Uscita nel 1919 con il titolo Allegria di naufragi, quindi nel 1931 e in un’edizione
definitiva nel 1942, L’allegria comprende versi composti tra il 1914 e il 1919, cioè
tutto il periodo della Prima guerra mondiale e in più l’anno che precedette il conflitto
e quello immediatamente successivo.
5 Come gli Ossi di Montale, anche questo primo libro di Ungaretti rappresenta un
archetipo del lirismo novecentesco. La sua maniera è stata influentissima, più influente
della pur fortunata maniera degli Ossi. E ciò è chiaramente dovuto alla sua
maggiore imitabilità. Ancora oggi tra gli aspiranti poeti di scarse letture – complice
la scuola – la Poesia, quella con la maiuscola appunto, si identifica con lo stile
10 dell’Ungaretti esordiente: breve, asciutto, allusivo. Ungaretti ha diffuso con il suo
esempio la rassicurante opinione che per fare una buona poesia bastino appena
due parole (penso, inutile dirlo, a quella provocazione che è «Mattina»1); che, al
poeta, infrangere le leggi della grammatica, abbozzare appena le immagini, risultare
incomprensibile o approssimativo non sia solo consentito, ma necessario.
15 Ma chi legge così L’allegria, come un prototipo di comoda stringatezza, fraintende
le sue ragioni profonde, e rovina se stesso e il modello. La scrittura di Ungaretti,
certo, ha i suoi vezzi; spesso cade nell’autocompiacimento; forse ha una fiducia
eccessiva nella capacità di suggestione del poco che mette sulla pagina. Quella
versificazione sincopata, quelle metafore intraducibili («sorsi d’ombra», «germogli
20 di desiderio», «bara di freschezza» ecc.), quella soppressione della punteggiatura,
diciamocelo, hanno fatto il loro tempo; se imitati, sono addirittura brutti
ormai, pur continuando ad avere il loro effetto. Il libro ha le sue bellezze e le sue
astuzie altrove, nella sua postura mentale prima che linguistica, che coincide con
un’audace innovazione, una vera e propria svolta nell’esercizio della poesia: la
25 pratica del «diario poetico». Non si tratta semplicemente di poesia d’occasione in
forma sperimentale. O meglio: il verso tratta sì l’occasione, ma la trasforma in un
momento assoluto; per una presunzione quasi religiosa del poeta, il fuggevole e
l’atemporale vengono a coincidere. Scrivo oggi di oggi ma la mia scrittura parla da
una sorta di sospensione aoristica,2 come l’epigrafe di una tomba.
30 L’allegria, di poesia in poesia, come appunto un diario (e davvero molti di questi
versi furono annotati su foglietti, giorno per giorno, mentre il poeta era in trincea),
registra le traversie di un io sofferente, che oscilla tra individuazione e dissoluzione;
ovvero tra nascita e morte (anche la morte degli altri, come il compagno
massacrato o l’amico arabo suicida); tra storia ed eternità; tra memoria del paese
35 lasciato, l’Egitto dell’infanzia, che affiora sfuocato e impalpabile in varie liriche, e
la condizione della guerra di trincea nell’Italia ritrovata. Da questa alternanza tra
positivo e negativo, tramite cui l’io si assicura una tenace, per quanto dinamica,
identità, discende l’immaginario duplice del libro. Da una parte, l’individuazione
si declina in sogni di palingenesi («Godere un solo / minuto di vita / iniziale», in
40 «Girovago»; o «Il naufragio concedimi Signore / di quel giovane giorno al primo
grido», in «Preghiera», la lirica di chiusura); nel motivo del risveglio; nel culto
delle generazioni passate o della famiglia. Dall’altra, il pensiero della dissoluzione
genera fantasie notturne, il motivo opposto del sonno o del dormiveglia, il sentimento
della più minacciosa provvisorietà («Soldati») o quello di appartenenza
45 all’immensità dell’universo, che ricorda Leopardi e in effetti proprio da lui deriva.
(Nicola Gardini, Per una biblioteca indispensabile. Cinquantadue classici della letteratura italiana, Einaudi, Torino 2011)