William Shakespeare
I GRANDI TEMI
La passione nelle tragedie L’amore è un tema centrale nell’opera di Shakespeare, a partire da Romeo e Giulietta, uno dei vertici della sua arte e della letteratura mondiale di tutti i tempi. Nella celebre tragedia, l’amore è un sentimento che divampa nell’animo dei protagonisti come un devastante incendio: una passione totalizzante che porta i due amanti a mettere in discussione la loro identità (entrambi sarebbero disposti a rinnegare la propria famiglia, rinunciando al nome che portano, pur di potersi amare).
L’amore è dunque un sentimento irriducibile, una vera e propria “religione” intrisa di sublime idealismo: lo vediamo anche nell’Amleto a proposito del personaggio di Ofelia, sinceramente e teneramente innamorata del protagonista. La purezza della passione non implica però un sentimento astratto o platonico: i personaggi shakespeariani sono spesso travolti da un impulso reale, che non trascende affatto la sensualità e che, anzi, esalta la sua profonda, autentica umanità. In un’altra tragedia, Otello, l’amore, trasformandosi in gelosia, può tradursi in un atteggiamento violento e distruttivo.
Nelle tragedie, quando si parla d’amore, si colgono frequenti allusioni a Petrarca e al Petrarchismo: per esempio, in un passaggio come «O amore furioso! O odio amoroso! / O tutto, creato dal nulla! / O leggerezza pesante! O seria vanità! / Caos informe di graziose forme! / Piuma di piombo! Fumo luminoso! Gelido fuoco! Inferma salute! / O sonno sempre sveglio che non è mai sonno!» (Romeo e Giulietta, atto I, scena I) troviamo una sorta di catalogo delle principali qualifiche dell’amore, espresse usando la tecnica, tipica di Petrarca, del contrasto e dell’ossimoro.
La leggerezza nelle commedie Più lieve e spensierato appare invece il sentimento amoroso nelle commedie, in cui diventa sensuale e gioioso, ed è spesso strumento di inganni ed equivoci. Se nelle tragedie Shakespeare dipinge l’amore come una forza capace di vincere le convenzioni, gli interessi economici e le esigenze del potere, nelle commedie – tra le altre La bisbetica domata, Pene d’amor perdute, Sogno d’una notte di mezza estate, Le allegre comari di Windsor – rappresenta soprattutto la contrapposizione tra l’aspetto volubile, leggero e perfino osceno dell’amore (appannaggio per lo più delle classi inferiori) e quello disinteressato, romantico e cortese. In entrambi i casi la sincerità del sentimento è vista comunque come un’arma contro l’ipocrisia e le finzioni del puritanesimo.
I Sonetti: tutti i colori del sentimento I testi che racchiudono le più varie declinazioni dell’amore sono, probabilmente, i sonetti: come afferma il poeta romantico inglese William Wordsworth, essi sono «la chiave» con cui Shakespeare «ha aperto il suo cuore». La raccolta comprende 154 componimenti che affrontano i principali aspetti dell’amore: il matrimonio, la passione per una dark lady (così chiamata per il colore degli occhi e dei capelli, ma anche per la sua passionalità “tenebrosa”), l’amore omosessuale, la lontananza, l’amore spirituale, quello ebbro e sensuale, l’esaltazione della bellezza, il passare del tempo. I toni si dispongono su una vasta gamma, che spazia dal tragico al comico.
2 Il potere
Verso la modernità Il secondo grande tema che attraversa l’universo shakespeariano riguarda le ragioni più profonde dell’agire umano, spesso legate alla dimensione del potere.
Anche in questo caso l’autore si pone al crocevia tra i residui del mondo medievale, dominato dalla concezione di un destino umano governato dall’influenza divina, e l’emergere della mentalità moderna, prepotentemente caratterizzata dalla ricerca dell’autonomia dell’individuo. Shakespeare affronta questo nodo con una scrittura poetica estremamente problematica, che non risolve le contraddizioni né prende apertamente posizione per l’una o per l’altra delle visioni del mondo coinvolte. La sua è una prospettiva inclusiva, totale, derivante dalla capacità di trattare il tema in modo straordinariamente maturo e con un approccio universale.
Una costante attraverso le epoche Shakespeare affronta il tema del potere fin dalle prime opere: la tragedia Tito Andronico, per esempio, è una storia di vendetta e morte in un Impero romano dilaniato dalle lotte per l’ascesa al trono. Ma l’argomento, trattato nei suoi diversi aspetti (la conquista del potere, la sua conservazione, il modo di esercitarlo, i motivi per cui lo si perde), è centrale in tutte le sue tragedie. È forse il motore principale delle azioni umane, variamente declinato attraverso le epoche in cui sono ambientate le vicende (dall’età classica a quella medievale raccontata dalla tradizione cronachistica): Antonio pensa che il potere dipenda esclusivamente dalla sua persona e non dall’istituzione (l’Impero romano) che glielo ha affidato; Riccardo II crede che il titolo di re per diritto divino gli garantisca l’obbedienza dei sudditi; Riccardo III, spinto dalla propria ambizione, pensa di poter ottenere tutto quello che vuole; Macbeth, ossessionato dalla conquista del potere, finisce per uccidere dentro di sé la coscienza, trasformandosi in un brutale tiranno che diffonde il male nella società; re Lear è convinto che, anche dopo aver ceduto il regno alle figlie, il suo rango continuerà a garantirgli un potere illimitato, ma pagherà tale convinzione con la follia e la morte; Otello è un generale valoroso, ma si circonda di consiglieri infidi come Iago; Amleto, infine, non possiede una saldezza psicologica sufficiente per affrontare le responsabilità del potere.
Il potere come strumento per l’affermazione di sé Shakespeare riesce a mettere in luce i molteplici aspetti del potere, consapevole del fatto che non esiste un’unica modalità con cui esso si manifesta. Su tali meccanismi si è soffermato lo studioso tedesco Ekkehart Krippendorff, parlando del potere che emerge dai drammi shakespeariani come di una «pratica di pure tecniche di dominio»: il mezzo per il compimento, spesso tragico, di pulsioni individuali quali l’orgoglio o l’ambizione.
L’eccezione di Enrico V Pochi sono i personaggi che sanno mantenere con successo il potere; tra questi va ricordato un vero e proprio “eroe nazionale” della tradizione storiografica e letteraria inglese, Enrico V, sovrano d’Inghilterra dal 1413 al 1422, celebrato per le sue capacità militari e politiche e in particolare per la vittoria di Azincourt contro la Francia (1415). Dopo una giovinezza dissoluta, Enrico V consegue tutte le virtù regali e cavalleresche degne di un sovrano ideale. Si tratta tuttavia di un caso atipico, al punto che il dramma si conclude con un lieto fine (il matrimonio tra il re e la cugina Caterina), fatto inconsueto per una tragedia.
Classe di letteratura - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento