sincerità forse enfatizzata, uomo
senza memoria. Cervantes celebra e mostra impossibile l’eroismo antico, ormai
nemico della realtà, del senso comune e follemente libresco. Shakespeare azzera e
rimescola comico e tragico, alto e basso, re e buffoni, principi e becchini, eroismo
e stanchezza malinconica.
60 Non per questo si è smesso di leggere i classici antichi: solo che la letteratura
moderna non li imita più come era avvenuto fra gli umanisti e i sapienti neo-antichi
fra Quattro e Cinquecento. Nel postmoderno New Age (una variante della postmodernità)
il neo-antico è tornato per suggerimento di Nietzsche, in quanto polemicamente
“inattuale”. Quindi anche leggere gli antichi può ridiventare rischioso,
65 almeno quando non è soltanto erudizione e archeologia: perché se è vero che per
leggere, capire e interessarsi a un autore c’è bisogno di Einfühlung, di immedesimazione,
anche se si tratta di Parmenide2 o Virgilio, è altrettanto vero che sentirsi contemporanei
dei sapienti presocratici o di un classico latino può indurre una certa
dose di follia anacronistica: almeno in Occidente, la cui storia ci ha spinto a elaborare
70 e idolatrare appunto l’idea di Storia come progresso e rivoluzionamento, superamento
incessante di condizioni precedenti e interruzione periodica di continuità.
Non siamo in India, dove molti aspetti della tradizione si sono perpetuati così a
lungo da aver inibito o reso poco interessante perfino la datazione precisa di certe
loro opere classiche. Noi siamo animati, ossessionati, intossicati dall’idea di storia
75 e dalla volontà di superare, demolire, scavalcare, dichiarare obsoleto il passato.
Leggere ciò che quel passato ci dice è perciò diventato pane esclusivo per storici e
filologi: viene studiato per essere tenuto a distanza, non per essere letto con immedesimazione.
Alcuni neometafisici novecenteschi e attuali, restaurando continuità
interrotte dalla nostra storia sociale, rischiano di mettersi in maschera, di recitare in
80 costumi antichi antiche verità, attualizzando categorie ascetiche e mistiche di cui,
nel presente, si riesce ad avere appena un’idea, in mancanza di pratiche e di esperienze
adeguate.
(Alfonso Berardinelli, I rischi della lettura, “La Domenica del Sole 24 Ore”, 27 novembre 2011)