L’epistolario

L’epistolario

Trattare privatamente argomenti pubblici La concezione della vita e dello studio tenacemente seguita da Galileo in tutta la sua esistenza lo porta a considerare il confronto, lo scambio e la condivisione come aspetti imprescindibili della sua attività scientifica e intellettuale. La riflessione non costituisce per lui un’attività puramente speculativa da vivere in solitudine: essa può raggiungere risultati concreti, determinando conseguenze importanti, solo se presuppone la presenza di un “altro”, di un destinatario – individuale o collettivo che sia – da sollecitare e con cui, se necessario, entrare in conflitto. Al di là di ragioni squisitamente biografiche, è questo aspetto culturale a spiegare la ricchezza dell’epistolario di Galileo, che raccoglie lettere indirizzate ad amici, ai familiari e a moltissime personalità della cultura, della politica e della religione.

Le “lettere copernicane” Da questi testi – in cui vengono trattati anche temi personali, ma soprattutto argomenti scientifici, filosofici e politici – emergono, oltre alla personalità dell’autore, la sua abilità retorica e la sua perizia nell’arte di scrivere lettere. Di particolare rilevanza sono le cosiddette “lettere copernicane”, 4 epistole scritte tra il 1613 e il 1615, nelle quali Galileo cerca di convincere alcuni esponenti del mondo scientifico, politico e religioso della validità delle proprie teorie e della loro conciliabilità con le verità di fede.

T3

L’invenzione del cannocchiale

Lettera a Leonardo Donato, Padova, 24 agosto 1609

In questa lettera lo scienziato presenta il telescopio al doge di Venezia, chiedendogli il permesso di commercializzarlo.

Ser.mo Principe,1

Galileo Galilei, humilissimo servo della Ser.à V.a,2 invigilando3 assiduamente et 

con ogni spirito4 per potere non solamente satisfare al carico5 che tiene della 

ettura6 di Matematica nello Studio di Padova, ma con qualche utile et segnalato 

5      trovato7 apportare straordinario benefizio alla S.tà V.a, compare al presente avanti 

di quella8 con un nuovo artifizio di un occhiale cavato dalle più recondite speculazioni 

di prospettiva,9 il quale conduce gl’oggetti visibili così vicini all’occhio, 

et così grandi et distinti gli10 rappresenta, che quello che è distante, v. g.,11 nove 

miglia, ci apparisce come se fusse lontano un miglio solo: cosa che per ogni 

10    negozio12 et impresa marittima o terrestre può esser di giovamento inestimabile; 

potendosi in mare in assai maggior lontananza del consueto scoprire legni et vele 

dell’inimico,13 sì che per due hore et più di tempo possiamo prima scoprir lui che 

egli scuopra noi, et distinguendo il numero et la qualità de i vasselli,14 giudicare 

le sue forze, per allestirsi alla caccia,15 al combattimento o alla fuga; et parimente 

15    potendosi in terra scoprire dentro alle piazze,16 alloggiamenti et ripari dell’inimico 

da qualche eminenza17 benché lontana, o pure anco nella campagna aperta vedere

et particolarmente distinguere, con nostro grandissimo vantaggio, ogni suo moto 

et preparamento; oltre a molte altre utilità, chiaramente note ad ogni persona 

giudiziosa.18 Et pertanto, giudicandolo degno di essere dalla S. V.19 ricevuto et come 

20    utilissimo stimato, ha determinato20 di presentarglielo et sotto l’arbitrio suo 

rimettere il determinare circa questo ritrovamento,21 ordinando et provedendo che, 

secondo che parerà oportuno alla sua prudenza,22 ne siano o non siano fabricati.

Et questo presenta con ogni affetto il detto Galilei alla S. V., come uno de i 

frutti della scienza che esso, già 17 anni compiti,23 professa nello Studio di Padova, 

25    con speranza di essere alla giornata per presentargliene de i maggiori, se piacerà 

al S. Dio et alla S. V. che egli, secondo il suo desiderio, passi il resto della vita sua 

al servizio di V. S.24 Alla quale humilmente si inchina, et da Sua Divina Maestà gli 

prega25 il colmo di tutte le felicità.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

In questa breve epistola, Galileo mette in luce i vantaggi di carattere strategico della sua invenzione, che consistono nella possibilità di scorgere un nemico prima di essere visti da lui, in modo da disporre un’adeguata difesa o da programmare un attacco. Per lo scienziato è di fondamentale importanza riuscire a convincere il doge della bontà del suo ritrovato: se il cannocchiale riscuoterà successo, dalla sua commercializzazione Galileo otterrà grandi vantaggi materiali.

Sebbene affermi che il cannocchiale sia stato cavato dalle più recondite speculazioni di prospettiva (rr. 6-7), in realtà Galileo non disponeva di grandi conoscenze in questo campo. Aveva sentito parlare di quello strano oggetto e aveva capito che per costruirlo avrebbe dovuto fissare una lente concava e una convessa alle due estremità di un tubo, ma non sapeva bene come. Tuttavia, provando e riprovando, alla fine era riuscito a ottenere il risultato sperato.

Anche in questo caso l’esperienza diretta e il metodo sperimentale sono alla base delle conquiste galileiane, fondate su tentativi, errori e nuovi tentativi, guidati da osservazioni empiriche e teorie elaborate in base al calcolo e all’esperienza. Da questo momento in poi la scienza inizia a valersi in modo determinante dell’ausilio della tecnica per rivestire un ruolo nuovo: non più quello di rivelare astruse verità o di disputare intorno alle opinioni degli auctores, ma quello di investigare direttamente la realtà sensibile.

Vale la pena, infine, rilevare un dato inerente la biografia galileiana: parlando di sé in terza persona, lo scienziato si descrive come un devoto servitore della Repubblica di Venezia, disposto a rimanere alle sue dipendenze per tutta la vita. Ma le cose non andranno così: di lì a poco egli tornerà in Toscana.
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Le scelte stilistiche

Galileo si mostra molto ossequioso e sottomesso all’autorità del doge: usa uno stile alto dal punto di vista lessicale (invigilando, r. 2, in luogo di “vigilando”; eminenza, r. 16, in luogo di “altura” ecc.), ma allo stesso tempo umile quanto ai toni, ben lontani da quelli polemici presenti in molti suoi scritti, fino a sfiorare – così diremmo in base alla nostra sensibilità – il servilismo (humilissimo servo, r. 2; humilmente si inchina, r. 27). Tuttavia sarebbe un errore vedere in tali accenti l’espressione di un carattere fiaccato dalla sudditanza nei confronti del potere, poiché essi rispondono, in realtà, a una precisa convenzione di genere, quella dello stile epistolare.

Il genere epistolare, del resto, esalta felicemente l’originalità della prosa di Galileo, sempre efficace, vivace ed espressiva. Poiché all’autore sta a cuore convincere il doge dell’utilità pratica della sua invenzione, non gli interessa tanto esibirsi nella costruzione di periodi retoricamente sostenuti, ma piuttosto andare direttamente al cuore delle questioni che intende sottolineare. Qui, per esempio, lo fa attraverso una struttura sintattica spezzata in modo quasi schematico: si noti, dopo i due punti alla r. 9, l’elenco dei diversi usi possibili del cannocchiale, reso attraverso una serie di frasi separate dal punto e virgola (rr. 9-18). In tal modo il genere epistolare viene piegato da Galileo al suo obiettivo di diffusione delle nuove conoscenze, coniugando la piacevolezza espositiva con il rigore logico-argomentativo.

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 In quale veste Galileo scrive al doge?

Analizzare

2 Individua nel testo le parti riconducibili alla struttura di una lettera formale.


3 Quali esempi di applicazione dell’uso del cannocchiale vengono portati da Galileo?

Interpretare

4 Galileo dà, nella lettera, dettagliate spiegazioni scientifiche sul funzionamento del cannocchiale? perché?


5 Perché Galileo non presenta il cannocchiale come uno strumento utile per l’osservazione astronomica?


6 Qual è il fine di questa epistola?

T4

Come va il cielo e come si va al cielo

Lettera a Madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana

In questa celebre epistola, scritta tra il febbraio e l’estate del 1615, Galileo espone con precisione il proprio pensiero in merito al rapporto tra fede e scienza.

Il motivo, dunque, che loro1 producono per condennar l’opinione della mobilità 

della Terra e stabilità del Sole, è, che leggendosi nelle Sacre lettere, in molti luoghi, 

che il Sole si muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o 

errare, ne séguita per necessaria conseguenza2 che erronea e dannanda sia3 la 

5      sentenza di chi volesse asserire, il Sole esser per se stesso immobile, e mobile la Terra.

Sopra questa ragione parmi4 primieramente da considerare, essere e santissimamente 

detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura 

mentire, tutta volta che5 si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo 

che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che 

10    suona il puro significato delle parole.6 Dal che ne séguita, che qualunque volta 

alcuno, nell’esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale,7 potrebbe, 

errando esso,8 far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni 

remote9 dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario 

dare a Iddio e piedi e mani e occhi, non meno affetti corporali ed umani, come 

15    d’ira, di pentimento, d’odio, ed anco tal volta10 la dimenticanza delle cose passate 

e l’ignoranza delle future; le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, 

furono in tal guisa11 profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità 

del vulgo12 assai rozzo e indisciplinato, così per quelli che meritano d’esser separati 

dalla plebe13 è necessario che i saggi espositori14 ne produchino15 i veri sensi, e 

20    n’additino le ragioni particolari per che e’16 siano sotto cotali parole profferiti […].

Di qui mi par di poter assai ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra 

Scrittura, qualunque volta gli è occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale,17 

e massime18 delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso 

questo medesimo avviso,19 per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo 

25    popolo e renderlo più contumace20 contro a i dogmi di più alto misterio. […]

Stante, dunque, ciò, mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe 

cominciare dalle autorità di luoghi21 delle Scritture, ma dalle sensate esperienze 

e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari22 dal Verbo divino 

la Scrittura Sacra e la natura, quella23 come dettatura dello Spirito Santo, e 

30    questa24 come osservantissima25 essecutrice de gli ordini di Dio;26 ed essendo, di 

più, convenuto27 nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale,28 

dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, 

dal vero assoluto; ma, all’incontro,29 essendo la natura inesorabile ed immutabile, 

e mai non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla 

35    cura30 che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla 

capacità degli uomini; pare che quello degli effetti naturali che o la sensata 

esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non 

debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che31 condennato, per luoghi 

della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto 

40    della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura,32 né meno 

eccelentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne’ sacri detti delle 

Scritture33 […].

Non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, 

né la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la 

45    Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda,34 non avrà manco avuto 

intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell’istesso genere, e collegate in 

maniera con le pur ora nominate, che senza la determinazion di esse non se ne 

può asserire questa o quella parte;35 quali sono il determinar del moto e della 

quiete di essa Terra e del Sole.

50    E se l’istesso Spirito Santo a bello studio36 ha pretermesso37 d’insegnarci simili 

proposizioni, come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò è alla nostra  salute,38 come 

si potrà adesso affermare, che il tener di esse questa parte, e non quella, sia tanto 

necessario che l’una sia de Fide, e l’altra erronea?39 Potrà, dunque essere un’opinione 

eretica, e nulla concernente alla salute dell’anime? o potrà dirsi, aver lo Spirito Santo 

55    voluto non insegnarci cosa concernente alla salute? Io qui direi che quello che intesi 

da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l’intenzione dello 

Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia40 al cielo, e non come vadia il cielo.

 >> pagina 101 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Galileo nota che la Bibbia dà lezioni etiche, non scientifiche; quindi le Sacre Scritture non insegnano come funzionano i corpi celesti (come vadia il cielo, r. 57), ma come salvare la propria anima (come si vadia al cielo, r. 57). Per questo motivo in esse non si trovano disquisizioni astronomiche, ma piuttosto vengono trattati problemi di ordine morale. Quando i testi sacri accennano a fenomeni astronomici o naturali in genere, non pretendono di avere validità scientifica.

Chi ha scritto i vari libri sacri si rivolgeva a un pubblico molto vasto, comprendente anche persone ignoranti. Pertanto i riferimenti alla natura contenuti nella Bibbia non dovevano essere per forza veritieri, ma piuttosto semplici e alla portata di tutti. Perciò nel trattare questioni naturali gli autori dei testi sacri hanno adottato il punto di vista del volgo, assai rozzo e indisciplinato (r. 18).

Se nella Bibbia troviamo un riferimento al moto del Sole, ciò non deriva dal fatto che il Sole si muova davvero, bensì dalla volontà di accordarsi alla visione della realtà propria dell’uomo comune, secondo il quale, appunto, è il Sole a muoversi, mentre la Terra sta ferma: in questo modo i lettori della Bibbia hanno trovato in essa una descrizione della realtà confacente al loro punto di vista. Lo stesso argomento viene usato da Giordano Bruno (1548-1600) nel dialogo La cena de le ceneri (1584) che però Galileo, per prudenza, non cita mai: Bruno era stato infatti condannato per eresia e mandato al rogo dall’Inquisizione romana.

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VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Riassumi il contenuto della lettera a Cristina di Lorena in circa 5 righe.


2 Spiega questo passo: Io qui direi che quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo (rr. 55-57).

analizzare

3 Rintraccia i termini e le espressioni a tuo giudizio più significativi che riguardano l’area semantica del ragionamento e dell’argomentazione.

INTERPRETARE

4 Spiega il motivo per cui non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura (rr. 39-40).

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

Il laborioso tentativo di Galileo di conciliare le sue scoperte scientifiche con le verità della Chiesa mette in luce il difficile rapporto che spesso intercorre tra scienza e potere. Oggi, tuttavia, a ostacolare gli scienziati non è tanto il potere politico, quanto una diffusa ostilità, che spesso trova voce in Rete e sui social network, in cui gli scienziati vengono attaccati sulla base di argomentazioni prive di fondamenti scientifici quando non di vere e proprie fake news. Ha detto Albert Einstein che la «scienza, al confronto con la realtà, è primitiva e infantile. Eppure è la cosa più preziosa che abbiamo». Queste forme di pseudoscienza o di pseudomedicina rischiano peraltro di mettere a repentaglio la salute pubblica: si pensi al negazionismo del virus dell’Hiv o, più di recente, di quello del Covid-19, alle terapie non basate su adeguati protocolli scientifici ecc.


• In che modo è possibile evitare derive pericolose per gli stessi cittadini? Come si può favorire la diffusione di una cultura scientifica? Attraverso quali interventi? Discutine in classe.

L’arte al passo con la scienza

Nella cupola della Cappella Borghese, nella chiesa romana di Santa Maria Maggiore, il pittore Ludovico Cardi (1559-1613), detto il Cigoli dal suo luogo natale (presso San Miniato, in Toscana), raffigura l’Assunzione della Vergine. Il Cigoli fu grande amico e sostenitore di Galilei, come testimonia una fitta corrispondenza tra i due; fu spesso il pittore a informare lo scienziato delle reazioni della curia romana alle scoperte sulla superficie e i moti della Luna. Dovendo rappresentare l’Assunta, egli non dipinse la Vergine su una falce di luna, come voleva l’iconografia tradizionale, ma raffigurò il satellite in modo accurato e naturalistico, come una sfera appoggiata su un cuscino di nubi, con i crateri e le ombre presenti anche nelle incisioni che accompagnano l’edizione del Sidereus nuncius. La cappella doveva servire da tomba per papa Paolo V Borghese: l’affresco del Cigoli dimostra dunque che inizialmente le più alte gerarchie ecclesiastiche non avversarono le idee di Galilei, il cui processo si sarebbe aperto solo vent’anni dopo.

Classe di letteratura - volume 2
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento