CRITICI A CONFRONTO - Andrea Zanzotto e Niva Lorenzini - Alle radici dell’“uomo impetrato”: operazione esistenziale o letteraria?

CRITICI A CONFRONTO

Andrea Zanzotto e Niva Lorenzini

Alle radici dell’“uomo impetrato”: operazione esistenziale o letteraria?

L’esperienza della guerra ha condotto Ungaretti a vivere una condizione umana ridotta a essenzialità “pietrosa”, da esprimere con un linguaggio privo di superflui abbellimenti retorici. Tale scelta può essere però diversamente interpretata: nella riflessione del poeta contemporaneo, Andrea Zanzotto (1921-2011), emerge la valenza esistenziale dell’opzione ungarettiana, mentre la critica Niva Lorenzini (n. 1945) evidenzia le ascendenze letterarie di stampo orfico (o simbolista), nel senso della volontà del poeta di sfidare il silenzio in virtù di una fede assoluta nel valore della parola, capace di ricondurre alla totalità dell’essere.

Andrea Zanzotto
Non la guerra dei re e dei generali e dei vati fu quella che Ungaretti mise in chiaro, scoprì, ma quella del «soldato sconosciuto» (è un’espressione di Jahier,1 altra figura grandissima che soffrì tutto dei campi di battaglia), anzi dell’uomo diventato nella trincea qualcosa di peggio dell’insetto in cui si trasforma il protagonista della Metamorfosi di Kafka,2 diventato mero accadimento, insensatezza pura: in cui l’insensatezza di ogni guerra si rivela senza possibilità di travestimenti retorici. È da tutti riconosciuto che la parte più rilevante nella «scoperta» e definizione di alcune posizioni fondamentali della nostra poesia del Novecento l’ebbe Ungaretti: egli fu il pioniere che si spinse su un terreno su cui gli altri lo raggiunsero più tardi. Da Ungaretti tra il ’16 e il ’19 venne proposta per la prima volta in Italia forse la tematica più caratteristica di quello che poi doveva precisarsi come «esistenzialismo».3 Al di là di un fatto letterario, nella scoperta ungarettiana dell’uomo «carsico», si ha la prima rivelazione, in un trauma radicale, di quella realtà che poi anche in Montale e in altri poeti e filosofi riappare come «impietrato soffrire senza nome».4 L’uomopietra, l’uomo-accadimento, il pianto che è «questa pie tra»,5 già appaiono nel primo Ungaretti come fatti validi a definire una nuova e durissima epoca umana: il poeta si riconosce come proiettato nell’essere, «abbandonato nell’infinito», «uomo di pena» naufragato nel «porto sepolto». E appunto il tema del naufragio, anche se poteva riecheggiare suggestioni di altro tono, specie simbolistiche, in Ungaretti comincia già a prendere quella colorazione, quella particolare consistenza che avrà poi nell’elaborazione poetica e teoretica dell’esistenzialismo. Ancora, è il linguaggio ungarettiano, quel linguaggio all’orlo dell’afasia,6 balbettamento di parola comune e insieme scansione lapidaria e «pura», che invera il tema esistenziale proprio in questa luce. […] È questa la parola della pietra, di quella pietra che è l’uomo, che è l’essere: il peso, le implicazioni semantiche dei termini, il modo del loro annunciarsi, per cui ogni frammento sembra strappato con immane fatica al silenzio definitivo, alla morte, introducono al tono di un’epoca dalle più cupe prospettive, in cui ancora oggi si trova.

(Andrea Zanzotto, Fantasie di avvicinamento, Mondadori, Milano 1991)

Niva Lorenzini
Stendendo col Porto sepolto il proprio diario di guerra, [Ungaretti] non cessa di credere alla poetica della parola (pur scavata nell’abisso, colta nell’esasperazione del grido). Al punto che essere poeti, nei decenni a venire e sino quasi ai nostri anni, vorrà dire, nell’immaginario nazional popolare, assumere un’ispirata posa, optando per l’inusuale, la pronuncia forte, ispirata, che finisce per concludersi in sé, autosufficiente e salvifica. Eppure il Novecento non potrà sottrarsi al confronto col Porto sepolto né con la prima Allegria, che segnano una esplicita rottura con una continuità lirica sino a quel punto discussa, ribaltata, ma mai infranta in modi così dirompenti.
Non è nuova la volontà, ribadita negli interventi critici di Ungaretti, di stendere una biografia in versi, secondo una linea che ha addirittura nel Petrarca l’autorevole iniziatore («Il carattere, il primo carattere di tutta la mia attività è autobiografico», si legge in Ungaretti commenta Ungaretti, subito prima dell’affermazione: «La mia poesia è nata in realtà in trincea. [...] La guerra improvvisamente mi rivela il linguaggio»).
È però nuova l’intensità con cui il vissuto si trasforma in esperienza di scrittura. Qui sta il punto: Ungaretti vuole accreditare il bisogno di «dire in fretta perché il tempo poteva mancare», dirlo con «poche parole», che avessero «un’intensità straordinaria di significato». Ed è nuova, allora, non la «vita in versi», che era già dei Crepuscolari e vociani, ma questo sfidare matericamente il silenzio, questo costringere l’attimo a prendere corpo, sostituendo alla vibrazione della materia tanto praticata dai Futuristi una nudità che ne mettesse ancor più in evidenza l’aspetto fenomenico, il battito del respiro, in una «necessità di farsi intimo agli elementi» che non escludeva uno «stupore contemplativo».
Un espressionismo radicale, dunque, che veicola però insieme un valore orfico: il transeunte non si esaurisce in sé, ma contiene un’ansia di assoluto che lo carica dei motivi della perdita da risarcire, dell’assenza da colmare. Di «tensione vitale sorpresa di sé stessa, sbalordita di poter assistere» parlava non a caso Fortini1 e aggiungeva che di fronte alla violenza del verso (quella ottenuta tecnicamente con pause di silenzio che valgono come «veri e propri atti di intimidazione» nei confronti del lettore, imponendosi all’ascolto con un’evidenza teatrale) sta il riconoscersi del poeta-soldato «una docile fibra / dell’universo» (I fiumi).

(Niva Lorenzini, La poesia italiana del Novecento, il Mulino, Bologna 2005)
PER SCRIVERNE

Vita e letteratura sono le due componenti perennemente in dialogo in ogni operazione poetica di rilievo. Gli scrittori, cioè, tendono sempre – in qualche misura – a trasfigurare in termini letterari il loro vissuto. Ciò accade anche nei casi in cui una componente tematica di origine autobiografica sia molto meno presente di quanto accada nella poesia di Ungaretti. Servendoti delle analisi ai testi letti e utilizzando gli spunti tratti dal dibattito critico qui proposto, argomenta in che modo, nel caso della poesia ungarettiana, la nuda materia biografica trovi una specifica e originale espressione letteraria.

Classe di letteratura - volume 3B
Classe di letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi