Poi Nuto mi aveva detto: «Tu in Gaminella non mangiavi tutti i giorni…». Non
scherzava più, adesso. «Eppure non vi toccava spartire.13 Adesso il casotto l’ha
35 comprato la madama della Villa e viene a spartire i raccolti con la bilancia…14 Una
che ha già due cascine e il negozio».
Poi dicono i villani ci rubano, i villani sono gente perversa…
Da solo ero tornato su quella strada e pensavo alla vita che poteva aver fatto il
Valino in tanti anni – sessanta? forse nemmeno – che lavorava da mezzadro. Da
40 quante case era uscito, da quante terre, dopo averci dormito, mangiato, zappato
col sole e col freddo, caricando i mobili su un carretto non suo,15 per delle strade
dove non sarebbe ripassato. Sapevo ch’era vedovo, gli era morta la moglie nella
cascina prima di questa e dei figli i più vecchi erano morti in guerra – non gli restava
che un ragazzo e delle donne. Che altro faceva in questo mondo?
45 Dalla valle del Belbo16 non era mai uscito. Senza volerlo mi fermai sul sentiero
pensando che, se vent’anni prima non fossi scappato, quello era pure il mio destino.
Eppure io per il mondo, lui per quelle colline, avevamo girato girato, senza
mai poter dire: “Questi sono i miei beni. Su questa trave17 invecchierò. Morirò in
questa stanza”.
50 Arrivai sotto il fico, davanti all’aia, e rividi il sentiero tra i due rialti erbosi.
Adesso ci avevano messo delle pietre per scalini. Il salto18 dal prato alla strada era
come una volta – erba morta sotto il mucchio delle fascine, un cesto rotto, delle
mele marce e schiacciate.19 Sentii il cane di sopra scorrere lungo il filo di ferro.20
Quando sporsi la testa dagli scalini, il cane impazzì. Si buttò in piedi, ululava,
55 si strozzava. Seguitai a salire, e vidi il portico, il tronco del fico, un rastrello appoggiato
all’uscio – la stessa corda col nodo pendeva dal foro dell’uscio. La stessa
macchia di verderame21 intorno alla spalliera sul muro. La stessa pianta di rosmarino
sull’angolo della casa. È l’odore, l’odore della casa, della riva, di mele marce,
d’erba secca e di rosmarino.
60 Su una ruota stesa per terra era seduto un ragazzo, in camicino e calzoni strappati,
una sola bretella, e teneva una gamba divaricata, scostata in un modo innaturale.
Era un gioco quello? Mi guardò sotto il sole, aveva in mano una pelle di coniglio
secca, e chiudeva le palpebre magre per guadagnar tempo.
65 Io mi fermai, lui continuava a batter gli occhi; il cane urlava e strappava il filo.
Il ragazzo era scalzo, aveva una crosta sotto l’occhio, le spalle ossute e non muoveva
la gamba. D’improvviso mi ricordai quante volte avevo avuto i geloni, le croste
sulle ginocchia, le labbra spaccate. Mi ricordai che mettevo gli zoccoli soltanto
d’inverno. Mi ricordai come la mamma Virgilia strappava la pelle ai conigli dopo
70 averli sventrati. Mossi la mano e feci un cenno.
Sull’uscio era comparsa una donna, due donne, sottane nere, una decrepita e
storta, una più giovane e ossuta, mi guardavano. Gridai che cercavo il Valino. Non
c’era, era andato su per la riva.
La meno vecchia gridò al cane e prese il filo e lo tirò, che rantolava.22 Il ragazzo
75 si alzò dalla ruota – si alzò a fatica, puntando la gamba per traverso, fu in piedi
e strisciò verso il cane. Era zoppo, rachitico, vidi il ginocchio non più grosso del
suo braccio, si tirava il piede dietro come un peso. Avrà avuto dieci anni, e vederlo
su quell’aia era come vedere me stesso. Al punto che diedi un’occhiata sotto il
portico, dietro il fico, alle melighe,23 se comparissero Angiolina e Giulia.24 Chi sa
80 dov’erano?
Se in qualche luogo erano vive, dovevano avere l’età di quella donna.
Calmato il cane, non mi dissero niente e mi guardavano.