T13 - La casa dei doganieri

T13

La casa dei doganieri

Le occasioni

In questo componimento, pubblicato per la prima volta nel 1930 sull’“Italia letteraria”, Montale si rivolge a una donna ormai lontana, identificabile con Arletta (Anna degli Uberti), musa della sua prima stagione poetica. A custodire il ricordo della casa dei doganieri il poeta è rimasto solo, in un presente fatto di dubbi, angosce, frustrazione. Nel componimento l’antitesi fra ieri e oggi appare insuperabile.


METRO 4 strofe alternate di 5 e 6 versi, per lo più endecasillabi. Irregolare e fitto il tessuto delle rime.
Tu non ricordi la casa dei ▶ doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
5      e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
10    Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
15    Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.

Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
20    ancora sulla balza che scoscende…).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

La casa dei doganieri dà il titolo a una breve raccolta poetica apparsa nel 1932, dunque a metà dell’intervallo tra gli Ossi di seppia (1925) e Le occasioni (1939), di cui è una delle poesie meno recenti. Si tratta in effetti di un componimento cruciale nel passaggio fra la prima e la seconda raccolta. I consueti scenari liguri rimangono, ma spostati sul piano di un recupero memoriale. Nel contempo il tu vocativo non rimanda più a un interlocutore generico o al poeta medesimo, ma a una donna assente, secondo una consolidata tradizione lirica.

Come in Leopardi, anche in Montale l’illusione amorosa si configura come mezzo per evadere da una realtà sentita come fonte di infelicità. Lo sforzo di tenere in vita un ricordo struggente (cui la poesia accenna soltanto) fa da argine allo spaesamento del poeta e ne attenua la solitudine. L’immagine della casa desolata, battuta dai venti, è la trasparente rappresentazione di uno stato d’animo. Come un tempo i doganieri, anche il poeta scruta il mare, dove lontana si accende a tratti la luce di una petroliera (vv. 17-18). Sta qui il varco (v. 19), la speranza di una fuga dal corso normale dell’esistenza? Oppure il riscatto risiede nel preservare gli affetti dall’erosione del tempo che tutto consuma? Il finale non scioglie il dubbio. Montale riprende il tema della ricerca di una smagliatura nel tessuto della quotidianità, presente già negli Ossi di seppia (la «maglia rotta nella rete» della lirica In limine), ma lo lega a doppio filo a una figura femminile. Di qui a poco, all’orizzonte comparirà il profilo angelico e duro di Clizia.

Le scelte stilistiche

La frase Tu non ricordi, ripetuta tre volte (nella prima, nella seconda e nella quarta strofa), fa da motivo portante della poesia e suggerisce un confronto con il più celebre appello in versi a una giovinetta scomparsa nel fiore degli anni: «Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale». Leopardi, però, fa una domanda retorica: la risposta è negativa in quanto Silvia è morta; invece Montale, in qualche modo, fornisce già la risposta, a indicare la lucida certezza della perdita. L’appello si risolve nella constatazione di una solitudine irrimediabile. Lo smarrimento del poeta si riflette nei suoi correlativi oggettivi: la bussola […] impazzita (v. 8), il calcolo dei dadi che più non torna (v. 9), la banderuola / affumicata (vv. 13-14) che sul tetto gira senza pietà (v. 14).

Il dubbio esistenziale si traduce nell’antitesi fra dinamismo e immobilità che percorre la poesia senza che uno dei due termini prevalga decisamente sull’altro. Dunque troviamo da una parte verbi come attende (v. 3), sostò (v. 5), resti (v. 15), che indicano la ferma resistenza del poeta, dall’altra verbi quali entrò (v. 4), sferza (v. 6), va (v. 8), s’allontana (v. 12), gira (v. 14), Ripullula (v. 19), che esprimono i violenti attacchi del tempo o, come gli ultimi due, il suo ritorno sempre uguale.

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VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 La casa dei doganieri è un luogo reale o immaginario? Da che cosa lo si capisce?

2 Qual è l’atteggiamento verso il passato della donna a cui il poeta si rivolge?

ANALIZZARE

3 Individua nel testo le rime e gli enjambement: quali considerazioni sul ritmo del componimento puoi fare?

4 Quale significato assume l’immagine dell’io lirico che tiene in mano il capo del filo?

5 Che cosa significa, a tuo parere, la metafora dello sciame ai vv. 4-5?

INTERPRETARE

6 Il componimento è ricchissimo di immagini evocative. Prova a spiegare il significato delle seguenti:
a Libeccio sferza da anni le vecchie mura;
b la bussola va impazzita all’avventura;
c il calcolo dei dadi più non torna;
d un filo s’addipana;
e la banderuola affumicata gira senza pietà.

7 Il varco è qui? (v. 19). Prova a fornire una spiegazione del significato di questa domanda.

8 Qual è l’atteggiamento del poeta nei confronti del passato e dei ricordi che lo legano a esso? Motiva le tue considerazioni con riferimenti a questo testo e a Non recidere, forbice, quel volto ( T12, p. 298).

SCRIVERE PER...

RACCONTARE
9 Seguendo la traccia della poesia, immagina un dialogo tra Arletta ed Eugenio, scrivendo 5 battute per ciascuno.

La bufera e altro

La bufera e altro esce nel 1956 presso l’editore Neri Pozza e viene ristampata l’anno successivo da Mondadori. La raccolta si compone di 58 poesie, scritte fra il 1939 e il 1956 e disposte in 7 sezioni: Finisterre (già pubblicata nel 1943 in Svizzera), Dopo, IntermezzoFlashes e dediche, Silvae, Madrigali privati, Conclusioni provvisorie. Per la prima volta Montale sceglie di disporre i componimenti in ordine di composizione (sia pure con diverse eccezioni). Ciò favorisce il riconoscimento di una progressione narrativa: non a caso l’autore in origine aveva pensato al titolo Romanzo, prima di orientarsi su un rimando alla «bufera» della guerra.

Gli argomenti Il pessimismo, che si fa sgomento dinanzi agli orrori bellici e ai lutti personali, trova di nuovo un argine in una figura femminile, ispirata a Irma Brandeis, ora chiamata Clizia. Essa nell’arco della raccolta conosce un’evoluzione, che la sublima in «visiting angel», cioè angelo visitatore, portatore di luce in una realtà travagliata. Per una breve fase, che coincide con il periodo di impegno politico seguito alla Liberazione, il poeta spera che i valori da lei incarnati (la poesia, la cultura, la civiltà umanistica) possano costituire una guida per tutti gli uomini. Presto tuttavia l’illusione cade e il mito torna ad assumere un carattere puramente personale, proiettato in interni bui e claustrofobici, che nelle ultime poesie rivestono un’evidenza preponderante.
Fatti salvi alcuni momenti legati al tema del viaggio, dall’Europa al Medio Oriente, sui paesaggi si proietta un’ombra infernale e funebre. Si affollano i ricordi dei familiari perduti, le preoccupazioni per chi rimane, la delusione verso il contesto politico e sociale del dopoguerra. Tuttavia la poesia, come l’anguilla celebrata in una lirica, può sopravvivere anche nascosta, nel fango di una realtà inospitale. E l’amore può conoscere declinazioni più concrete, come testimoniano i versi dedicati a un’altra donna, la Volpe (la poetessa Maria Luisa Spaziani).

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Lo stile La bufera e altro è la raccolta più oscura di Montale. La pressione di una realtà minacciosa condensa gli oggetti in simboli difficili da decodificare. Le scelte stilistiche e metriche esplorano direzioni differenti, aprendosi a soluzioni plurilinguistiche, che accolgono anche espressioni prosastiche e termini colloquiali. Rimane tuttavia sempre accurato il sistema di rimandi fonici e frequente il ricorso alle figure retoriche, che mantengono il registro quasi sempre su toni alti.

T14

A mia madre

La bufera e altro

La poesia è scritta poco dopo la morte della madre, nell’autunno del 1942: per il poeta, essa resterà viva innanzitutto nella memoria di chi l’ha amata, al di là di ogni ipotesi di salvezza religiosa, nella quale comunque la madre credeva fermamente.


METRO Endecasillabi con rime e assonanze, disposti in 2 strofe rispettivamente di 7 e 6 versi (il v. 6 è “a gradino”), seguite da un distico.
Ora che il coro delle coturnici
ti ▶ blandisce nel sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
5      dei viventi più infuria, se tu cedi
come un’ombra la spoglia
                                                 (e non è un’ombra,
o gentile, non è ciò che tu credi)

chi ti proteggerà? La strada sgombra
non è una via, solo due mani, un volto,
10    quelle mani, quel volto, il gesto d’una
vita che non è un’altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell’eliso
folto d’anime e voci in cui tu vivi;

e la domanda che tu lasci è anch’essa
15    un gesto tuo, all’ombra delle croci.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

A mia madre viene pubblicata nel 1943 in coda a Finisterre, a significare la conclusione di una stagione della vita. Nella Bufera e altro, dove infatti la sezione successiva alla prima si intitola Dopo, essa invece funge da snodo fra il tema della guerra e la riflessione sugli affetti perduti, che occupa la seconda parte della raccolta. Non si tratta di ripiegarsi in consolanti ricordi familiari, ma di cercare nel privato valori in grado di sopravvivere alla tempesta bellica, come dimostrano anche i versi dedicati al padre in Voce giunta con le folaghe (uccelli acquatici che fanno pendant con le coturnici della madre): «Memoria / non è peccato fin che giova. Dopo / è letargo di talpe, abiezione / che funghisce [ammuffisce] su sé…».
Montale affronta il lutto senza nulla concedere al patetico. In questo si distingue dai tanti poeti del Novecento che hanno ricordato la madre con accenti devoti e commossi. Giuseppe Ungaretti, per esempio, nella Madre (1930, T13, p. 165) immagina di essere da lei condotto per mano dinanzi a Dio: «E solo quando m’avrà perdonato, / ti verrà desiderio di guardarmi». Umberto Saba nella Preghiera alla madre scioglie una vibrante invocazione, in cui sogna di raggiungerla e riprendere il colloquio interrotto – prima che dalla morte di lei – dal sopravvenire dell’età adulta. A sé sta infine il caso di Giorgio Caproni, che nel Seme del piangere (1958) dedica un intero ciclo poetico, colmo di affetto e rimpianti, alla figura della madre Annina, rievocata nei suoi anni giovanili.

Il poeta guarda con rispetto alle convinzioni cattoliche della madre, ma non le condivide. Per lui il corpo non è un’ombra (v. 6), ma tutto ciò che abbiamo, il fragile scrigno della nostra individualità. L’unica forma di sopravvivenza ultraterrena è quella garantita dal ricordo. È il labile, e perciò tanto più prezioso filo della memoria a unire i vivi e i morti: non stupisce allora, nel distico finale, il richiamo a Foscolo, l’autore che più aveva insistito, in prospettiva laica, sull’inestimabile valore del ricordo di coloro che non sono più. La domanda si fa gesto infatti all’ombra delle croci (vv. 14-15), riecheggiando la famosa interrogativa retorica che apre i Sepolcri: «All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne / confortate di pianto è forse il sonno / della morte men duro?».

Le scelte stilistiche

Montale evita il rischio dell’enfasi, insito nel genere della poesia “in morte” di una persona cara, adottando un lessico piano e colloquiale (fatto salvo qualche termine aulico come clivi, v. 3, o eliso, v. 12), al quale corrisponde però una sintassi particolarmente studiata. Tipico della sua maniera è il ritardo della principale, che nel primo periodo compare soltanto in forma di apodosi interrogativa al v. 8, dopo due temporali, la protasi, un inciso fra parentesi e uno stacco di strofa che tuttavia non interrompe la frase. Il lettore è così costretto, per decodificare correttamente, a ricominciare dall’inizio, comprendendo quanto strettamente i due Ora che e or che (vv. 1 e 4) leghino dolore privato e tragedia storica.
Nel secondo periodo prevale invece la paratassi, che connota la decisa opzione del poeta in favore dell’unicità irripetibile dell’esperienza terrena, espressa tramite un’anafora rinforzata dal fatto che nel testo gli aggettivi dimostrativi sono evidenziati con un diverso carattere tipografico: solo due mani, un volto, / quelle mani, quel volto (vv. 9-10).

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Quali paesaggi fanno da sfondo alla poesia?

ANALIZZARE

2 Individua gli enjambement presenti nel componimento e spiegane la funzione espressiva.

INTERPRETARE

3 In che senso A mia madre può dirsi una poesia “foscoliana”?

4 In che cosa consiste la domanda (v. 14) della madre e in che senso essa si fa gesto (v. 15)?

SCRIVERE PER...

ESPORRE
5 Tratta il tema della presenza dei defunti e della loro memoria nella poesia italiana dell’Ottocento e del Novecento (da Foscolo a Pascoli, da Ungaretti a Montale) in un testo espositivo di circa 40 righe.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi