CRITICI A CONFRONTO - Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini - Una poesia difficile, dal realismo solo apparente

CRITICI A CONFRONTO

Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini

Una poesia difficile, dal realismo solo apparente

Per molto tempo al nome di Umberto Saba è stato affiancato l’aggettivo “facile”. È stato Pier Paolo Pasolini (1922-1975), a metà degli anni Cinquanta, a smentire quell’interpretazione che ne faceva uno dei prosecutori e “volgarizzatori” del lirismo petrarchesco: la poesia di Saba è tutt’altro che facile, perché indaga nel profondo quella rima “cuore-amore” che niente ha di superficiale o scontato. Pasolini lo definì «il più difficile dei poeti contemporanei», proprio per la sua capacità di tracciare corrispondenze e significati laddove gli altri vedono solo “quotidianità”.
A sua volta, in un contributo scritto a vent’anni dalla morte di Saba, il poeta e critico Franco Fortini (1917-1994) individuava nella poesia dell’autore triestino un’inquietudine e un senso di mancata pacificazione che non gli hanno impedito però una piena adesione alla vita e alla realtà. Il particolare realismo di Saba va inteso proprio come una scissione dolorosa fra queste due attitudini. Dunque quella “difficoltà” di cui parlava Pasolini ha a che fare con quanto di non risolto persiste nella personalità, umana e letteraria, del poeta triestino.

Pier Paolo Pasolini

Saba è il più difficile dei poeti contemporanei: anche se in un volume di divulgazione la voce «Saba» risulterebbe caratterizzata da una sorta di facilità di lettura, nei confronti della oscurità ermetica, che per un trentennio lo ha isolato, umiliandolo, ai suoi margini, di cui potrebbe essere geograficamente simbolo quell’area marginale della letteratura italiana che è la civiltà letteraria triestina. [...] Così Saba ha patito per anni l’ingiustizia di essere considerato da molti suoi coetanei e da molti giovani delle generazioni seguenti, formatisi in città più centrali, dove l’ultima poetica1 era necessaria e naturale, come un poeta anacronistico, in certi suoi aspetti addirittura intollerabilmente remoto: a dissiparsi in una poesia di contenuto immediato e privo di suggestioni «europee»,2 a esprimersi attraverso una sintassi discorsiva, a collimare la durata della sua ispirazione – sempre così crudamente sentimentale – con una durata metrica che pareva talvolta assurdamente scolastica, ottocentesca. In realtà questa sua facilità, urtante per chi avesse formato il proprio gusto durante il primo dopoguerra, era solo apparente: quando al più semplice esame linguistico non c’è parola in Saba – la più comune, il «cuore-amore» della rima famosa – che non risulti intimamente violentata, o almeno, nei momenti in cui meno chiara e necessaria fosse la violenza espressiva, malconcia e strappata al suo abituale significato, al suo abituale tono semantico. [...] E allora bisognerà dire che è la psicologia di Saba che è difficile: che lo sono i suoi sentimenti (nel senso che sono complicati, ambivalenti, prodotti di un pathos interiore di quasi impossibile enunciazione [...]), e che quindi sono difficili anche i suoi più facili modi del lessico e della sintassi.

(Pier Paolo Pasolini, Saba: per i suoi settant’anni (1954), in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. I, Mondadori, Milano 1999)

Franco Fortini

Si capisce che il «realismo» di Saba abbia potuto indurre non pochi lettori nell’illusione di una «salute» da opporre ai morbi del novecentismo e dell’Ermetismo. Crediamo invece che un senso di questa poesia sia, al contrario, quello di rivelare (e compiangere) una radicale infermità. Non è il «male di vivere» di Montale, né la «morte» di Ungaretti, dimensioni tragiche della coscienza; bensì una scissione dolorosa del soggetto, una condizione cronica e diffusa che può essere blandita dalla parola non però risolta né elusa. Nelle poesie di Saba la realtà urbana e civica non è soltanto una rete di evocazioni: è una difesa. Come per nessun altro poeta del nostro tempo, la tribù umana esiste per lui e occupa tutto intero l’orizzonte. Il «mistero» è reale, ma non è costitutivo dell’intera realtà – come per Pascoli e Gozzano – bensì solo dell’uomo: è il mistero familiare, il nesso edipico. Ne viene che alla nostalgia provata dal poeta per una società più stabile e più protetta («nel divino per me milleottocento») faccia eco nel lettore della seconda metà del XX secolo un’altra nostalgia, quella per il modo sabiano di intendere l’esistenza. Tale eco è frequente nei critici che dichiarano Saba massimo protagonista poetico del Novecento: pur nella sua «infermità» umanissima egli viene inteso, come si è detto, quale poeta di un mondo riconoscibile, un mondo di «tutti i giorni». [...]
Saba non va letto solo nei suoi momenti [...] altissimi; ma in tutta la sua opera di poeta. L’impossibilità di separare le composizioni più riuscite da quelle meno riuscite, a differenza di quanto avviene con altri poeti del nostro secolo, è una prova della complessa coerenza del mondo sabiano. Un modo unitario di vedere il mondo ci ricompone continuamente quel che continuamente si presenta «in due scisso». Attraverso il Canzoniere appare chiaro un intento che oltrepassa la forma ottocentesca della raccolta di liriche verso la narrazione complessiva di un destino, di un ambiente, di una città. Ma, nello stesso tempo, l’autore non manca di farci sentire continuamente, mediante il ricorso a suoi propri luoghi comuni, che tutto quello di cui ci sta parlando è ordinato attraverso la responsabilità e la dignità poetica. In questo senso il Canzoniere è un’opera di poesia eccezionale e solitaria, una sorta di supremo omaggio all’interpretazione lirica della vita quotidiana; e, nello stesso tempo, la sua compattezza e solidità formale risultano determinate e delimitate da quella che dobbiamo chiamare la cultura sabiana, il suo orizzonte storico. L’amichevole concretezza e icasticità di quel mondo non sarebbe concepibile senza un quadro di riferimenti e di idee generali sull’uomo e la società, sull’amore e la morte, sulla città e la solitudine che, sebbene più di quello di molti suoi contemporanei disposto ad apporti non tradizionali, ci appare, nella sostanza, privo di latitudine e persino di dubbi fecondi. [...] Saba va assunto intero, con il suo profilo talvolta sgradevole, con la sua parte oscura, debole, nevrotica e perfino malsana.

(Franco Fortini, I poeti del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1977)

PER SCRIVERNE
A partire dalle interpretazioni della produzione di Saba offerte da Pasolini e Fortini, ma anche sulla base dei testi che hai letto di questo poeta, spiega che cosa nasconde il realismo di Saba e dove si situano le componenti di mistero nella sua poesia. Nell’evidenziare le contraddizioni tra apparenza (la presunta facilità dei suoi versi) e realtà profonda (i significati nascosti), utilizza opportuni connettivi di valore avversativo (tuttavia, eppure, da una parte... dall’altra ecc.) ed esplicativo (infatti, per esempioin altre parole ecc.).

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
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