2 - Memoria e autobiografia

2 Memoria e autobiografia

Le occasioni della memoria La riflessione sul vissuto personale percorre tutta l’opera poetica di Montale, dove il carico dei ricordi acquista, di raccolta in raccolta, un peso crescente. Negli Ossi di seppia il confronto diretto con una desolante condizione esistenziale, trasposta nel riarso paesaggio ligure, non impedisce alla memoria di riportare in superficie immagini di volti amati, come accade in Cigola la carrucola del pozzo (▶ T7, p. 284). Il ricordo, che deforma una realtà irrevocabile, è destinato a svanire rapidamente: già nel primo Montale è presente una visione del tempo come spietato agente distruttivo, destinata ad assumere in seguito un ruolo decisivo.
Nelle Occasioni il distacco temporale e spaziale dalla donna amata favorisce l’emergere di una ricca vena memoriale. Il poeta recupera i rari momenti di gioia, ormai lontani, e riconosce in essi le tracce di altre vite possibili, diverse, libere dalla stanca inerzia del presente. Le folate dei ricordi investono continuamente una quotidianità grigia, illuminandola con segnali e messaggi cifrati che soltanto il poeta riconosce: attimi in cui si profila la possibilità di un «varco», di un’evasione verso un altrove felice, prima che l’inesorabile fluire del tempo sommerga la speranza, lasciando il posto allo smarrimento e alla solitudine. Finisterre prosegue nella medesima direzione, proiettando questa oscillazione di stati d’animo sullo sfondo oscuro della guerra, rischiarato a tratti dalla comparsa della donna sotto forma di angelo visitatore.

L’ambivalenza del lutto Oltre al motivo amoroso, a suscitare i ricordi nei versi di Montale è l’esigenza di elaborare il lutto, processo che non cede mai alla tentazione del patetico. Gli affetti più intimi sopravvivono nella memoria di chi rimane e li conserva gelosamente. I defunti sono così sottratti all’oblio ma anche alla pace della morte: «larve rimorse dai ricordi umani» vengono definiti in una poesia di Ossi di seppia. Viceversa, in Notizie dall’Amiata, componimento che chiude Le occasioni, i fantasmi di chi è mancato assediano la mente, dando vita a uno dei più intensi esempi di climax della nostra poesia novecentesca: «Oh il gocciolìo che scende a rilento / dalle casipole buie, il tempo fatto acqua, / il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento, / il vento che tarda, la morte, la morte che vive!».

Il logorio del tempo Per Montale non c’è nulla di pacificante, e neppure di idillico o di nostalgico, nel recupero dei ricordi. Ciò vale anche per le ultime raccolte (da Satura in poi), nelle quali acquista uno spazio dominante la meditazione sul tempo, che continua a rappresentare un fattore ostile, associato allo scorrere dell’acqua: «I grandi fiumi sono l’immagine del tempo, / crudele e impersonale. Osservati da un ponte / dichiarano la loro nullità inesorabile» (L’Arno a Rovezzano).
A differenza di tanti poeti del Novecento, Montale non mitizza l’infanzia, trasformandola in una pura età dell’innocenza, ma la cristallizza in qualche flash improvviso, senza rinunciare all’ironia. È ciò che accade, per esempio, in Quel che resta (se resta), dove evoca la figura di una vecchia serva analfabeta, eludendo la commozione con uno scarto nel registro comico: «se entrasse ora nella mia stanza / avrebbe centotrent’anni e griderei di spavento». Frequentissimi sono invece i richiami alla Mosca, la compagna di una vita, morta nel 1963: il poeta riannoda il filo del dialogo con la moglie scomparsa inanellando una serie di aneddoti domestici e quotidiani, nei quali la malinconia è spesso temperata dall’umorismo o comunque da un tono di dolce rievocazione.

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3 La negatività della Storia

«La condizione umana» In un’intervista rilasciata nel 1951, Montale afferma: «L’argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell’avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l’essenziale col transitorio. Non sono stato indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent’anni; ma non posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto totalmente diverso. […] Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia».
Gli Ossi di seppia in effetti si concentrano quasi esclusivamente sul «male di vivere» del poeta, inserendo nella riflessione su un presente indecifrabile e oppressivo solo rari richiami al vissuto personale e collettivo. È sorprendente come, tra questi, la Grande guerra resti relegata a un ruolo del tutto secondario. In ciò Montale si differenzia dagli altri poeti chiamati alle armi, che diedero grande risalto all’esperienza al fronte, fossero ufficiali come Filippo Tommaso Marinetti, Clemente Rebora, Piero Jahier o semplici fanti come Giuseppe Ungaretti, che proprio nelle trincee scoprì la sua vena lirica più autentica.

L’antifascismo Come precisa il poeta nell’intervista citata, ciò non implica un disinteresse nei confronti della realtà politica e sociale circostante. Negli anni in cui il fascismo è al potere, egli non teme di porsi pubblicamente all’opposizione. Mentre Ungaretti ottiene da Mussolini una prefazione alla ristampa del suo Porto sepolto, Montale firma il manifesto promosso da Benedetto Croce per la libertà della cultura, fa pubblicare gli Ossi di seppia a Piero Gobetti, uno dei più fieri avversari del regime, e non prende mai la tessera del Partito fascista, a costo di perdere l’impiego al Gabinetto Vieusseux (come accade nel 1938).
Nelle Occasioni, uscite di lì a poco, il doloroso ripiegamento sul privato è dovuto anche a questo contesto, che per evidenti ragioni di opportunità non può essere nominato se non in alcune allusioni cifrate (per esempio alla «fede feroce» nazista, in Dora Markus). Le stesse motivazioni costringono Montale, nel 1943, a pubblicare Finisterre in Svizzera, dove l’epigrafe tratta dal poeta barocco francese Théodore-Agrippa d’Aubigné, che sfida i governanti («le loro mani servono soltanto a perseguitarci»), non avrebbe creato problemi.

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La «nuova palta» Rimasta così a lungo sotto la superficie, la grande Storia può finalmente emergere nella Bufera e altro, dove entra in un complesso rapporto dialettico con l’ipotesi di un amore salvifico, incarnato dalla figura di Clizia, come si vedrà più avanti. Per la prima volta compaiono riferimenti politici espliciti: al nazismo nella Primavera hitleriana, alle purghe ordinate da Stalin nel Sogno del prigioniero.
In Piccolo testamento Montale rivendica con orgoglio le proprie scelte di campo, sempre lontane dalle ideologie dominanti, ieri il fascismo, oggi quelle dei partiti di massa come la Democrazia cristiana e il Partito comunista, accomunate ai suoi occhi dalla necessità di una fede cieca e ottusa. Il dopoguerra delude le aspettative del poeta, che in Satura lamenta il dilagare di una «nuova palta» (cioè una nuova melma, un nuovo pantano) in cui si affonda senza scampo. Se un tempo era almeno possibile chiamarsi fuori, ora «l’onore e l’indecenza stretti in un solo patto / fondarono l’ossimoro permanente», scrive Montale in una polemica Lettera a Malvolio, ovvero a Pier Paolo Pasolini, che gli pare il rappresentante perfetto di una nuova classe intellettuale, astuta e opportunista, alla quale egli si sente estraneo.

La Storia «magistra di niente» Nell’ultima stagione poetica si moltiplicano le riflessioni di Montale sul senso complessivo da assegnare all’eredità del passato, che viene investita da uno scetticismo radicaleintriso di sarcasmo. Una poesia di Satura intitolata appunto La storia riassume efficacemente questo atteggiamento, sciorinando una lunga serie di anafore tese a negare che gli eventi abbiano un corso guidato dalla Provvidenza, o almeno un qualche significato riconoscibile.
La Storia non premia né punisce secondo un criterio, «non è magistra / di niente che ci riguardi»: non è cioè in grado di dare alcun insegnamento alle generazioni future, con un ribaltamento del detto latino historia magistra vitae. Questa considerazione ha peraltro dei risvolti positivi: se la Storia «non è poi / la devastante ruspa che si dice», se nella sua rete non mancano i buchi, allora è possibile scoprire un nascondiglio dove trovare una propria dimensione, come raccomanda un altro detto antico, il lathe biosas (“vivi nascosto”) del filosofo greco Epicuro.

4 Le figure femminili

Due diverse tipologie Buona parte dell’opera poetica di Montale si costituisce come lirica nella sua accezione tradizionale, ovvero come saluto, preghiera, invocazione del poeta a una donna, per lo più assente. Nel corso del tempo le sembianze di questo fantasma femminile conoscono cambiamenti radicali, ma tendono comunque a raggrupparsi in due grandi tipologie: nelle prime raccolte prevale la figura della donna angelicata, lontana, perduta, che indica un percorso esistenziale al poeta, il quale però è incapace di seguirla nonostante i suoi slanci.
A partire da Satura si fa largo invece un’immagine di donna amica e complice, oltre che guida. In entrambi i casi Montale la descrive in forma di sineddoche o di metonimiaanziché fornirne ritratti particolareggiati, cioè, si concentra su alcuni elementi della fisionomia (in particolare gli occhi, la fronte, i capelli) o su alcuni oggetti caricati di affettività (gli orecchini, un braccialetto di giada, un topolino bianco d’avorio, un bulldog di legno, gli occhiali di tartaruga e così via). Spesso il nome delle ispiratrici è taciuto, modificato oppure celato in riferimenti a miti, animali, cose.

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Esterina e Arletta Gli Ossi di seppia sono forse la raccolta in cui il tema della donna appare meno trattato, per l’importanza preponderante che qui assume il confronto fra l’io e il mondo circostante. Tuttavia non mancano apparizioni significative, come quella di Esterina, che in Falsetto (▶ T2, p. 268) si tuffa in mare sotto lo sguardo del poeta, e soprattutto quella di Arletta, figura di giovane morta anzitempo, nella quale Montale riprende e aggiorna il modello della Silvia leopardiana.

Clizia e le controfigure del poeta Più articolato e vario è il panorama dei profili femminili riconoscibili nelle OccasioniOltre ad Arletta, che torna nella Casa dei doganieri, si incontrano donne irrequiete come Liuba, Gerti, Dora Markus, tutte di origine mitteleuropea e perciò emblemi di un’Europa ormai irriconoscibile, dopo la Grande guerra e l’avvento delle dittature. In loro il poeta proietta le proprie angosce, facendone delle sue controfigure.
Di genere del tutto diverso è invece il trattamento poetico di Irma Brandeis, che si staglia al centro della raccolta e occupa un ruolo privilegiato anche nella Bufera e altro. La sua figura subisce un progressivo processo di sublimazione, fino ad assumere la forma di un angelo redentore: non a caso il nome che la designa, Clizia, è quello di una ninfa innamorata di Apollo, dio del Sole, e da questi trasformata in girasole.
La donna è ormai rientrata in America ed è quindi fisicamente lontana dal poeta; il suo profilo si riduce perciò a pochi tratti, ricordati o suggeriti appunto dalla trasposizione mitica e “metafisica”: la fronte incorniciata dalla frangia, lo sguardo abbagliante, le ali che riparano il poeta dalle bufere personali e storiche, un angelo, insomma, al quale vengono affidati compiti via via più impegnativi. Clizia diventa così una sorta di nuova Beatricechiamata non solo a dare un conforto al suo protetto e a mediare per lui con la divinità, ma a farsi emblema della capacità di resistere al male, in nome dei valori più alti della civiltà umanistica, come accade nella Primavera hitleriana.

La Volpe e la Mosca Alla fine degli anni Quaranta nella poetica di Montale si affaccia un nuovo personaggio, dai tratti più decisamente terrestri e sensuali: la Volpe, ovvero la poetessa Maria Luisa Spaziani, alla quale sono indirizzati i Madrigali privati, ultima sezione della Bufera e altro. In Satura compare infine la Mosca, vale a dire la moglie Drusilla Tanzi, alla quale – dopo la sua morte nel 1963 – Montale dedica le due serie di Xenia e, nelle opere successive, innumerevoli versi, in cui ricorda con ironia e affetto episodi minimi della loro vita in comune, rimpiangendo «il suo radar di pipistrello», ovvero l’invidiabile capacità di orientarsi e riconoscere – lei quasi cieca – gli inganni della realtà.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi